Finanza climatica

Cop29, un accordo che delude

Sale la temperatura del pianeta e le conseguenze sono sempre più evidenti. Ma i leader del mondo riuniti a Baku non si sono mostrati all'altezza dell'urgenza, come se il riscaldamento globale fosse una minaccia lontana. Si è raggiunto un accordo per 300 miliardi di dollari all'anno, che i Paesi sviluppati dovranno trasferire ai Paesi in via di sviluppo per l'azione climatica. Ma ne servirebbero 1,3 trilioni. È grande la frustrazione del Sud globale, più povero e vulnerabile, e degli attivisti

di Elisa Cozzarini

La Conferenza Onu delle parti sul clima di Baku è terminata sabato 23 novembre, con un giorno di ritardo, e con un accordo che molti giudicano deludente. Al centro dei negoziati c’era la finanza climatica. I Paesi sviluppati si sono impegnati a trasferire 300 miliardi di dollari all’anno – tre volte la cifra attuale – attraverso sovvenzioni e prestiti a tasso agevolato ai Paesi poveri entro il 2035. Il testo apre anche alla possibilità che a contribuire siano grandi emettitori di gas serra, come la Cina, considerata ancora “in via di sviluppo”. Ma non sarà obbligata a farlo, come invece gli Stati di vecchia industrializzazione. Per intervenire in modo efficace, però, dicono gli economisti, servono 1,3 trilioni di dollari. I rimanenti mille miliardi, in base all’accordo, dovranno essere messi a disposizione attraverso investimenti privati e nuovi sistemi di tassazione dei combustibili fossili, ancora da decidere. Se ne riparlerà alla Cop30 di Belém, in Brasile, tra un anno.

Battuta d’arresto

«Questa non è finanza climatica, è colonialismo climatico», è il commento di Fred Njehu, di Greenpeace Africa. «Speravo in un risultato più ambizioso, ma l’accordo raggiunto a Baku fornisce una base su cui poter lavorare. Deve essere rispettato integralmente e nei tempi previsti. L’impegno deve trasformarsi rapidamente in denaro», ha detto il segretario generale dell’Onu António Guterres.

Per il Wwf l’esito della Cop29 rischia di ritardare l’azione per il clima proprio nel momento in cui è più importante accelerarla. «Nell’anno in cui si stanno decidendo i nuovi piani climatici nazionali, è inaccettabile l’assenza di un messaggio forte sulla necessità di ridurre le emissioni e di eliminare i combustibili fossili, garantendo che la transizione venga sostenuta da finanziamenti adeguati», ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed energia del Wwf Italia, che ha seguito i lavori a Baku. «Se i Paesi sviluppati non andranno ben oltre questo obiettivo finanziario, rendendo concreta la tabella di marcia da 1.300 miliardi di dollari da Baku a Belém, le comunità vulnerabili saranno sempre più esposte a impatti devastanti e la finestra per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C si chiuderà. I negoziati hanno anche inviato segnali deboli sulla necessità di accelerare l’azione sul legame clima e natura, nonostante siano inestricabilmente legati».


Alex Mason, responsabile del clima e dell’energia del Wwf Europa, ha sottolineato non solo l’assenza di leadership dell’Ue, ma anche il fatto che l’Unione e gli Stati membri continuano invece a dare sussidi per i combustibili fossili: «Solo nel 2022 hanno distribuito 123 miliardi di euro, alimentando proprio la crisi che stiamo cercando di risolvere. Chiediamo all’Ue di cambiare rotta, di ricostruire la fiducia con i Paesi del Sud del mondo e andare oltre i deboli parametri dell’accordo raggiunto a Baku. Un impegno chiaro verso nuovi finanziamenti significativi, oltre a quanto concordato, è essenziale per ripristinare la speranza e portare avanti l’azione globale per il clima».

Crediti per il clima o greenwashing?

La Cop29 di Baku passerà alla storia – vedremo se nel bene o nel male – per aver stabilito le regole di attuazione dell’articolo 6 degli Accordi di Parigi, sui meccanismi per acquistare e vendere crediti di carbonio sia a livello internazionale sia tra due Stati, dopo nove anni di discussioni. Un tema scivoloso, per i molti scandali che da sempre interessano i sistemi di compensazione delle emissioni di gas serra. Un credito di carbonio corrisponde a una tonnellata di CO₂ risparmiata o catturata. Per chi propone questo tipo di soluzioni, si tratta di un modo per mettere a disposizione miliardi di dollari da parte dei Paesi ricchi e dei privati per progetti che, specialmente nel Sud globale, possano contribuire per esempio a fermare la deforestazione o a sviluppare le rinnovabili.

An Lambrechts, di Greenpeace International, afferma: «Il mercato di carbonio approvato alla Cop29 non può essere una soluzione di finanza climatica e non farà altro che consentire all’industria fossile di continuare a inquinare, con la scusa di poter compensare le emissioni. Il fatto che l’azione climatica venga accostata a quella per la biodiversità, però, ci dice che non tutto è perduto. Alla Cop30 in Amazzonia sarà il tempo di unire le due battaglie, contro il riscaldamento globale e per la natura».

Foto di Mika Baumeister su Unsplash

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