L'America e noi

Usa, l’elezione più drammatica e il mio voto

Simone Siliani, direttore della Fondazione finanza etica, ha la doppia cittadinanza italiana e americana. E da sempre vota per le presidenziali statunitensi in un seggio del quartiere del Queens a New York. Nel giorno che deciderà il prossimo inquilino della Casa Bianca, racconta a VITA la sua visione "americana" delle cose: «Comunque vada sarà uno shock»

di Simone Siliani

Vista dall’Europa questa campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti ci appare eccessiva, esagerata (come quasi tutte le cose americane), Entrambi i candidati saranno, per motivi totalmente antitetici, uno shock per l’America. Donald Trump per la sua carica eversiva della politica e delle istituzioni americane. Kamala Harris perché concentra su di sé i tratti dei cambiamenti più straordinari nella società americana dai tempi di Obama: donna, afrodiscendente, giovane. Ma soprattutto donna: indipendentemente da quello che riuscirà eventualmente a fare nel suo governo, la prima donna presidente degli Stati Uniti aprirà opportunità e strade nuove per questo Paese. Mentre il suo oppositore si è vantato di afferrare le donne per i genitali ed è stato accusato di condotte inappropriate su diverse donne (che però non gli ha impedito di vincere la maggioranza dei voti di donne bianche nel 2016 e anche nel 2020).

Il comizio finale di Kamala

Kamala Harris ha tenuto il suo comizio finale sull’Ellipse, un’area verde davanti alla Casa Bianca risalente al XIX secolo, proprio per richiamare l’attenzione dell’America verso un suo recente passato che potrebbe, in caso di vittoria di Trump, drammaticamente ritornare. E’ infatti dall’Ellipse che il 6 gennaio 2021 l’allora candidato alla presidenza Donald Trump arringava i suoi supporters per spingerli a marciare verso Capitol Hill, dove effettivamente si svolse l’attacco alle istituzioni della repubblica che lui, oggi, ha definito “un giorno d’amore”. Un luogo simbolico, dunque, che Kamala Harris ha usato per chiamare gli americani ad una difesa delle istituzioni democratiche che tengono unita la nazione: diremmo una estrema scelta patriottica.

Lo shock trumpiano

Ecco lo shock che la malaugurata elezione di Trump comporterà per l’America: quell’assalto alle istituzioni della più longeva e antica democrazia dell’età moderna, diventerà realtà fattuale. Il paese è diviso fra chi considera questa la disgrazia massima per il paese e chi, invece, pensa che finalmente quelle istituzioni lontane e ormai insignificanti per loro, saranno aperte come una scatola di tonno.

Una delle cose che rendono così anomale questa elezione presidenziale. Un candidato che ha cercato di sovvertire gli esiti delle scelte democratiche della scorsa elezione oggi non è distante dalla possibilità di vincere la presidenza; un candidato su cui grava la concreta minaccia di una condanna per diversi crimini legati alla sedizione del 6 gennaio 2021, è fronteggiato da una candidata che sceglie come messaggio per la chiusura della campagna elettorale il ricordo, la memoria, di una insurrezione eversiva. Per gli elettori americani non è normale doversi formare un’opinione circa la possibilità che il prossimo presidente debba o possa usare i suoi poteri per arrestare nemici ideologici o schierare l’esercito contro di essi. In nessuna elezione precedente, anche quelle più contese (come quella che oppose Al Gore a George Bush jr.) si è creata tale situazione. In nessuna elezione prima di questa gli elettori hanno dovuto affrontare una situazione in cui uno dei due candidati potrebbe governare come un “fascista” o un “dittatore”, mentre lo stesso candidato ha tentato di negare l’evidenza di sue dichiarazioni secondo cui “Hitler ha fatto anche cose buone”.

Dobbiamo tornare indietro al tempo della Guerra Civile per trovare una elezione presidenziale così definitiva, in cui fossero in gioco i fondamenti stessi della democrazia americana: la sua unità, l’adesione dei candidati alla carica suprema ai valori democratici di fondo, il riconoscimento concreto che il Governo cui essi aspirano è “del popolo, attraverso il popolo, per il popolo”, come ebbe a dichiarare solennemente proprio Abraham Lincoln a Gettysburg davanti ai soldati caduti per salvare quel principio immortale, su cui ha continuato a poggiarsi la democrazia (o la sua retorica) per oltre 150 anni.

Simone Siliani,direttore
Fondazione finanza etica

Un Paese polarizzato e il mio voto

Dall’altro lato c’è una donna, santo cielo! Nera per di più! Una che ha esercitato il potere, giudiziario ed esecutivo. Che fronteggia il campione della misoginia fatta persona. Se non è polarizzato questo voto, questo Paese, allora qual è? E a decidere chi dei due governerà questo paese traumatizzato, diviso, saranno un pugno di elettori concentrati i 6 o 7 swing States, a causa di un meccanismo di voto pensato per equilibrare il peso dei diversi Stati. Io voto, da molti anni per corrispondenza, nello Stato di New York, nel quartiere del Queens, dove per l’ultima volta aveva votato e vissuto mia mamma, sebbeno io non abbia mai risieduto negli Stati Uniti. Ma il mio voto conterà meno di quello di un elettore nelle aree rurali della Pennsylvania o della Georgia. Può anche darsi che il mio voto non sia contatto neppure se, ad esempio, il pendolo di questi Stati assegnerà il numero sufficiente per raggiungere la maggioranza dei “Voti Elettorali”, interrompendo così la conta degli altri voti popolari. Eppure, quanto più l’esito sarà stretto e l’elezione contesa, tanto più ogni voto popolare sarà importante.

Sul filo del rasoio

Tutto si gioca sul filo del rasoio: in un Paese con una popolazione di 333 milioni di persone, saranno forse 1,5 milioni a determinare chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti e, fra queste, molte vivono nelle zone rurali. Sono farmers, cittadini “ruralizzati”, anziani “fuggiti” dalle aree metropolitane, giovani che “tornano” alla terra, persone che si sono trasferiti in zone rurali in cui, però, l’agricoltura viene progressivamente sostituita da nuove abitazioni (“condos”), servizi per la popolazione anziana, minoranze etniche che si rifugiano nelle zone rurali non resistendo al ritmo e ai costi delle aree metropolitane. Le motivazioni che li spingono nelle aree rurali e le loro oggettive condizioni di vita sono molto diverse fra loro. Per questo è così difficile prevedere come voteranno e ancor di più, per i candidati, costruire progetti e messaggi elettorali convincenti e credibili. Ormai ci siamo abituati, nelle recenti elezioni presidenziali, ad un risultato al fotofinish perché gli Stati Uniti sono un paese spaccato in due come una mela.

Nella foto di apertura, di Evan Vucci/ApPhoto/LaPresse, Trump al comizio finale de l’altro ieri in Georgia.

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