Mondo

Attivismo degli azionisti. Un boom negli Usa

Nei primi cinque mesi dell’anno già presentate 1.147 mozioni. In tutto il 2003 erano state 1.082.

di Carlotta Jesi

Da grido disperso dal vento a concreto strumento di cambiamento sociale. È il salto di carriera che, secondo il quotidiano statunitense Christian Science Monitor, ha compiuto negli ultimi due anni lo shareholder activism americano. Ovvero l?arte di cambiare l?impatto e le politiche socio ambientali delle multinazionali acquistandone azioni e con esse il diritto di proporre mozioni migliorative. Mozioni che, dal 2002 a oggi, sono cresciute per numero e per voti ottenuti nelle assemblee degli azionisti. I numeri, pubblicati in uno studio dell?Investor Responsibility Research Center di Washington, parlano chiaro. Nel 2002, anno dello scandalo Enron, furono proposte 802 mozioni all?insegna della responsabilità socio ambientale. Nel 2003, il loro numero è passato a 1.082 e, solo nei primi cinque mesi di quest?anno, a 1.147. Il contenuto di queste proposte che, nella maggior parte dei casi, gli azionisti presentano avvalendosi dell?aiuto di enti della società civile? Varia, dai limiti imposti agli stipendi dei dirigenti agli investimenti in energia pulita, fino all?assunzione di politiche non discriminatorie nei confronti di minoranze etniche, disabili e dipendenti omosessuali. Tematiche che il mondo della corporate America non può più permettersi di snobbare. Risultato: se nel 2002 le mozioni all?insegna della sostenibilità socio-ambientale approvate non superavano la cinquantina, nel 2003 ben 161 sono state votate dalla maggioranza degli azionisti. Un record che, secondo l?Investor Responsibility Research Center, probabilmente verrà battuto entro la fine dell?anno.


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