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Contro il fisco iniquo cambia il quoziente
In Italia una famiglia monoreddito paga il doppio di una con due stipendi. La soluzione? Una riforma che modifichi i criteri di fondo. Come in Francia.
Nel 2003, una famiglia con reddito familiare di 24mila euro, un figlio e un solo percettore di reddito ha pagato imposte per 4.252 euro. Se lo stesso reddito è stato percepito da entrambi i coniugi per 12mila euro a testa, l?imposta totale ammonta a 2.151 euro. Quindi la famiglia monoreddito ha pagato il 98% di imposte in più rispetto alla plurireddito. Paradossi italiani.
Paradosso che assume connotati da teatro dell?assurdo se si prende il caso della medesima famiglia con due figli. In questo caso il monoreddito paga 3.736 euro, i due redditi 1.634. Mentre la famiglia con genitore solo (monoparentale) paga addirittura 4.203 euro di tasse, non essendoci più la detrazione per il coniuge a carico. Che spiegano, in buona parte, perché l?Italia abbia anche il triste record mondiale negativo in termini di natalità.
In sostanza, le famiglie monoreddito pagano più tasse di quelle plurireddito e sono per questo penalizzate, in particolare se nel nucleo ci sono dei figli. Una situazione che testimonia, dunque, l?esistenza di un fisco «ingiusto ed iniquo».
La soluzione si chiama ?quoziente familiare?, modellata sul modello del fisco francese. Una strada più volte delineata dalle associazioni e ora rilanciata alla grande dalle Acli. Il presidente delle Acli, Luigi Bobba non risparmia critiche alla cosiddetta riforma Tremonti dove, dice, «non c?è traccia di sgravi per la famiglia».
Secondo Bobba, le attuali politiche fiscali sono di «un?ingiustizia grave, reiterata e inaccettabile» nei confronti delle famiglie italiane, partendo dal presupposto che le tassazioni vadano attribuite «secondo il reddito individuale, come se le persone non vivessero in un nucleo familiare».
Ecco il motivo che ha spinto le Acli a presentare uno studio, curato dal prorettore dell?università Cattolica di Milano, Luigi Campiglio e che ha già suscitato il «personale interesse» del ministro del Welfare, Maroni (che aveva ventilato una simile soluzione incontrando a maggio il Forum delle associazioni familiari). Secondo il professor Campiglio, applicando la tassazione sul reddito effettivamente a disposizione della famiglia in base al numero dei componenti, sulla falsariga di quello francese (la comparazione è stata realizzata sulla base di dieci dichiarazioni di 730 congiunte scelte tra i redditi bassi, medi e alti, in base alle tipologie più diffuse nel nostro Paese), le famiglie italiane pagherebbero dal 22 al 100% in meno, a seconda del reddito e del numero dei figli.
L?onorevole Mimmo Lucà, Ds, fa notare che il sistema del ?quoziente familiare? può funzionare solo in un quadro di imposte e aliquote crescenti, che rispecchiano cioè il criterio della progressività, «e non certo in quello dell?imposta unica o poco più, prospettata dalla riforma fiscale Tremonti e confermata da Berlusconi nell?interim all?Economia perché, se si passa all?aliquota unica, il quoziente perde di forza e diventa di difficile applicazione». Lettura confermata da Campiglio che spiega: «La riforma fiscale in fase di attuazione in Italia è fondata sugli individui e quindi conserverà, a un minore livello di imposte, gli attuali squilibri sul piano dell?equità fiscale».
Del resto, anche secondo lo studio delle Acli, la riforma fiscale in fase di attuazione in Italia, con l?introduzione della ?no tax area?, ha accentuato le disparità: per le famiglie plurireddito le imposte si sono ridotte del 30%, mentre per le altre (monoreddito e monoparentali), a parità di condizione economica, solo del 3%. L?introduzione del ?quoziente familiare? comporterebbe naturalmente, però, una riduzione di gettito dell?imposta sulle persone fisiche di circa 32 miliardi di euro (25%).
Per attenuare l?impatto di questa riduzione, le Acli propongono sia di accorpare alcune misure attualmente previste a favore della famiglia (detrazioni) sia di articolare la manovra in maniera graduale, partendo dai redditi familiari più bassi, ipotesi che però non convince il sottosegretario al Welfare, Grazia Sestini («Se partiamo dai redditi più bassi», sostiene, «il flusso di denaro che si rimette in moto è minore e la legge non si ripaga»).
«La nostra è una proposta di legislatura, da effettuare e graduare in più anni, non certo estemporanea», replica Luigi Bobba. In effetti, in questo (scorcio?) di legislatura, tra nuovi tagli, tasse e crisi di governo, di misure per la famiglia sarà difficile parlare, nonostante la buona volontà dell?Udc. Ma tutti sanno che le famiglie sono stanche di aspettare.
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