Non profit
La lezione del professor Geminello
E' bello quando l'intelligenza viene incontro ad un dinamismo presente nella realtà.
Non capita spesso di aprire il giornale al mattino e ritrovarsi contenti di quel che si è letto. Sensazione che ha certamente provato chi abbia aperto il Corriere della Sera lunedì e abbia avuto la fortuna di leggere lo stupendo editoriale di Geminello Alvi (che apriva il dorso dedicato all?economia). è bello quando l?intelligenza viene incontro a un dinamismo presente nella realtà; quando sa leggerlo, interpretarlo e dargli voce con tanta lucidità ed energia. Alvi, che è economista fine, spiega come ogni società che si concepisca bipartita sia una società votata al declino. I due partiti cui fa riferimento non sono ovviamente gli schieramenti che occupano confusamente la nostra scena politica. Sono, spiega, Alvi, i due poli di Stato e mercato. Una dicotomia «che è la sola e la più noiosa, che si usa oggi per ragionare di questioni sociali». La fotografia ci sembra perfetta. Oggi si vive in un sistema in cui, a parte le petizioni retoriche, l?individuo e la sua libertà non hanno nessun valore se non fanno rigido riferimento a uno dei due sistemi, o meglio apparati, di cui parla Alvi. Quando l?iniziativa di un gruppo rompe questo gioco bloccato, immediatamente si alzano gli sbarramenti.
La cronaca è piena di episodi, piccoli solo perché a nessuno viene mai in mente di cogliere il disegno ostinato che li accomuna, che testimoniano questa ostilità.
Prendete le cooperative: basta etichettare per privilegio quello che è invece una dinamica generata da una diversa concezione del fare economico, per giustificare provvedimenti punitivi e inutili (ha dovuto venire il Nobel per l?economia, Joseph Stiglitz per spiegarcelo, com?è successo il 3 luglio nel corso di un convegno a Genova).
Lo stesso ragionamento potrebbe valere per la cooperazione internazionale, messa in un angolo dalla continua erosione delle risorse (0,13% del Pil, secondo le indiscrezioni sul prossimo Dpef). Senza che nessuno, al di sopra delle parti, denunci l?erosione di un patrimonio straordinario di passione umana, di competenza, di mediazione. E che dire della famiglia, che, come spiega il servizio alle pagine 4 e 5, si trova nella tenaglia di una fiscalità quasi orwelliana? E anche in questo caso senza che nessuno la guardi nella sua funzione fondamentale di ammortizzatore, di cellula economica, di collante generazionale.
L?elenco potrebbe continuare a lungo. E per i lettori di Vita è gioco facile continuarlo. Ma la gravità delle singole misure (o mancate misure) è poca cosa rispetto al disegno subdolo che le unisce. E questo disegno è quello di costringere a pensarci, ad agire e a vivere in un sistema dove tutto è Stato o mercato. Invece, suggerisce Alvi, un sistema che si concepisce così (anche solo per inerzia, com?è il caso dell?Italia di questo inizio di millennio), è un sistema senza futuro. Un sistema irrimediabilmente senile, al di là delle appartenenze ideologiche o partitiche.
Solo la rottura di quel blocco rimette in movimento la società. «Ecco l?idea», scrive Alvi, «uno Stato più leggero possibile e quanto attiene alle libertà – ovvero tutta la cultura, la sanità, la previdenza – autogestito in forma di mutue e di fondazioni? Che un sistema previdenziale debba gestirsi con il libero mutualismo, non con tasse e Stato è palese oggi nella senile economia italiana».
Che cosa fa pensare che alla fine anche chi vive di rendite garantite dal duopolio, alla fine debba accettare quella che Alvi definisce la necessaria ?tripartizione? della società? Lo fa pensare il fatto che non ci sono altre vie di uscita. Che bisogna permettere al ?nuovo? di farsi sistema, di diventare istituzione, come suggerisce Carlo Borgomeo nella bella intervista che chiude questo numero di Vita. E infatti i segnali non mancano. Il protocollo che i sindacati hanno firmato con il Forum del Terzo settore dopo tanti anni di chiusure preconcette, rappresenta un piccolo ma significativo passo in questa direzione. Altri, certamente, seguiranno.
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