Famiglia

Affido, c’è bisogno di pensiero

Sociologi e psicologi dell'Università Cattolica di Milano per due anni hanno svolto una ricerca-azione in Cometa, per osservarne il modello. Mariagrazia Figini: «Ci interessava capire qual è il “passo successivo” da fare, senza il rischio dell’autoreferenzialità. C'è bisogno di pensiero perché le unità di offerta attuali del welfare non rispondono più ai bisogni dei bambini»

di Sara De Carli

C’è il bimbo che si disegna due volte, una dentro l’insieme della famiglia affidataria e una dentro l’insieme della famiglia di origine. C’è quello che disegna tutti, la mamma e il papà biologico, la mamma e il papà affidatari, i fratelli biologici e quelli affidatari, i nonni, il cane e il gatto di ambo le parti… e poi traccia un cerchio attorno ad ogni singola persona, come a dire che ciascuno fa famiglia a sé.

C’è anche quello che si mette nel cerchio con il papà affidatario, mentre la mamma affidataria la racchiude dentro un cerchio distinto, insieme alla mamma biologica e al figlio degli affidatari. I disegni dei bambini tracciano visivamente a quale famiglia sentono di appartenere: per un bambino in affido il tema della “doppia appartenenza” è fortissimo. «L’affido è costitutivamente dentro una contraddizione: la famiglia affidataria deve accogliere a tempo il figlio di altri come se fosse figlio proprio, la famiglia naturale deve accettare la contraddizione che altri genitori si prendano cura del proprio figlio. Un figlio e due famiglie, questa è la contraddittorietà. La coesistenza è possibile perché le due famiglie hanno ruoli diversi», afferma Ondina Greco, psicologa e psicoterapeuta, che ha utilizzato lo strumento della “doppia luna” con 60 bambini e ragazzi in affido presso le famiglie di Cometa, ricordando come «ogni minore in affido o in adozione ha la necessità di cercare sempre un frammento positivo nella sua storia passata, magari un nonno, un vicino, per poter dire che “anche il posto da cui vengo io ha qualcosa di positivo, c’è qualcosa di buono che viene da me e non solo dall’ambiente che mi accoglie».

I numeri di Cometa

Il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica ha osservato per due anni la realtà dell’Associazione Cometa, con una ricerca-azione i cui risultati sono stati presentati nel convegno “Accogliere per educare” e raccolti nel volume “Famiglie nella comunità: il modello di affido a Cometa” (la versione ebook è scaricabile gratuitamente qui).

La storia di Cometa – che oggi è tante cose, compresa una scuola e alcune attività commerciali che danno lavoro a giovani con disabilità – nasce nel 1986 a Como dal “sì” detto all’accoglienza in affido di un bimbo. Quell’incontro cambia la vita delle famiglie di due fratelli, Erasmo e Innocente Figini, che nel 1992 si trasferiscono in una vecchia cascina alle porte della città e danno inizio ad un’esperienza di accoglienza che pian piano attrae, con la sua bellezza, altre famiglie. Circa ottanta famiglie negli anni hanno scelto di aprirsi all’esperienza dell’affido con l’accompagnamento dell’associazione, accogliendo in vent’anni oltre 400 bambini. Attualmente le famiglie con un progetto di affido attivo sono più di sessanta.

Un caso unico di community care basato su un sistema di supporto integrato nel quale le famiglie affidatarie giocano un ruolo attivo e consapevole nell’educazione dei minori in relazione con l’associazione, altre famiglie e un’équipe multidisciplinare di professionisti. 

Il prossimo passo

Mariagrazia Figini, sorella di Erasmo e Innocente, che in Cometa segue gli affidi, spiega che questa ricerca-azione è nata perché «ci interessava capire qual è il “passo successivo” da fare, senza il rischio dell’autoreferenzialità. Siamo arrivati fin qui facendo tanti piccoli passi e volevamo capire adesso come proseguire: la ricerca – quantitativa e qualitativa – ci ha dato molti spunti per riflettere. Il nostro punto fermo è mettere a tema l’interesse del minore, in un momento storico in cui purtroppo si tende di nuovo ad avere uno sguardo adultocentrico. C’è bisogno di ragionare su quale sia il passo successivo da fare perché siamo perfettamente consapevoli che l’affido, come ogni accoglienza, è sempre in divenire e che occorre rendere sempre più consapevoli le famiglie del ruolo che hanno. Vogliamo che l’affido e l’accoglienza in un mondo di “muri” diventino un “focus group sociale”, perché questo permette di generare continuamente legami, che nel nostro modello centrali».

Siamo arrivati fin qui facendo tanti piccoli passi e volevamo capire adesso come proseguire: siamo consapevoli che l’affido, come ogni accoglienza, è sempre in divenire

Mariagrazia Figini, Cometa


Un’analisi in quattro studi

L’analisi, avviata nel 2022, è stata condotta da Donatella Bramanti, Raffaella Iafrate, Ondina Greco, Giulia Lopez, Sara Nanetti e Anna Scisci. I ricercatori hanno utilizzato metodi qualitativi e quantitativi per indagare le peculiarità del modello attraverso strumenti come le interviste ai giovani usciti da Cometa, i diari digitali dei genitori affidatari, le “doppie lune” disegnate dai minori attualmente accolti, i focus group condotti con gli stakeholder esterni. Tre le parole che sintetizzano l’esperienza e il modello di Cometa: fiducia, inteso come creare le condizioni perché i bambini tornino ad affidarsi, premessa per la costruzione di un legame affettuoso; cura, che si traduce nell’offerta di un ampio ventaglio di opportunità che riesce a intercettare i bisogni dei ragazzi, nella costruzione di una rete protettiva a cui molti continuano a ricorrere, nella presenza di adulti di riferimento che offrono sostegno emotivo e pratico; rete, perché il modello di affido di Cometa non vede solo la famiglia ma l’apporto di figure informali e professionali, in una ambiente stabile e sicuro.

La copertina della pubblicazione sulla ricerca-azione

I diari digitali compilati dalle famiglie affidatarie dicono il 91,8% dei genitori vede un aumento o un mantenimento dell’affetto reciproco nel tempo con i figli in affido, il 73,4% segnala un incremento del numero di amici dei minori in affido. L’analisi degli affidi in corso condotta attraverso lo strumento delle “doppie lune” evidenzia come solo il 21,7% dei minori sia già riuscito a sviluppare un senso di appartenenza rivolto a entrambe le famiglie, ma guardandosi indietro, ha sottolineato Donatella Bramanti commentando le interviste fatte a undici giovani adulti fra i 23 e i 36 anni che hanno vissuto un’esperienza di affido nelle famiglie di Cometa, «abbiamo visto che la coperta di Cometa è molto ampia, generosa, sostiene i ragazzi anche dopo il termine dell’esperienza. La transizione alla vita adulta dei giovani è un’impresa complicata per tutti, per i giovani careleavers ancora di più, ma qui abbiamo tre ragazzi che vivono in coppia, due che vivono ancora con la famiglia affidataria, due che vivono nella famiglia adottiva e uno che vive con un coetaneo. Tutti hanno concluso le scuole superiori e due si sono laureati. In controtendenza rispetto ai loro coetanei, per i careleaver di Cometa la famiglia è un grosso investimento, hanno grandi progetti famigliare, alcuni hanno già figli propri o in affido. L’esperienza di affido in Cometa ha certamente permesso loro di affrontare in modo sufficientemente adeguato i compiti di sviluppo».

La relazione con la famiglia di origine

Giulia Lopez ha raccontato come dai focus group (due con stakeholder esterni a Cometa, quali giudici onorari, assistenti sociale ecc. e uno con genitori con figli che usufruiscono di un servizio di Cometa), Cometa emerga come «un soggetto capace di garantire un sostegno completo e integrato alle famiglie» e una «presa in carico globale dei ragazzi», fortemente caratterizzato dalla «volontà di creare ambiente educativo inclusivo e accogliente, capace di valorizzare le diversità», capace di «relazione e dialogo con i servizi». Dal gruppo dei genitori non è emersa alcuna criticità, se non quella di potenziare ulteriormente l’attività per prendere in carico più minori e più famiglie. Dagli esperti invece è stata segnalata una certa difficoltà da parte di Cometa a facilitare il mantenimento delle relazioni dei bambini in affido con le famiglie naturali: «soprattutto in passato, però».

Se non torniamo a un affido preventivo e continuiamo a fare solo affidi riparativi è difficile fare questa facilitazione di connessione e rapporti con la famiglia di origine

Mariagrazia Figini

Per Mariagrazia Figini anche questa osservazione è sintomo della necessità di fermarsi di più a pensare, tutti: «Anche su questo punto a volte non c’è un pensiero ma delle posizioni. La famiglia affidataria, è vero capita, si mette in atteggiamente di difesa, ma perché non si capisce quale pensiero sviluppare su questa “doppia luna”, su questa integrazione del bambino nelle due famiglie. A volte agli operatori e alla famiglia affidataria viene detto semplicemente che il bambino “deve vedere di più la sua famiglia biologica”, ma questo deve non dice nulla di un pensiero sui bisogni del bambino. Il problema è il pensiero, come dialogare insieme su quel bambino e non su dei modelli astratti, per cercare di sviluppare insieme delle strategie. Abbiamo avuto tante famiglie di origine che venivano in Cometa e festeggiavano il Natale insieme alle famiglie affidatarie… il punto è che se non torniamo a un affido preventivo e continuiamo a fare solo affidi riparativi è difficile poi fare questa facilitazione di connessione e rapporti con la famiglia di origine». 

Il Quaderno della Ricerca Sociale n. 61, appena pubblicato dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con i dati aggiornati al 31 dicembre 2023 sui minori fuori dalla famiglia di origine dice che nel 2023 il 75% degli affidamenti risulta di tipo giudiziale, con un aumento di quasi 10 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Quote superiori all’80% di affidamenti giudiziali si registrano per gli affidi eterofamiliari e intrafamiliari di almeno 5 giorni a settimana, mentre al contrario, l’81,5% degli affidi eterofamiliari per meno di 5 notti a settimana o diurno (tipicamente usati nei casi meno complessi) è di tipo consensuale.

Il pensiero che riempie i buchi

«L’affido è un pezzo di strada che si fa insieme, per questo noi non diciamo mai che l’affido fallisce. Cometa è una rete di famiglie, quello che ci interessa è capire come sostenere i ragazzi nelle loro scelte e nella loro libertà, sviluppando in loro un senso critico che è quello che permette di tenere vivo anche il desiderio», conclude Figini. «Bisogna sviluppare un pensiero, sempre più forte: a livello politico, civile e culturale. Questo per noi è cruciale. Famiglie, associazioni, Terzo settore, politica, istituzioni devono trovare insieme dei luoghi in cui pensare un nuovo tipo di welfare perché quello attuale, con le unità di offerta attuali, non risponde più ai reali bisogni delle famiglie e soprattutto dei bambini. Insisto tanto sul pensiero, perché si parla tanto di rete ma la rete è piena di buchi: è solo il pensiero che può intrecciare in modo più stretto la rete, capendo su ogni singolo bambino qual è il passo che si può fare tutti insieme».

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