Mondo

Nino Sergi risponde ai vertici militari in Iraq. No, ognuno faccia il suo lavoro

"Chiediamo che i soldati svolgano il loro ruolo senza ambiguità e confusioni. Non si può sparare e subito dopo portare aiuti".

di Nino Sergi

Continua l?offensiva mediatica del ministero della Difesa e delle Forze armate che, prevediamo, continuerà. È iniziata col presentare le missioni armate come missioni umanitarie; siamo ora al presentare i militari come gli unici attori degli aiuti e della ricostruzione in Iraq.
Non si tratta di antimilitarismo. Vogliamo che sia fatta chiarezza su ciò che riguarda noi, organizzazioni umanitarie non governative italiane. Ci siamo dichiarati contrari alla guerra preventiva, all?invio di una forza militare italiana priva della piena legittimazione internazionale, abbiamo considerato le forze militari della Coalizione come forze di occupazione. Una missione di peacekeeping non è tale perché così la si autodefinisce: essa deve corrispondere a criteri e condizioni definiti dal diritto internazionale, che la missione italiana non ha avuto. I principi che guidano le organizzazioni umanitarie sono l?umanità e la totale autonomia e indipendenza, al fine di garantire l?indispensabile neutralità e imparzialità dell?aiuto. Da parte delle ong in Iraq – e in particolare quelle italiane – c?è sempre stata attenzione a rimanere e a mostrarsi nel proprio ambito di intervento. Con severità siamo stati fedeli alla scelta di non collaborare con le forze di occupazione e di non avere rapporti con i militari, cercando così di salvaguardare l?integrità dello spazio umanitario contro ogni possibilità di confusione. Per questo abbiamo deciso di evitare un impegno consistente e visibile a Nassiriya, dove è stata presente una sola ong italiana. Lo spazio umanitario è infatti sempre più invaso da altri principi, strumentalizzazioni e modalità di intervento che stanno restringendolo, fino quasi ad annullarlo. Le conseguenze sono gravissime. L?abuso del termine umanitario, la strumentalizzazione dell?azione umanitaria, l?abbinamento degli aiuti con le armi stanno producendo un inquinamento dei principi e dell?azione umanitaria, creando confusione tra la gente che non riesce più a distinguere gli operatori umanitari dai militari e mettendo a rischio volontari, operatori umanitari e operatori sociali.
Purtroppo, la strategia militare considera che anche l?azione umanitaria, promossa e gestita dai militari, debba far parte del ?proprio mestiere?. È sempre stato così, ma oggi la dimensione assunta è più ampia, aggressiva, talvolta ?concorrenziale? con le stesse organizzazioni umanitarie. Questo non significa negare l?umanità, la generosità, l?altruismo che abbiamo spesso ammirato in molti militari. In situazioni diverse da quella irachena, dove la presenza militare era all?interno di un?operazione delle Nazioni Unite, abbiamo perfino collaborato, come in Somalia o in Bosnia. Non si tratta quindi, è ovvio, di un giudizio sulle persone ma della doverosa presa di coscienza politica dell?abisso che separa, concettualmente e nella realtà, le due mission.
Le ong chiedono che sia abolito il termine umanitario da qualsiasi presenza o attività delle forze armate in Iraq come ovunque nel mondo. Chiedono che ognuno faccia il proprio mestiere, senza ambiguità, senza sconfinamenti e quindi senza confusioni. È in gioco la sopravvivenza dell?azione umanitaria. Solo con questa chiarezza sarà possibile per le ong rilanciare in Iraq una forte e decisa azione umanitaria, anche a Nassiriya.
(Il testo completo Iraq, ong: Sergi (Intersos) replica a Dalzini)

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