Formazione

L’ultimo saluto a Zaira Spreafico

Si è spenta sabato Zaira Spreafico, 84 anni, presidente di un'associazione che conta trentatré centri in Italia e altri nel mondo

di Redazione

Si è spenta sabato Zaira Spreafico, 84 anni, presidente di un’associazione che conta trentatré centri in Italia e altri nel mondo, con alle dipendenze oltre duemila persone, compresi alcuni luminari e scienziati, eppure sembrava una qualsiasi donna qualsiasi. Nulla in lei era fuori dal comune. Zaira Spreafico di eccezionale aveva solo il suo essere normale. La sua è una storia che inizia settantotto anni fa. “La mia era una famiglia di gente comune. Mio padre Carlo riuscì a creare un negozio di ferramenta e casalinghi. Era un uomo molto religioso, impegnato in molte attività ecclesiali. Nel 1936 diventò parroco di San Giovanni, il paese in cui sono nata e che attualmente fa parte della città di Lecco, Don Luigi Monza”. Un servo di Dio. Un prete. Un incontro destinato a trasformarle la vita. “Don Luigi era un uomo molto semplice, con una grande spirito di accoglienza. Si faceva ben volere pur essendo molto riservato. Non era distaccato, ma si sentiva che non agiva per se stesso. Sentiva il suo sacerdozio come un privilegio particolare. In ogni suo gesto si intuiva il carattere sovrannaturale del mistero”. “Il desiderio maggiore di Don Luigi era quello di fondare un’associazione religiosa, ma che al tempo stesso non fosse staccata dal mondo. Non voleva un vestito uguale per tutti, né la vita comunitaria obbligatoria, né che le persone fossero obbligate ad abbandonare la loro condizione laicale e magari la loro professione. L’unico scopo doveva essere quello di diventare testimoni della carità evangelica. Il suo proposito era di trasferire nel mondo quello spirito di carità che animava i primi apostoli”. Educata a donare il proprio tempo per gli altri, ma mal disposta verso le forme estetiche di appartenenza (“quando facevo la crocerossina non sopportavo il velo e sovente ricevevo i rimproveri dell’ispettrice”), Zaira rimase presto sedotta dalla forte carica spirituale di Don Luigi. A ventidue anni decise di diventare una delle “Piccole apostole della carità”, entrando a far parte dell’associazione che il parroco aveva voluto chiamare “La nostra famiglia”, per “dare il senso dell’essere padre e madre per tutti e fratelli e sorelle tra di noi”. “I primi periodi coincisero con la seconda guerra mondiale. La prima casa fu quella di Vedano Olona. Eravamo in pochi e facemmo di tutto. Ospitammo dei rifugiati, aiutammo alcuni ebrei a fuggire, raccogliemmo anziani rimasti soli in seguito ai bombardamenti”. Così nacque “La nostra famiglia”, destinata però a specializzarsi in un settore particolare. “Quando il professor Vercelli seppe che ci occupavamo di bambini, fece la proposta di collaborare con l’Ospedale Nevrologico Besta di Milano, che era l’unico in Italia ad avere un ambulatorio di neuropsichiatria infantile. C’erano bambini che avevano bisogno di essere riabilitati per non finire nei ricoveri o nascosti tra le mura domestiche. Ci dissero che, se trattati nella maniera opportuna, quei ragazzi potevano recuperare la loro dignità. Fu così che cominciammo, un po’ da sprovvedute. Nell’immediato dopoguerra frequentammo numerosi corsi e ci tenemmo in contatto con l’Ospedale. Partimmo con quattro bambini nel 1946 e guardate adesso dove siamo arrivati”. Sono arrivati lontano, ma non c’è enfasi in questa affermazione. Al più un accento di preoccupazione. “Oggi ci troviamo a dover affrontare delle situazioni che ci fanno temere di non mantenere quello spirito che ci ha sempre contraddistinto. Lo spirito di famiglia, di accoglienza, di prendersi cura della persona e di assistere chi vive con loro. Lo spirito che ci ha permesso di dare assai di più di ciò che altri centri possono fornire tramite una semplice convenzione regionale. Don Luigi diceva che se avessimo tradito lo spirito, sarebbe tornato col piccone a buttar giù le case”. Sorride Zaira. Spera che Don Luigi torni, ma senza piccone. Da qualche tempo è stata inoltrata la causa di beatificazione. “Mi dicono che la sua pratica è in fila. Io rispondo che a volte quando si è in fila qualche spinta può aiutare. D’altro canto, questo Papa di santi ne ha fatti tanti. Dimostrando soprattutto una cosa: che la santità non è solo alla portata di personaggi straordinari, bensì di tutti i cristiani. Anche di quelli comuni e normali”. Don Luigi Monza l’aveva conosciuto a Lecco nel 1936. Era rimasta folgorata dalle sue parole sulla santità come cammino per tutti. Nel 1947 la scelta: dedicarsi a tempo pieno all’organizzazione di servizi per la diagnosi, la cura e la riabilitazione dei bambini disabili. Un impegno fianco a fianco con una struttura d’avanguardia come l’Istituto neurologico “Besta” di Milano. Perché – come era solto ripetere don Luigi Monza – “il bene va fatto bene”. E dunque anche ai ragazzi colpiti da handicap gravissimi non basta offrire assistenza. Anche loro e loro famiglie hanno diritto alla salute e a ogni possibilità che la scienza offra di migliorare la qualità della vita. Fu una prospettiva rivoluzionaria che si estese a macchia d’olio. Dalla Lombardia ai nuovi centri di Ostuni, San Vito al Tagliamento, Roma, Candriai di Trento… Per poi guardare anche più lontano, con la nascita dell’Ovci, l’organismo di volontariato internazionale legato alla “Nostra Famiglia”. E così oggi c’è chi “fa bene del bene” anche a Juba nel martoriato Sudan, a Santana in Brasile, a Esmeraldas in Ecuador… I funerali di Zaira Spreafico si terranno oggi alle 15 nella “casa madre” dell’associazione a Ponte Lambro.


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