Inquinamento
Stop alla plastica, il mondo è in attesa
Si trova ovunque, dalla placenta ai testicoli, nei fiumi e nei mari: fermare l'inquinamento da plastica è un'urgenza non solo ambientale ma anche sanitaria. Entro il 2024, i governi di tutto il mondo si sono impegnati a trovare un accordo globale, verso l'economia circolare. Ma, nonostante l'enormità del problema, non è scontato che si arrivi a un trattato efficace. A opporsi sono i colossi che producono plastica e petrolio. E si aggiunge anche l'incognita Donald Trump
È in corso in questi giorni a Busan, in Corea del Sud, la fase finale dei negoziati, iniziati due anni fa, per un trattato globale che ponga fine all’inquinamento da plastica. Sotto l’egida delle Nazioni unite, gli Stati dovrebbero raggiungere un accordo giuridicamente vincolante entro la fine del 2024. Per il Wwf si tratta di «un’opportunità storica per dimostrare come possiamo risolvere insieme i problemi ambientali mondiali».
Un problema gigantesco
Ogni anno produciamo 400 milioni di tonnellate di materiale plastico, in base ai dati del Programma dell’Onu per l’Ambiente – Unep. Senza misure per limitare l’immissione di nuova plastica, la produzione triplicherà entro il 2060. Oggi, a fine vita, solo il 12% va negli inceneritori e appena il 9% viene riciclato. Tutto il resto finisce in discarica o si disperde. Gli ecosistemi acquatici sono pieni di plastica: si stima che nei fiumi ci siano 109 milioni di tonnellate e 30 milioni negli oceani. La plastica è ovunque, compresi la placenta, le arterie, i testicoli. Non è una minaccia solo per la biodiversità e per il clima (essendo un derivato del petrolio) ma anche per la salute umana. Da questa consapevolezza nasce l’urgenza di adottare un trattato mondiale che fermi la produzione.
Verso l’economia circolare?
A Rio de Janeiro, il 18 e 19 novembre scorsi, i leader del G20 hanno espresso l’ambizione di trovare un accordo che sia davvero vincolante. L’Unione europea fa parte della coalizione di sessantacinque Paesi – tra cui anche Norvegia e Rwanda – in prima linea per uno stop efficace entro il 2040, da raggiungere con il passaggio a un’economia circolare: uno degli obiettivi prioritari del Green deal. Durante i negoziati in Corea del Sud, la richiesta dell’Ue è che i grandi produttori si assumano parte della responsabilità finanziaria per l’inquinamento, sulla base del principio: “chi inquina paga”. Un altro passaggio su cui punta la delegazione europea è che si tengano in considerazione le circostanza nazionali e la necessità di una transizione giusta.
Vale la pena ricordare che l’Italia, a maggio di quest’anno, ha rinviato per la settima volta l’entrata in vigore della plastic tax, un’imposta sugli imballaggi monouso, prevista per il 2020 e posticipata al 2026, forse. Si tratta di 0,45 euro per ogni chilo prodotto, venduto o acquistato.
Chi si oppone
«Un trattato perfetto non sarà possibile, soprattutto a causa dell’opposizione dei Paesi produttori di petrolio», ha anticipato la ministra norvegese per lo sviluppo internazionale, Anne Beathe Tvinnereim, sentita dal Guardian. «Ma abbiamo bisogno di un punto di partenza e credo che riusciremo a ottenerlo». La Norvegia continuerà a portare avanti il messaggio, perché «il mondo ha disperatamente bisogno di leadership e di buone notizie».
Lo scoglio su cui nei mesi scorsi si è fermata la trattativa è economico: l’industria della plastica pesa per 712 miliardi di dollari. Adesso, si aggiunge anche l’incertezza sulla posizione che assumeranno gli Stati Uniti, uno dei principali produttori, che sembravano intenzionati a raggiungere un accordo ma che potrebbero cambiare idea, dopo l’elezione di Donald Trump.
Il grido degli ambientalisti
Per il Wwf, sono quattro le misure vincolanti che i governi devono introdurre per fermare l’aumento esponenziale dell’inquinamento: divieti globali e l’eliminazione progressiva dei prodotti in plastica, progettazione dei prodotti che garantisca sicurezza e facilità di riutilizzo e riciclo, finanziamenti per un cambiamento equo a livello di sistema, meccanismi decisionali che consentano il rafforzamento e l’adattamento del Trattato nel tempo.
«Il testo deve rispecchiare in modo inequivocabile le misure richieste e sostenute dalla maggioranza dei governi. Non si deve lasciare spazio per interpretazioni alternative, derivanti dagli interessi di singoli governi. Un trattato forte e vincolante è una priorità che dovrà essere portata avanti anche a scapito della ratifica da parte di tutti gli Stati, e se necessario bisognerà essere anche pronti a trovare un altro foro per la sua approvazione», ha dichiarato Eirik Lindebjerg, responsabile Politica globale sulla plastica e capo delegazione del Wwf ai negoziati in Corea del Sud.
Greenpeace, insieme al movimento Break free from plastic, in questi anni ha raccolto le firme di oltre due milioni di persone nel mondo, che hanno sottoscritto una petizione per chiedere ai governi di andare oltre il riciclo come unica soluzione e di impegnarsi a ridurre la produzione di plastica di almeno il 75% entro il 2040 per contenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5°C proteggendo così clima, salute, diritti umani e comunità.
Foto di Naja Bertolt Jensen su Unsplash
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