Non profit

Chi studia oggi raccoglie (bene) i fondi domani

Quella di fund raiser è una delle professioni forti del prossimo futuro (di Pierluigi Sacco).

di Redazione

In questo momento assistiamo in Italia ad una vera e propria esplosione di interesse per il fund raising e per i temi ad esso connessi. Non sempre si tratta di un interesse ben posto: in troppi guardano alla raccolta fondi come a un?attività meramente strumentale alla raccolta di risorse finanziarie, a un repertorio di tecniche quasi magiche per persuadere la gente a «sganciare i soldi», per usare un?espressione molto prosaica ma, ahimè, anche frequente, quantomeno come sottointeso. La raccolta fondi invece è ben altro. Come potremmo definirla allora? è sicuramente un?attività che richiede un corpus di tecniche, conoscenze specialistiche, esperienza professionale, e che allo stesso tempo pone degli standard deontologici severissimi, paragonabili a quelli delle professioni mediche. Ma allo stesso tempo è soprattutto il punto di arrivo di una catena di relazioni ed interazioni sociali basata non tanto sul meccanismo della dazione quanto sulla creazione di forme di scambio sociale estremamente complesse e spesso creative. Al donatore non si chiede necessariamente denaro. In primo luogo, gli si chiede attenzione e partecipazione nei confronti di una causa socialmente meritoria. A questa causa si può contribuire in varie forme: donando tempo, competenze professionali, legami relazionali, ma anche, in alcune circostanze, la propria credibilità personale. Contribuire non significa quindi semplicemente conferire risorse, ma soprattutto lasciarsi coinvolgere: e quindi non è solo dare, ma anche, e sarei tentato di dire soprattutto, ricevere. Raccolta, cioè apertura Non per tutte le attività è sensato, e quindi a maggior ragione giusto, raccogliere fondi. La raccolta fondi ha un senso quando dietro di essa vi sono obiettivi, esperienze, risultati già raggiunti o ragionevolmente possibili il cui conseguimento può rendere chi si lascia coinvolgere più ricco di esperienza, più consapevole, più aperto e sensibile a ciò che è altro da sé. Ed è proprio questa apertura per l?altro da sé che può rappresentare una straordinaria prospettiva di benessere e di valore per una società che sperimenta forme sempre più tristi e miopi di ripiegamento individualistico, che passano per l?erosione dei rapporti sociali, per l?incapacità di immaginare e mettere in atto progetti condivisi, per la resa incondizionata ai propri soffocanti istinti narcisistici. Coinvolgere gli altri, dunque, e per ottime ragioni, con competenza, entusiasmo, credibilità, ma anche con costante determinazione. Anche da queste brevi considerazioni si intuisce quindi che quello del fund raiser non è un mestiere per tutti: è una professione impegnativa, difficile, estremamente responsabilizzante, che chiede risultati concreti ma allo stesso tempo chiede di non cadere nella trappola del risultato ad ogni costo. Per formare figure professionali in un ambito come questo bisogna quindi rifuggire da un atteggiamento strumentalista come è quello tipico di troppa cultura manageriale contemporanea, ovvero l?idea che formare sia fornire un sapere finalizzato alla ingegnerizzazione di un determinato insieme di obiettivi: nel nostro caso, insegnare le tecniche che convincono le persone a donare quanto più possibile il più spesso possibile. E tutto sommato non ha neanche senso fare riferimento a una generica e consolatoria ?trasmissione di valori?: le scelte valoriali non si imparano in un corso, ma sono il risultato di un percorso esistenziale. Un vero scambio sociale Quello che un corso di fund raising può insegnare oggi è soprattutto come mettere il proprio sapere tecnico al servizio di una causa imparando a riflettere con rigore e intelligenza sul senso degli obiettivi, dei mezzi, dei risultati, confrontandosi con chi ha già avuto modo di accumulare esperienza in questo campo. Un percorso formativo in fund raising è quindi uno strano mix di pragmatismo e teoria, e soprattutto deve essere un percorso interdisciplinare che apra finestre di consapevolezza su tutte le dimensioni dello scambio sociale: psicologica, antropologica, economica, sociologica, sulla base di una solida competenza giuridica, contabile, gestionale. Se il fund raising pone dunque condizioni precise, questo vale anche e a maggior ragione per la committenza. Per un?organizzazione non profit scegliere la strada della raccolta fondi significa da un lato impegnarsi alla massima trasparenza ed apertura nelle proprie modalità di gestione e uso delle risorse ricevute, e dall?altra accettare di mettersi in discussione, aprirsi al dialogo con chi dona, con le sue aspettative, con le sue motivazioni: senza questo atteggiamento, il fund raising, per quanto tecnicamente abile, porta a un vicolo cieco.

Pierluigi Sacco

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