Attivismo
“No all’aumento delle navi da guerra”: a La Spezia due anni di mobilitazione contro il progetto della Nato
La "Rete spezzina pace e disarmo" chiede un "porto di pace" contro il progetto che mira ad aumentare la ricettività delle navi da guerra nei porti italiani. Intanto i costi sono aumentati da 700 milioni a 1,7 miliardi
Da oltre due anni la “Rete spezzina pace e disarmo” scende in piazza a La Spezia per chiedere un “porto di pace”. Recentemente c’è stato il 121esimo presidio, portando avanti la campagna contro il progetto “Basi blu”, Piano nazionale di ampliamento e adeguamento agli standard Nato delle basi militari navali.
L’obiettivo del ministero è di “aumentare la ricettività delle navi da guerra nei porti militari italiani” il tutto in linea con la pericolosa spirale di guerra in cui l’Italia è sempre più coinvolta.
Un progetto voluto dalla Nato
Un progetto fortemente voluto dalla Nato che ha iniziato ad essere finanziato, senza grande dibattito parlamentare, con le leggi finanziarie 2017-2018, poi è stato rifinanziato a gennaio dal Governo Meloni. I lavori non sono ancora partiti ma nel frattempo il costo complessivo è lievitato dagli iniziali 700 milioni di euro a 1,7 miliardi. Sono stati già stanziati 559,36 milioni, che ricadono sul bilancio ordinario del ministero della Difesa.
Per il resto (997,64 milioni) ci saranno successivi provvedimenti di finanziamento. Oltre alla Spezia, gli altri porti coinvolti sono Taranto e Augusta, ma anche porti minori come Brindisi, Cagliari, Messina, Ancona, Venezia, Napoli e Livorno.
«Spesso si tratta di zone Sin, cioè estremamente contaminate, zone di sacrificio e da decenni in attesa di bonifica. Così, anziché bonificare e restituire alla comunità queste aree, disorganizzate e sottoutilizzate, si spendono soldi pubblici per incrementarne la potenza bellica, mantenendo i rischi ambientali» afferma William Domenichini dalla Rete spezzina, che a riguardo ha scritto anche un libro Il golfo ai poeti (no basi blu).
Senza dibattito o coinvolgimento della popolazione
Per la base militare spezzina sono stati predisposti 354 milioni, il tutto senza un adeguato dibattito e coinvolgimento della popolazione.
«Nel silenzio le strutture del ministero della Difesa hanno redatto un progetto di fattibilità, bandendo ed affidando la gara per i lavori. La nostra base dovrà accogliere fino a 14 unità navali militari. In concreto costruiranno tre nuovi moli, amplieranno il molo e la banchina esistenti, per un tombamento a mare di circa 40mila metri quadrati. Saranno dragati 600mila metri cubi di fondali della darsena, fino a 12 metri di profondità, smuovendo proprio quei sedimenti estremamente contaminati, e rimettendo in circolo in mare mercurio, piombo, Pcb e altri inquinanti persistenti. Verrà poi riattivato l’impianto di rifornimento gasolio aeronautico, con le tubature che passano sotto le viscere della collina in cui sorge Marola, con il rischio di perdite e inquinamento delle falde. Il tutto senza operare una reale bonifica delle realtà inquinate come la discarica di Campo in ferro, il cui potenziale di morte è ricoperto da dieci anni solo da uno strato di terreno e da un telo».
La discarica abusiva
Il Campo in ferro, tristemente noto a tutti gli spezzini, è una discarica abusiva, scoperta da una inchiesta nel 2004, che sorge dentro l’Arsenale, in riva al mare. In decine di anni i militari vi hanno buttato di tutto: amianto, accumulatori al piombo, parti di elettrosegnalatori, pale di elicottero, fusti metallici con vernici e diluenti, batterie, pneumatici e anche materiale radioattivo che in parte è stato trasferito alla base del Cisam, a Pisa (dove peraltro sorgerà un’altra nuova base militare).
All’inquinamento dell’Arsenale, si somma l’impatto delle esercitazioni. «Esercitazioni di tiro effettuate in mare aperto, proprio nel bel mezzo del Santuario dei cetacei, sperimentazioni balistiche all’ingresso del golfo, a poche centinaia di metri da Portovenere, velivoli in dotazione alle unità navali, come gli Eh-101 Ash139, che sorvolano i tetti delle abitazioni. La base militare della Spezia può ospitare anche sommergibili a propulsione nucleare» racconta Domenichini. «E tutto a poca distanza dalle nostre case».
Il rigassificatore di Panigaglia
Questo via vai sarà destinato ad aumentare una volta ampliata la base. A poca distanza e sempre nello stesso stretto golfo, è ubicato anche il rigassificatore di Panigaglia, il più vecchio in Italia, enorme impianto che deve trasformare Gnl in gas naturale, a rischio di incidente rilevante e raggiunto da un continuo via vai di metaniere. Qui c’è una piccola associazione, Posidonia, che da molti anni denuncia i rischi e i pericoli ai quali è esposto tutto il golfo oltre a denunciare il disastro ambientale: «Anche a causa del rigassificatore che raffredda le acque e sversa tonnellate di ipoclorito di sodio, la Posidonia, pianta acquatica e rarissima, è ormai scomparsa», spiega Gabriella Reboa.
I tetti di eternit dell’Arsenale
Murati Vivi è un’associazione nata nel 2010, per protestare contro il muro che divide la città (frazione di Marola) dal mare, costruito fin dagli anni 70 quando venne ampliato l’Arsenale anche nella zona di Ponente.
La cittadinanza protestava anche per i tanti capannoni militari con tetti di eternit che sorgevano vicino alle scuole e alle case. «Il nostro Arsenale è in totale stato di abbandono, in dieci anni ha perso il 95% della forza lavorativa, ci ha lasciato solo morte, degrado, inquinamento e abbandono», spiega Lorenzo Pavoni. «Ed ora, anziché mettere in sicurezza e bonificare l’Arsenale, si spendono milioni per ampliare la base navale a poca distanza dalle nostre case, aumentando emissioni e rischio di incidenti. Le basi blu, ricordiamolo, non creeranno un solo posto di lavoro, perché ampliare le infrastrutture non produrrà nessuna opportunità occupazionale stabile».
I presidi continueranno
Domenichini mette in guardia: «Continueremo con i nostri presidi, in una mobilitazione permanente della nostra comunità, per chiedere un porto di pace, bonifiche subito e che l’Arsenale in disuso torni alla comunità. C’è infatti un altro rischio, che importanti porzioni del demanio militare, non più strategici per i militari, siano cedute a privati, per progetti speculativi e senza alcun interesse pubblico».
Un po’ come successo nella vicina isola della Palmaria, con lo scandalo che ne ha conseguito.
I prossimi presidi si terranno il 18 e 25 novembre.
Tutte le immagini dei presidi sono di William Domenichini
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