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Dpef/2. Utili e prestiti sotto tiro. Cooperative a colpi di mannaia

Fini aveva lanciato la minaccia. Maurizio leo, responsabile fiscale di An, scopre le carte. E svela i dettagli della manovra.

di Francesco Agresti

Come far cassa spremendo le coop. Mentre in tutto il mondo il 2 luglio si festeggia la Giornata internazionale delle cooperative, il governo, per bocca del vicepresidente Fini, lancia strali contro il mondo della cooperazione: «I privilegi devono finire». Una sortita, quella del vice premier, che cade come un fulmine su un confronto ufficioso, che doveva rimanere riservato, che il ministero dell?Economia ha avviato con le centrali cooperative per definire il regime fiscale da applicare dopo la fase transitoria applicata negli ultimi due anni. Ma cosa nasconde l?annuncio a sorpresa di Fini? Vita lo ha chiesto a Maurizio Leo, responsabile per le questioni fiscali di Alleanza nazionale. «Il fatto che le cooperative godano di vantaggi fiscali è un dato oggettivo che non può essere contestato», attacca Leo, «non è giusto che un imprenditore debba pagare le imposte su tutto l?utile che la sua azienda ha realizzato e le cooperative solo su quello che non è accantonato». E allora ecco la ricetta mannaia.
Fino all?anno di imposta 2001, gli utili che le cooperative destinavano a riserva indivisibile non venivano tassati. Un tabù infranto dal primo affondo di Tremonti. Dopo un confronto serrato, centrali cooperative e governo arrivano a un compromesso che fu sintetizzato nel decreto legge 63 del 2002 in cui si dispose che in attesa dell?entrata in vigore della riforma del diritto societario «non concorre a formare reddito imponibile delle società cooperative solo il 39% della rimanente quota degli utili netti annuali destinati a riserva indivisibile». Una norma che non si applica alle cooperative sociali.
Lo scorso gennaio è entrata in vigore la riforma del diritto societario che divide le coop in società a mutualità prevalente, cioè società che svolgono la loro attività prevalentemente a favore dei soci (una coop di produzione lavoro è tale se tra i suoi dipendenti almeno il 50% più uno è composto da soci), e coop a mutualità non prevalente. L?entrata in vigore della riforma mette fine al regime transitorio per cui è necessario un intervento legislativo che regoli la nuova disciplina fiscale delle cooperative. Il ministero dell?Economia ha avviato un confronto con le centrali cooperative, confronto su cui nulla era trapelato fino ad ora. «Nelle cooperative a mutualità prevalente», prosegue Leo, «dovrebbe essere tassato il 30% dell?utile accantonato a riserva indivisibile. Nelle società a mutualità non prevalente tale percentuale dovrebbe salire al 70-80%. Le cifre esatte le stabilirà il ministero dell?Economia».
Altro aspetto su cui l?esecutivo ha intenzione di intervenire è quello dei finanziamenti dei soci. Rivela Leo: «Oggi sono portati in deduzione come interessi passivi. Proponiamo che venga fissato un limite alla deducibilità stabilendo che la remunerazione dei prestiti sia deducibile entro una certa percentuale, ad esempio il 2,5%, mentre l?eccedenza non dovrebbe essere dedotta». Nessuna compensazione ai limiti previsti dalla legislazione, come ad esempio l?indivisibilità degli utili? «Un limite», attacca Leo, «che però non rappresenta un tratto distintivo della commercialità o meno dell?impresa. Prenda la Fiat e una coop che produce auto: svolgono la stessa attività. Perché la Fiat deve pagare per intero le tasse sugli utili e la coop no? Anche la Fiat potrebbe non distribuirli ma dovrebbe in ogni caso pagare l?imposta sul reddito». Be? un motivo per cui la Fiat non ha mai pensato di trasformarsi in una coop per godere degli «iniqui vantaggi fiscali» ci sarà pure, no? Semplice: gli utili in una coop non diventano profitto a beneficio degli azionisti ma accrescono il patrimonio aziendale. Ed è proprio questo il modello d?impresa e di economia che si vuol colpire.

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