Idee Pacifismi

Riscopriamo il Satyagraha: nell’anno giubilare invadiamo Gaza e l’Ucraina da pellegrini della nonviolenza

Di fronte al perdurare dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente oggi cosa possiamo fare noi? «Partiamo dal riscoprire la lezione di Gandhi». L'intervento di uno dei promotori del Movimento europeo di azione non violenta - Mean

di Angelo Moretti

La discussione in atto circa l’eticità e l’opportunità di dare o meno sostegno militare ad un popolo che, senza alcun dubbio giuridico, veste i panni dell’aggredito, come l’Ucraina, e definire quali armi offrire ed in che modo poterle utilizzare, è in Europa una discussione antica.

Paradossi di guerra

La discussione in atto sulla libertà dell’esercito ucraino di colpire basi russe in territorio russo, con armamenti americani e inglesi, ha alcuni elementi che appaiono paradossali.
Prima di tutto, vi è il paradosso “etico” del limite imposto: abbiamo tutti appreso che fino ad ora gli ucraini, che vengono quotidianamente offesi dentro le proprie città, potevano dunque difendersi solamente distruggendo i missili, i droni ed ogni altro fendente mortale, solo quando questi stavano per cadere sul loro territorio; per mille giorni non hanno potuto, invece, offendere le postazioni russe che erano basate sul territorio dell’aggressore.

In secondo luogo, si delinea un paradosso di geografia politica: quale è il territorio “russo” da considerare per la vigenza o meno di questo limite? Per la Federazione Russa, infatti, dal settembre del ’22 le regioni dell’est dell’Ucraina sono state annesse con referendum notoriamente considerato una “farsa” dalla comunità internazionale, per cui ciò che è ucraino per tutti noi è già ufficialmente territorio russo per Putin e la sua nazione. Come si fa a distinguere la “Russia non Russia” dalla “Russia Russia” nelle azioni di difesa se non attraverso una convenzione arbitraria delle parti coinvolte? In ultimo, il paradosso “politico”: come mai tale libertà di uso viene deliberata e propugnata dal governo americano proprio dopo la scadenza dello stesso e non prima? 

Per uscire dalla logica stretta delle prese di posizioni rigide che si raggruppano in chi crede nella guerra ad oltranza, in chi grida allo scandalo della escalation voluta dall’occidente, ed in chi teme ad ogni pie’ sospinto che il Dio-Putin possa scatenare la sua rabbia contro di noi, punendoci tutti, converrebbe mantenere uno sguardo lucido, laterale e non simmetrico, al conflitto armato.

Cosa possiamo fare noi?

Chi siamo noi e cosa possiamo fare in questo scenario complesso? È una domanda sempre più interiore che gli europei si stanno ponendo non solo dal 2022, ma da molto tempo prima, almeno da quando sono ricomparsi i muri che ci dividono dal mondo (negli ultimi dieci anni, nel silenzio generale, abbiamo elevato ad est cinture di fili spinati quattro volte più lunghe di quella di Berlino), da quando il Mediterraneo è diventato un cimitero ed il Nord Africa è imploso, anche per nostre evidenti e dirette responsabilità.

La drammaticità del momento che stiamo vivendo, l’orlo di una guerra nucleare alle nostre porte, ci chiede di prendere posizione con più velocità, prima di essere travolti dalle scelte oltreoceano, ed in questa velocità sarà obbligatorio non sfuggire ad una profonda domanda interiore. Chi siamo?

In grande sintesi si può dire, approssimando ma non semplificando, che l’essenza dell’anima europea è certamente figlia del proprio medioevo cristiano che ha influenzato e modificato le sue radici spirituali primordiali; è figlia della grande riforma protestante che ha rotto gli schemi ed aperto alla modernità, dell’illuminismo che ne è conseguito, della Rivoluzione francese che ha modificato per sempre il rapporto tra potere dello Stato e potere dei cittadini, della Resistenza al nazifascimo, delle costituzioni liberali e democratiche, della nascita della Comunità Europea come primo grande esperimento di pacificazione di stati ex- belligeranti. 

Di chi è figlia l’Europa?

L’Europa del terzo millennio è figlia della grande apertura nonviolenta agli stati dell’Est decretata dalla caduta del muro di Berlino, della grande accoglienza di quei popoli nelle nostre città dell’ovest, rappresentati in larghissima maggioranza da donne e da uomini operai.

Un cammino incessante, fatto evidentemente di progressi, che oggi sembra fermo, però, nella postura “dell’asino in mezzo ai suoni”, per citare un proverbio del nostro Sud: un animale confuso che non sa dove andare tra due rumori che lo attraggono e lo spaventano al tempo stesso, fino a paralizzarlo.

Conserviamo le restrizioni nella consegna degli aiuti militari (le armi si possono usare solo dentro il territorio aggredito e nella “Russia non Russia”), oppure liberiamo anche noi gli ucraini dai limiti di difesa e ci aggreghiamo alla postura di altri alleati della Nato? E, se nel futuro prossimo gli alleati, con l’avvento del governo Trump, cambiassero atteggiamento, noi che faremo? Ci ri-adeguiamo di nuovo? Porsi domande non è un esercizio da poco e non deve essere vissuto come segno di “debolezza”.

Di fronte alla caduta dell’efficacia del diritto internazionale (se da un lato l’Onu non riesce ad intervenire con le sue forze di interposizione, per via del diritto di veto di Usa e Russia, dall’altro le condanne della Corte Internazionale dell’Aja sono diventate opinabili dentro la stessa Ue), sembra, però, che non abbiamo alcuna risposta già pronta nel prontuario di quel nostro patrimonio.

I pilastri della filosofia politica

Fino ad oggi siamo progrediti non solo con la filosofia teoretica, ma anche con le sue applicazioni pratiche nella nostra filosofia politica che, in questa sua evoluzione, ha eretto alcuni pilastri: la legittimazione storica della ribellione popolare, anche violenta, esercitata da un popolo che ha inteso liberarsi dal giogo degli oppressori di turno (Rivoluzione Francese e Resistenza al nazifascimo su tutti); il monopolio della violenza somministrata da uno Stato nell’esercizio di una legge varata con metodi democratici e rispettosa dei diritti universali dell’uomo; la razionalità pragmatica  dello Stato di Diritto finalizzato alla cooperazione pacifica tra le persone e tra i popoli, il rispetto delle minoranze, la costruzione del welfare ed il mantenimento ostinato delle democrazie liberali.

Di fronte ad una minaccia cogente di guerra nucleare ed altamente tecnologica, scopriamo, però, che né la filosofia del progetto di una “pace perpetua” di kantiana memoria, né tutti i trattati della Ue hanno risposte adeguate al presente. In più, come è noto, non abbiamo né un esercito né una politica estera comunitaria, ma solo una moneta unica, una banca centrale e tanti importantissimi organismi collegiali. Oggi tutto è insufficiente ed inadeguato. 

In un’Europa che non vuole ridursi alla postura di asino, serve quindi inventarsi qualcosa di nuovo.

Le proposte del Mean all’Europa e agli europei

Noi proviamo a fare la nostra parte di società civile ed avanziamo due proposte come Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean): la prima è rivolta agli Stati riuniti nel Consiglio dell’Unione Europea, la seconda agli europei.

All’Europa degli Stati chiediamo di essere accanto all’Ucraina con convinzione a prescindere da ciò che faranno i suoi alleati, per rispetto del nostro patrimonio spirituale, filosofico e giuridico, senza fermarci, però, ad una sterile assistenza militare, seppure necessaria.
Chiediamo che si organizzi subito un Corpo Civile di Pace che faciliti i negoziati che avverranno, che presidi con competenza e con fondi adeguati i territori della tregua che verrà nel prossimo futuro; chiediamo di promuovere le commissioni di verità e riconciliazione, di promuovere fin da oggi soluzioni creative di dialogo tra i popoli che oggi, e per i decenni a venire, saranno nemici.

I tempi sono così duri, però, che non possiamo più fermarci alla semplice “metafisica delle istituzioni democratiche” o, come la chiama Amartya Sen, al nostro consueto atteggiamento di “trascendentalismo istituzionale”, affidandoci ad una nuova istituzione perché la pace venga come per magia dal diritto positivo e dalle organizzazioni democratiche. 

La pace che verrà non potrà nascere ancora dalle regole che ci siamo già dati perché, con la caduta del diritto internazionale e finanche dello “ius belli” (rispetto alla prima guerra mondiale il rapporto tra civili e soldati uccisi in guerra è stato ribaltato a totale sfavore dei primi), sono stati rotti tutti gli schemi etici e organizzativi del passato. 

Come Gandhi con Tolstoj

Successe già in passato di dover rispondere a domande inedite guardando altrove. Avvenne quando fu l’induista Gandhi a cercare nel pensiero cristiano di Lev Tolstoj la radice della sua azione politica nonviolenta. Gandhi non mosse i suoi passi senza contaminarsi prima di quel pensiero di fine ‘800 che aveva informato anche milioni di coscienze europee e russe.
Fu un epistolario frammentato, breve e franco, in cui il futuro Mahatma si pose in posizione di discepolo verso un maestro, geograficamente e culturalmente, molto lontano.
Ciò che ne derivò fu quella che il pacifista Lanza del Vasto definì la più grande scoperta del ‘900 insieme alla Bomba: la Nonviolenza. 

Mentre quella rivoluzione nonviolenta aveva inizio in India, e poi tra i neri d’America, Gandhi ebbe parole sprezzanti per gli europei che abitavano nei suoi paraggi, ricordando che fin da bambino, per lui, l’Europa si incarnava in quegli uomini che avevano “un brandy in una mano ed un sigaro nell’altra”.

Se oggi ci si immagina di poter ancora godere dei frutti della pace affidandoci alla sola azione di pochi stati illuminati, stiamo probabilmente ancora brandendo quel brandy; oppure siamo ancora chiusi in un concilio, molto social e televisivo, a disquisire su dove dovrebbero cadere i missili dati in prestito. Se vogliamo fare di più, dobbiamo restituire la visita di Gandhi a Tolstoj e spostarci noi, questa volta, in India.

Vivere la forza della verità, il Satyagraha

È possibile rispondere a Putin, l’oppressore, e a Trump, l’anti-europeo per eccellenza, con la forza di un Satyagraha europeo? Il Satyagraha, quella “forza della verità” che viene sospinta non dalle belle idee ma dal sacrificio di milioni di donne e uomini nonviolenti che decidono di non piegarsi alla violenza, non è ancora un patrimonio europeo, ma può diventarlo.
Affinché accada, non basterà condividerla idealmente, come si fa sulle piattaforme social quando peschiamo una bella idea e la adottiamo sulle nostre bacheche virtuali facendola nostra. Servirà viverla. 

Ci sono uomini e donne in Europa che vorrebbero agire un Satyagraha di massa per rispondere alle provocazioni di Zeus ed alla dottrina bellicistica degli altri imperi di occidente e di oriente?
È questo, secondo noi, il vero punto. 

Non potranno essere nemmeno i Corpi Civili di Pace a salvarci dall’imbarazzo di essere asini rintontiti se non intenderemo mettere a disposizione i nostri corpi disarmati per quel fine. 
La scelta che hanno di fronte a sé, oggi, gli europei è tra il trascendersi per innovare le proprie istituzioni o il soccombere alle scelte militari degli altri, che siano alleati o antagonisti non conta. 

Dopo due anni e mezzo di presenza nonviolenta in Ucraina, noi siamo ancora ostinatamente convinti che un Satyagraha di massa sia possibile ed urgente. 

Ed ecco la nostra seconda proposta. Il prossimo anno giubilare ci dovrebbe vedere pellegrini in massa in Ucraina ed a Gaza, altrimenti rischierà di passare alla storia come quel 2025 in cui i cristiani europei si incontravano a Roma per far festa mentre il mondo attorno a loro bruciava, massacrando migliaia di innocenti. 

Noi intendiamo metterci in cammino da ora per il giubileo della nonviolenza, quanti saremo?

Foto: una delegazione del Mean a Kiev

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