La ricerca sull'housing

Persone con disabilità: sì a servizi flessibili progettati con le famiglie

Realizzato rivolgendosi agli esperti, ai professionisti che lavorano sul campo e ai pazienti stessi, spesso considerati solo come destinatari dei servizi, il lavoro di Anffas e Università Cattolica fa una ricognizione delle normative, misura e valuta la situazione di alcune realtà lombarde e ne estrae indicatori utili a identificare nuove strategie inclusive dell'abitare

di Nicla Panciera

Gabriele T., giovane Autorappresentante del Gruppo di Anffas Palermo nell'ambito dell'iniziativa La Casa degli Autorappresentanti

Per le persone con disabilità, in particolare quelle intellettive, e per i loro familiari, il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile passa da un cambio di paradigma, di cui si discute da tempo, nei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari che devono potersi adeguare ai bisogni e alle aspirazioni del singolo.

Un nuovo strumento nelle mani dei decisori e degli operatori è la «Ricerca-Azione utile alla riconversione in chiave inclusiva dei servizi semi-residenziali e dell’abitare», realizzata da Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale Anffas Lombardia in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e il sostegno di Anffas Nazionale e presentata oggi a Milano.

La ricerca sperimentale e teorica, avviata nel 2022, nasce «dalla volontà di cambiamento e di riconversione dei servizi, oggi basati su un impianto ormai superato, dove è il singolo a doversi adattare a essi e la sua libertà di scelta è limitata» ha spiegato Emilio Rota, presidente di Anffas Lombardia. «Serviva, quindi, un’analisi che partisse dalla ricognizione delle normative, quindi misurasse e valutasse la situazione esistente dei servizi semiresidenziali e dell’abitare, per poi estrarne degli indicatori utili a rivisitare i vecchi modelli e identificare nuove strategie, in linea anche con la Convenzione Onu sui Diritti della persone con disabilità ed il loro progetto di vita personalizzato».

L’attuale contesto è quello di «numerose transizioni in atto, energetica, demografica, migratoria e delle tecnologie digitali. Anche quello del sistema di welfare è un tema centrale delle politiche. Ma delle transizioni non si conosce il punto di partenza e di arrivo; procedono in modo non lineare, determinano nuove forme sociali, economiche e culturali che cambiano le regole del gioco e le risposte che possiamo fornire ai problemi» ha dichiarato Emilio Rota. «Quanto al welfare, oggi prevale l’insoddisfazione e se ne denuncia l’incapacità di rispondere ai bisogni». Che fare, allora?

«Il primo passo per trovare migliori strategie e pratiche più efficaci per strutturare i servizi per le persone avendo a mente il benessere e la qualità della vita è stato raccogliere la conoscenza pratica dei professionisti e non solo il sapere degli specialisti» ha detto Nicoletta Pavesi, sociologa della Cattolica e responsabile scientifica della ricerca. «In quest’ambito, teoria e prassi vanno insieme e dialogano. Il ricercatore non è un soggetto neutro rispetto al suo campo di studio e non possono che esserci punti di vista diversi su una realtà così complessa».

Il lavoro, mediante interviste a persone con disabilità, inizia con l’individuare punti di forza e limiti delle pratiche di presa in carico e accompagnamento. Quindi, a partire dalle migliori prassi emerse, attraverso una ricerca qualitativa su 7 servizi residenziali e 5 diurni/semiresidenziali, identifica delle vie pratiche per organizzare la co-progettazione. Il successivo coinvolgimento dei vari attori come famiglie, caregiver, professionisti e istituzioni ha consentito la verifica della reale attuazione degli elementi emersi. Infine, il team è pervenuto a delle linee di indirizzo, orientamenti, indicazioni procedurali e di metodo per la riqualificazione dei servizi. Una fase che ha visto tutti gli autori, ciascuno con le proprie competenze e professioni, confrontarsi anche molto intensamente. Puntualizza Rota: «L’obiettivo è andare verso una transizione non più rinviabile del modello attuale, che ha una lunga storia e alla cui nascita lo stesso associazionismo ha contribuito, e migliorarlo anche attraverso progettazioni già in atto da rendere effettive ed applicabili in larga scala».

Il lavoro conferma anche un’altra situazione, già nota agli addetti ai lavori, e cioè che spesso le realtà del terzo settore gestiscono i servizi come incubatori di nuovi progetti. È, infatti, emersa l’esistenza sul territorio lombardo di realtà ed esperienze significative, già in linea con il concetto, peraltro stabilito dal legislatore vent’anni fa, di un progetto di vita individualizzato, in chiave inclusiva e partecipativa, nel rispetto dei desiderata delle persone  nel loro  percorso di vita. Il triplice focus dell’indagine – la dimensione della cura e del sostegno personale, quella organizzativa e quella istituzionale – segnala, spiega Rota, «la necessità di agire di concerto per il bene della persona, superando il rigido e uniforme approccio socio-sanitario per guardare alle persone e ai loro bisogni specifici. Si può e si deve fare».

Tra l’altro, dall’indagine è proprio l’area dell’autodeterminazione e dei diritti a essere la più sentita dalle persone con disabilità, come la possibilità di decidere e di esprimere le proprie opinioni, di scegliere le attività da svolgere da soli e in gruppo e di poter personalizzare il proprio Progetto di Vita. «Sarebbe ora di capire» chiosa Rota «che ognuno di noi ha bisogni diversi e che le singole quotidianità cambiano nelle diverse stagioni della vita».

«Tale ricerca può favorire una accelerazione del passaggio dal riconoscimento di questi cambiamenti alla loro attuazione» ha dichiarato Lamberto Bertolé, Assessore al Welfare e Salute del Comune di Milano, ricordando che «chiedere troppo ai servizi, che singolarmente sono di grande qualità ed efficienza ma possono faticare a dialogare e far propria la nuova prospettiva, si può finire per far prevalere l’esigenza di tutela su quella di inclusione e diventa quindi un fattore di irrigidimento».

Il poderoso lavoro durato tre anni e contenuto in un rapporto di 245 pagine sarà presentato alle istituzioni e ai vari stakeholder, ma può essere utile per gli operatori sul campo. Si legge nella conclusione del rapporto: «Come insegna l’esperienza e come conferma la ricerca, i mutamenti alle idee che orientano le politiche di welfare sono partiti spesso proprio dai Servizi e dagli operatori che al proprio interno vi lavorano».

Foto Anffas (Gabriele T., giovane Autorappresentante del Gruppo di Anffas Palermo nell’ambito dell’iniziativa La Casa degli Autorappresentanti)

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