Proposte

Il carcere? Per i minorenni non funziona

«Il carcere e tutte le misure che sono solo contenitive non funzionano, men che meno con i ragazzi», dice Franco Taverna, responsabile area adolescenza della Fondazione Exodus di don Mazzi. «Per evitare che i ragazzi compiano nuovamente reati sono inefficaci tanto le punizioni quanto i premi, serve un solido approccio educativo che possa far sperimentare un’altra strada, un’altra vita»

di Redazione

Si è concluso il Convegno “Tessere trame complesse” organizzato dalla Fondazione Exodus di don Mazzi che è coinciso con fine della prima edizione del Progetto “Pronti Via!” selezionato dall’Impresa Sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Un intervento quadriennale per dare una risposta psico-socio-educativa ai minorenni sottoposti a misure restrittive da parte della Autorità giudiziaria, attraverso il modello “Carovana”, una intensa esperienza educativa itinerante che fa parte del Dna di Exodus e che mira a diventare proposta strutturata integrata dei servizi giustizia minori. 

«Superiamo la logica del carcere, cioè l’idea di carcere in quanto struttura repressiva». Tuona don Antonio Mazzi, presidente di Fondazione Exodus, all’avvio dei lavori del convegno. «È  con progetti educativi forti come questo che i ragazzi ritrovano se stessi.  E agli educatori che li accompagnano dico sempre di usare la parola e di guardare negli occhi questi ragazzi, perché solo così è possibile scoprire la parola “vera”».

Giustizia ed Educazione, è un binomio possibile? E ancora Come si organizza la giustizia minorile in Italia? Quali sono le proposte di esecuzione penale alternativa al carcere per gli adolescenti? Quale quella di Exodus? Quali sono i soggetti che possono intervenire e in che modo?” È a queste domande che l’incontro ha provato a rispondere.

«In questi 4 anni di strada abbiamo appreso molto», afferma Franco Taverna, Coordinatore Nazionale Progetto Pronti,Via! di Exodus. «Abbiamo cominciato a mettere a fuoco i nodi critici dei percorsi di maturazione dei ragazzi che hanno commesso reati e vorremmo confrontarci con chi vive accanto a loro, familiari e professionisti, cercando di capire quali elementi compongono il sistema nel quale operano e quali trasformazioni sono possibili e auspicabili». 

Due le ipotesi da cui ripartire: «Il carcere e tutte le misure che sono solo contenitive non funzionano, men che meno con i ragazzi», ha dichiarato Taverna. «Il reato, che agli occhi della pubblica opinione imbevuta di paura, appare come l’unico bersaglio da cancellare a tutela del “dio” sicurezza, per la vita dei ragazzi che lo commettono è in genere un incidente di percorso, sotto al quale ci sono ben altri più importanti problemi e complicazioni nella loro vita. Per evitare che i ragazzi compiano nuovamente reati sono inefficaci tanto le punizioni quanto i premi, serve un solido approccio educativo che possa far sperimentare un’altra strada, un’altra vita. E la seconda, che il nostro metodo delle carovane poteva invece funzionare con gli adolescenti che sbagliano così come funziona da anni con le persone tossicodipendenti. Offrire ai ragazzi delle proposte di avventure positive all’interno di un contesto di gruppo insieme a educatori, camminando, facendo sport e musica, sperimentando la bellezza della natura, del fuoco la sera ma anche della fatica, ecco, la seconda convinzione era ed è che le nostre carovane, anche per i ragazzi che hanno commesso reati, fossero più efficaci del carcere o dei programmi territoriali. O almeno potessero costituire una valida alternativa».

Ad oggi la Fondazione ha promosso 9 carovane con minorenni, coinvolgendo oltre 100 ragazzi in 4 anni di Progetto.  

Durante il convegno è stata lanciata anche la proposta di un nuovo progetto che mette sempre al centro la carovana come strumento e modello educativo che può essere utilizzato anche per i neomaggiorenni detenuti, con l’auspicio che possa diventare una stabile opportunità di riscatto per giovani finiti nel circuito penale. 

Cettina Bellia, che da funzionaria è diventata direttrice Usmm di Caltanissetta, ha portato la sua esperienza diretta: «Nel mio percorso professionale ho capito che con questi ragazzi il colloquio non bastava, ma bisognava spostarsi dalla scrivania e andargli incontro. Così, quando mi sono imbattuta in questa proposta, in questa avventura, mi sono convinta subito che il progetto, il cammino, la carovana potesse essere la strada giusta. Ed è stato fondamentale anche il lavoro fatto con l’equipe di educatori, perché la carovana ha messo insieme l’avventura e la relazione autentica, perché dietro l’avventura c’è stata la capacità degli operatori di trasmettere valori e trasmettere senso di appartenenza ad un gruppo, che per loro vale tanto».

Alessandro Martina racconta il progetto dalla parte di chi legge, seleziona e scommette su queste proposte: «Come Impresa sociale “Con i Bambini” abbiamo sempre attenzionato il mondo dei ragazzi e della devianza giovanile e abbiamo cercato di finanziare progetti innovativi che cercano di dare risposte inedite, rischiose e sperimentali, come questo». 

Al Convegno ha partecipato anche Silvio Premoli, Garante per l’infanzia e l’adolescenza Città di Milano. «Il tema dei diritti è la vera chiave di lettura. Quando osservo le cose con la lente dei diritti cambia tutto. Continuiamo a fare fatica a considerare il punto di vista dei ragazzi e delle ragazze, dei bambini e delle bambine. Ma loro funzionano come noi: si interrogano sulle cose della vita, cercano risposte, vogliono essere riconosciuti».

Roberta Cossia è magistrata di Sorveglianza presso il Tribunale di Milano, e ha ammesso: «L’investimento sul carcere e sul recupero è basso ed è appannaggio del Terzo settore e del volontariato. Nelle carceri in Italia abbiamo troppi ragazzi, malati psichiatrici e tossicodipendenti ignorati dal sistema. Io sono personalmente e assolutamente contraria al carcere minorile».

Perché il modello del carcere minorile non funziona lo spiega anche Angelo Aparo – psicoterapeuta fondatore del “Gruppo della Trasgressione”: «Il principale diritto di cui il carcere ti priva è quello della responsabilità. Ed è solo l’esercizio della responsabilità che ci rende cittadini e adulti. Gli adolescenti si trovano davanti ad un mondo senza autorità credibili, e se queste mancano allora il mondo – ai loro occhi – non merita di essere rispettata. Abbiamo bisogno di autorità credibili».

È più che mai necessario tracciare percorsi possibili. Luciano Eusebi – Professore Ordinario di diritto penale Università Cattolica: «La pena non può essere un corrispettivo. Se il rapporto con l’altro è fondato solo sul “giudizio” positivo o negativo quando rappresenti un problema per per i miei interessi allora ciò che è negativo lo devo espellere. In pratica applichiamo al reato la stessa logica che si applica alla guerra. Ma questa logica rischia di portare l’umanità alla distruzione totale».

Santo Rullo – psichiatra, comunità terapeutica “La Casa”: «Continuare a cercare la diagnosi come soluzione al problema significa escludere il percorso educativo. Basta parlare di strutture residenziali e centri diurni, gli strumenti ci sono e sono culturali». 

Cira Stefanelli – direzione Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Roma: «Continuano a mettere su cancelli, più sicurezza – nelle comunità e nelle scuole. Releghiamo i giovani nelle strutture. La carovana invece è un contesto pensato ad hoc che favorisce gli apprendimenti. Credo abbia avuto una sorta di magia, ha favorito la capacità di entrare in relazione tra un gruppo di pari e il mondo degli adulti». 

In apertura don Antonio Mazzi e Franco Taverna della Fondazione Exodus di don Mazzi

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