Crisi d'impresa

I Workers Buyout: chi sono e quante Pmi italiane possono salvare?

Una ricerca realizzata da The European House - Ambrosetti in collaborazione con Amundi Italia e Coopfond indaga gli impatti potenziali dei Wbo, i lavoratori che acquisiscono o salvano l'azienda in cui operano. Dal 2011 ad oggi hanno salvaguardato oltre 90 aziende nel nostro Paese

di Redazione

Qual è il potenziale impatto economico dei Workers Buyout in Italia? E quante aziende potrebbero beneficiarne o essere salvaguardate attraverso questi strumenti? Ancora: come incentivarne e sostenerne l’adozione? Dare una risposta a queste domande è l’obiettivo della ricerca “Workers Buyout: l’impatto economico e sociale in Italia” realizzata da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Amundi Italia e Coopfond, il fondo mutualistico di Legacoop, presentato all’evento organizzato presso Le Village by CA Triveneto. La ricerca indaga gli impatti potenziali dei Workers Buyout nel contesto delle Pmi italiane, concentrandosi in particolare su quelle aziende che potrebbero trovarsi ad affrontare crisi d’impresa o difficoltà legate al ricambio generazionale, approfondendo gli impatti economici e sociali in termini di salvaguardia dei lavoratori occupati. In questi casi, il Wbo potrebbe rappresentare una soluzione efficace al problema.

Le conseguenze della crisi pandemica hanno attirato l’attenzione verso i potenziali strumenti per salvaguardare la competitività del sistema Paese e verso politiche per sostenere l’infrastruttura industriale in un momento di crisi. Una riflessione su questi strumenti diventa particolarmente importante per l’Italia sia alla luce della sempre crescente volatilità economica internazionale, sia in ragione di un tessuto industriale con una forte prevalenza di piccole e medie imprese (Pmi), in un contesto generale di invecchiamento della popolazione che in questo contesto assume una rilevanza specifica con riferimento alla classe imprenditoriale medio-piccola.

Tra i diversi strumenti esistenti, i Workers Buyout assumono una certa rilevanza: consistono nell’acquisizione o nel salvataggio di un’azienda, oppure di una sua parte, da parte dei lavoratori esistenti. Hanno catturato l’interesse politico e accademico, in quanto potenzialmente in grado di preservare l’occupazione e mantenere il ciclo produttivo. Dal 2011 ad oggi i Wbo in Italia hanno salvaguardato oltre 90 aziende, coinvolgendo circa 2.400 lavoratori in questo percorso.

I Wbo sono strumenti per le piccole imprese ma molto efficaci anche sulle medie: risultano particolarmente efficaci su aziende di medie dimensioni (da 50 a 249 dipendenti) con un default medio pari al 9%, un sesto rispetto alle microimprese e un valore della produzione 2,5 volte quello delle microimprese.

I Wbo possono essere parte della soluzione per catturare il valore a rischio con i passaggi di proprietà critici e la crisi d’impresa: sono circa cinquemila in Italia ogni anno le aziende coinvolte in passaggi generazionali critici o in crisi di impresa, coinvolgono circa 130mila lavoratori e generano un valore aggiunto totale di oltre 7,5 miliardi di euro.

Per permettere ai Wbo di uscire dalla “trappola del debito”, la soluzione può consistere nell’istituzione di un fondo di investimento specializzato in equipment renting che si occuperebbe di acquistare le immobilizzazioni materiali necessarie al Wbo e di affittarle a quest’ultimo. Questo fondo risulterebbe vantaggioso sia per i Wbo, aiutandoli a superare le difficoltà finanziarie, sia per gli investitori per i quali potrebbe rappresentare un’opportunità di investimento nell’economia reale con un interessante profilo di diversificazione rispetto ad un portafoglio tradizionale.

«Si parla molto di impact investing, ma le iniziative concrete sono ancora molto limitate», dichiara Giovanni Di Corato, Ceo di Amundi RE Italia Sgr e permanent guest del Local Executive Committee di Amundi SGR. «I Workers Buyout possono essere un settore promettente per gli investitori istituzionali in cui intraprendere, attraverso un fondo specializzato, interventi intenzionali, addizionali e misurabili, beneficiando di un livello di reddittività accettabile e sostenibile per i soggetti finanziati. È necessario attivare un dialogo con tutti i potenziali stakeholder, pubblici e privati, per rendere concreto un progetto tanto innovativo e dall’importante potenziale economico e sociale, di cui il convegno organizzato oggi è uno dei passi preliminari».

«Il contesto attuale, caratterizzato da crisi economica, tensioni geopolitiche e incertezza, ci impone di esplorare tutte le possibili soluzioni per mantenere la competitività economica e sociale del Paese», commenta Corrado Panzeri, partner and head of InnoTech Hub of The European House – Ambrosetti. «In questo scenario, i Workers Buyout si sono rivelati, negli ultimi anni, uno strumento efficace per preservare posti di lavoro e favorire la crescita economica. Inoltre, diversi esempi, come GresLab e Fenix Pharma, dimostrano come i Wbo possano generare nuovi posti di lavoro e contribuire allo sviluppo economico. Tuttavia, creare un Wbo di successo richiede interventi mirati e richiede un impegno congiunto di attori pubblici e privati per incentivarne la crescita e la sostenibilità».

«I Workers Buyout costituiscono un esempio concreto dell’apporto positivo che la cooperazione può garantire nella costruzione di un mercato più equo e inclusivo, capace di valorizzare il lavoro e di salvare il patrimonio di competenze presente nelle nostre comunità», spiega Andrea Passoni, amministratore delegato di Coopfond. «Per potersi sviluppare al meglio, i Workers Buyout devono però poter contare su una rete di sostegni innovativi e trasversali. Da questo punto di vista, lavorare in questa direzione permette alla cooperazione di dialogare con tutti quei soggetti, anche finanziari, che finora non hanno guardato ad essa come a un’opportunità».

Durante l’evento finale di presentazione dell’iniziativa sono intervenuti: Giovanni Baroni (presidente Piccola Industria, Confindustria), Francesca Montalti (responsabile del settore industriale di Legacoop Produzione e servizi, Legacoop), Moreno De Col (presidente Cna Veneto), Bruno Panieri (direttore Politiche economiche, Confartigianato nazionale), Filippo Pancolini (vicepresidente, Confindustria Veneto Est), Marco Lomuscio (ricercatore del Centro internazionale di studi sulla cooperazione – Università di Parma), Luca Bernareggi (amministratore delegato di Cooperazione Finanza Impresa), Giovanni Maggi (presidente di Assofondipensione), Valeria Negrini (vicepresidente della Fondazione Cariplo) e Simone Petrillo (transaction & relationship officer del Fondo europeo per gli investimenti).

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.