Formazione
Verifica. Follini tiene duro. Udc verso l’appoggio esterno?
Berlusconi blandisce il segretario dell'Udc, pronto a trattare su tutto, ma Follini non cede e minaccia la crisi anche se alcuni dei suoi tentennano...
Varata la manovra di contenimento della spesa, il premier si sta concentrando sugli sviluppi di una crisi politica di cui non si vedono ancora gli sbocchi. Tutte le informazioni sugli orientamenti della leadership dell’Udc convergono nel definire esigui i margini per riassorbire il dissenso di Marco Follini. Anche Pierferdinando Casini, secondo alcuni esponenti di primissimo piano del partito, avrebbe dato la sua solidarieta’ al segretario, nel vertice che c’e’ stato mercoledi’ sera, pur mantenendo aperto uno spiraglio. Sono contrari all’appoggio esterno annunciato dal segretario gli uomini forti della base del partito. Non condividono questa linea un gran numero di deputati e senatori. Ma Follini si muove ormai come se questo sbocco fosse ineluttabile e il consiglio nazionale del 16 lo dovesse ratificare – come e’ probabile – senza problemi. “Giusto o sbagliato e’ il mio partito”, e’ la frase che ripetono quanti, con responsabilita’ di governo, annunciano che comunque rispetteranno le decisioni del partito. Insomma, se Follini, come sembra, insistera’ sulla linea della rottura i ministri e i sottosegretari rassegneranno le dimissioni.
Se queste premesse fossero fondate – come peraltro si assicura – l’esito della verifica su tre tavoli che si iniziera’ domenica sera e proseguira’ a oltranza, sarebbe segnato. Rocco Buttiglione tuttavia ancora oggi si e’ sforzato di mostrarsi ottimista e quanti hanno seguito il negoziato sulle modifiche da portare alla riforma costituzionale segnalano significative convergenze gia’ raggiunte dagli sherpa che si sono occupati della materia, federalismo compreso. Non ci sono problemi neppure sulla modifica in direzione del proporzionale con sbarramento della legge elettorale: la Lega l’ha sempre chiesto, Forza Italia ha presentato una proposta per adottarla sin dalla scorsa legislatura e An, favorevole all’uninominale, ha fatto sapere che e’ pronta ad adeguarsi se il nuovo sistema ricalchera’ il Tatarellum in vigore per l’elezione dei consigli regionali. Convergenze del resto sono ormai possibili, dopo le correzioni annunciate dal premier, sulla politica economica e fiscale e non ci sono piu’ ostacoli neppure sul terreno del rimpasto di governo: Berlusconi si e’ dichiarato disposto a ritocchi significativi, che tengano conto delle istanze degli alleati. An e Lega gli hanno dato atto. Ma a Follini, e’ il jingle che rimbalza ai piani alti dei palazzi romani, non basta. Ormai e’ chiaro che sta cercando di determinare le premesse di un processo che metta in discussione il bipolarismo come si e’ configurato sino a oggi. E gli scambi di segnali con Francesco Rutelli e gli ambienti cattolici della Margherita sono la spia di una gran voglia di far saltare il banco per rimescolare le carte e ripartire da capo. Tuttavia, Follini – cosi’ almeno e’ stata spiegata ai livelli istituzionali piu’ autorevoli la sua strategia – e’ anche consapevole delle difficolta’ e della necessita’ di far maturare condizioni per il cambiamento di stagione che allo stato ancora non ci sono. Cosi’, punta a provocare una crisi che porti un primo colpo a cio’ che rappresenta Berlusconi, per garantire l’appoggio esterno a un nuovo governo – guidato sempre da Berlusconi – che tenga conto delle istanze dell’Udc e sia garantito al ministero dell’Economia da un ministro che segni una sostanziale discontinuita’ con le politiche tremontiane e magari possa diventare il futuro premier di un governo capace di riaggregare i cosiddetti moderati dei due poli. E il nome e’ quello di Antonio Fazio.
Ma non e’ l’unico scenario possibile. Berlusconi spera che tutto si aggiusti e che Follini ci ripensi. Non considera chiusa la partita ed e’ pronto a negoziare. In caso contrario non e’ ancora detto pero’ che quello evocato da quanti nei circoli contigui al mondo della politica e dell’economia puntano sul segretario dell’Udc e sulla rottura sia l’unico scenario praticabile. Non e’ detto insomma che l’annuncio del ritiro della delegazione dell’Udc al governo comporti l’apertura formale della crisi. C’e’ un precedente che risale agli anni ’90, quando dal governo si dimisero quattro ministri di primo piano della sinistra Dc e furono semplicemente sostituiti (peraltro sul decreto Craxi sulle tv di Berlusconi…). E’ vero che in questo caso sarebbe un partito a dissociarsi, ma l’annuncio che comunque non uscirebbe dalla maggioranza non altererebbe il quadro politico. E comunque il giudizio spetterebbe alle Camere, alle quali, senza violare alcuna norma costituzionale, il premier potrebbe rivolgersi per ottenere la conferma della fiducia, rilanciando a Follini la palla e sfidandolo a votargli contro e a convincere tutti i suoi a farlo, con la minaccia – nemmeno troppo velata – di fare come già fece con la Lega, quando Bossi fece cadere il suo primo governo: comprarli uno ad uno. Allora non gli riuscì, ora è diverso, non tanto per la minoranza filo-berlusconiana dell’Udc (Giovanardi, Rotondi, Fontana) quanto per la forza del “partito siciliano” che, con il governatore Cuffaro e il segretario Lombardo, ha solo fame di posti.
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