Teatro
Pomodoro, operai e menzogne: un safari nel mondo del lavoro
Fino all’8 dicembre all’Elfo Puccini di Milano uno spettacolo sorprendente ambientato in un conservificio del Nord d’Italia. «Non è uno spettacolo di denuncia, ma un tipo di teatro che, con il suo linguaggio e i suoi guizzi, torna finalmente a raccontare il mondo dalla prospettiva del lavoro giovanile», spiega Elio De Capitani, regista di “Safari Pomodoro”
Sono tre gli ingredienti di “Safari Pomodoro”, la stand up tragedy scritta da Nicolò Sordo per la regia di Elio De Capitani e Alessandro Frigerio per l’interpretazione di un bravissimo Michele Costabile (foto) in scena al teatro Elfo Puccini di Milano fino all’8 dicembre.
Il primo ingrediente è il pomodoro. Qualche numero della filiera della passata che oggi fa da traino all’agroalimentare nazionale: fatturato di circa 44,6 miliardi di euro (dato 2022), 10mila lavoratori e oltre 25mila stagionali (senza considerare il nero). Le conserve di pomodoro sono tra i prodotti ortofrutticoli quelli che vantano il miglior saldo della bilancia commerciale italiana.
“Safari Pomodoro” si sviluppa intorno a una fabbrica del piacentino dove l’unico attore in scena (lo spettacolo dura 75 minuti) ha lavorato per una stagione. «In pieno Covid nell’estate del 2020 Michele Costabile, che non viene certo da una famiglia benestante, coi teatri e i ristoranti chiusi (tipica seconda occupazione di chi lavora nel nostro settore) è in cerca uno stipendio», interveniente il regista Elio De Capitani. Lo trova nel cuore della pianura Padana, lui pescarese di nascita e romano di adozione, in una fabbrica di un importante produttore di passata di pomodoro. Viene assunto come quindi operaio generico, un tuttofare con la vaga qualifica di “addetto alla lavorazione del fresco”. Le attività sono innumerevoli: dalla pulizia dei resti di lavorazione, alla ricarica del sale nei macchinari, all’aspirazione del brix (nei primi dieci minuti dello spettacolo è la parola chiave) dai barili provenienti dal Costa Rica, dalla Romania o da qualche fondo di magazzino.
Moltissimo tempo viene dedicato alla pulizia delle aree di lavoro, passando per giornate intere l’idropulitrice su centinaia di metri quadrati di pavimento reso scivoloso dai resti della lavorazione del pomodoro. Costabile incominincia a tenere un diario che diventerà la prima bozza della sceneggiatura dello spettacolo.
L’esperienza del duro lavoro nel complesso industriale consente l’incontro con un’umanità invisibile e raramente rappresentata dai media e dal mondo della cultura, quella dei lavoratori stagionali per le grandi industrie dell’agricoltura. Una popolazione italiana e straniera che vive ai margini, spesso in condizioni precarie, su cui si basa parte dell’economia del nostro Paese. «Questo però non è uno spettacolo-documento, al centro non c’è la denuncia della condizioni di lavoro che per altro nella filiera del pomodoro sono molto diverse fra Nord e Sud del Paese, dove il nero e la mancanza di diritti sono molto più pesanti che in Settentrione. Questo spettacolo nasce dalla necessità di raccontare il mondo attraverso la lente di chi lavora, in particolare dalla prospettiva dei giovani, perché c’è tutto un mondo produttivo, non digitale, di cui oggi ci siamo dimenticati», dice De Capitani. La filiera del food è un caso esemplare.
Ma questo universo, è un mondo fatto anche di menzogne, e qui veniamo al terzo ingrediente del safari in Pianura Padana. A proposito del titolo: “Pomodoro Safari” fa l’eco a “Poverty Safari”, il titolo del libro di Darren McGarvey che richiamava il safari dei ricchi curiosi di vedere come vivessero i poveri delle periferie di Glasgow.
Ancora De Capitani: «Mi ha sempre affascinato chi per esorcizzare una vita che non sente sua, se ne costruisce un’altra e finisce per crederci». È quello che fa il nostro protagonista: operaio generico che gira in Suv, vive in una grande casa con una ricca moglie che lo aspetta ogni volta che torna dal lavoro e bellissime figlie che gli vogliono bene. Il migliore amico? Un diseredato, nullafacente. Uno che nella vita ha fallito miseramente. Mica come lui che ha tutto quello che si può desiderare compresa la libertà di “provare” a fare un lavoro da poveracci, tanto lui sì che è fortunato e può tornare alla bella vita quando vuole. Ma a un certo punto la bolla scoppierà. Difficile, a quel punto, evitare le schizzi di pomodoro. Il Safari è finito.
Credit foto: Laila Pozzo
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