Idee Fuga dal voto

L’astensionismo e noi

Anche la tornata elettorale ligure mostra percentuali record di italiani che rinunciano a esercitare i diritti politici attivi. Un fenomeno sul quale il Terzo Settore appare però titubante, se si eccettuano le iniziative acliste

di Giampaolo Cerri

Emiliano Manfredonia ha dettato la nota a urne liguri aperte: non voleva che fosse confusa con un eventuale giudizio post-voto, anche se le Acli non hanno, da decenni ormai, alcun collateralismo da farsi perdonare.

Ha scritto ieri il presidente aclista: «Al netto dei risultati di chi vince e chi perde queste elezioni regionali in Liguria abbiamo di sicuro davanti agli occhi una sconfitta certa che si chiama democrazia. Nessun presidente della Regione può dirsi felice di rappresentare in realtà poco più di 1 cittadino ligure su 5. Chi ha vinto le regionali infatti lo fa con la metà circa dei voti di quella minoranza che ha votato e che equivale a 4 cittadini su 10. Sono numeri che dicono la gravità di una fuga dal voto e dalla politica che è ormai emergenza democratica e che in questo caso vedrà eletto un presidente che con il voto di 1 cittadino su 5 circa deve governare per tutti».

Una riflessione che viene da lontano

D’altronde le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani riflettono da tempo sullo scollamento del nostro sistema democratico. Nel maggio scorso, avevano lanciato le loro proposte di legge di iniziativa popolare: una sul sistema dei partiti, il cui sfilacciamento è sotto gli occhi di tutti, per renderli più trasparenti, autenticamente democratici e per tornare a finanziarli con le casse pubbliche. L’altra sulla partecipazione dal basso dei cittadini alla funzione parlamentare, introducendo meccanismi assembleari capaci di proporre iniziative di legge che il Parlamento sarebbe obbligato a prendere in esame. Ne scrivemmo nel dettaglio qui.

Due proposte che, immaginiamo, non hanno l’illusione di cambiare meccanicamente e miracolosamente lo stato del Paese e attenuare il rancoroso disincanto che mostra a ogni piè sospinto, ma che certamente puntano a innescare una riflessione, ad allargare la consapevolezza, e forse a togliere a tutti l’alibi del fatalismo. Si può sottoscriverle anche elettronicamente qui.

Il confronto su VITA

Anche VITA riflette da tempo sul tema. Il direttore Stefano Arduini aveva dedicato al catastrofico astensionismo delle Europee di giugno, un pezzo che andava diritto al punto: «Prima che sia troppo tardi», aveva scritto, «prima di accorgerci dolorosamente del decadimento qualitativo della nostra e delle nostre democrazie e della loro capacità di produrre buone politiche di cui abbiamo già tanti e preoccupanti segnali a livello nazionale e internazionale, è indispensabile rinnovare e rilanciare gli enti del Terzo settore e della cittadinanza attiva in una prospettiva radicalmente politica. La politica, questa politica, non lo farà. Tocca farlo da soli».

Stefano Zamagni, un riferimento per molti che lavorano “non per profitto”, non ci aveva girato intorno, di lì a pochi giorni, in un’intervista ad Alessio Nisi: «Sono sicuro», aveva detto, «che se il Terzo Settore smettesse di concepirsi come la ruota di scorta del Paese e assumesse coraggio e chiarezza di visione sul futuro, la stragrande maggioranza accoglierebbe la sua proposta». 

Ricordando che il mondo non profit ha una funzione «oggettivamente nuova e rivoluzionaria. È l’unica forza sui poter fare leva» per «riattivare il circuito democratico». Vuol dire, aveva spiegato il professore, «partecipazione e assunzione di responsabilità».

Fuga dal voto e povertà

Sul tema era intervenuto anche Andrea Moirniroli del Forum diseguaglianze e diversità – Fdd, in dialogo con Anna Spena, introducendo anche il tema dell’astensionismo nelle aree povere del Paese: «Al Sud le persone restano a casa, anche i giovani. Pensano “ormai a che serve il mio impegno di cittadino attivo”. Sono le componenti più fragili per condizione sociale, o sono le persone che vivono ai margini, nelle periferie lontane dai centri», continuava Morniroli, «ma per paradosso la componente più fragile della società è quella che sarà più colpita dallo svuotamento della nostra Costituzione».

La leva della sussidiarietà

Sempre in giugno, il sociologo Giovanni Moro aveva rilanciato, invitando il Terzo Settore «a non girarsi dall’altra parte», e anche Gregorio Arena, presidente di Labsus, non aveva mancato di intervenire sul tema: nell’editoriale del numero di luglio/agosto del magazine, parlando della necessità «di rafforzare la democrazia rappresentativa», aveva anche ricordato l’importanza, in parallelo, «di mettere a disposizione dei cittadini e, in particolare, della società civile organizzata strumenti di partecipazione alla vita pubblica nuovi, alla portata di tutti, che diano risultati immediati e concreti in termini sia di soddisfazione dei bisogni, sia di realizzazione personale».  Arena aveva rammentato che, «grazie all’introduzione in Costituzione nel 2001 del principio di sussidiarietà, questi strumenti esistono e sono collaudati da un’esperienza ormai decennale in migliaia di casi, su scala nazionale. Sono i patti di collaborazione, fondati sulla teoria dell’amministrazione condivisa».

Eravamo ormai nel luglio scorso. Nel frattempo le stesse Acli avevano rilanciato tema (e proposte) anche nella Settimana sociale dei cattolici, che aveva avuto a Trieste i momenti più importanti.

Il messaggio delle urne liguri

Dalle urne liguri giunge ora il segnale che la malattia del Paese non sembra destinata a esser passeggera. Né passeggera, onestamente, pare la renitenza del mondo associazionistico italiano a occuparsene, fatto che colpisce se rapportato all’attivismo per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata, che ha portato a raccogliere milioni di firme a tempo record.

Non che manchino i problemi, per carità. All’orizzonte se ne profilano di molteplici, drammatici e urgenti, a cominciare dalla prospettiva di vedere introdotta, col nuovo anno, l’Iva per una vasta schiera di associazioni di promozione sociale, che ne potrebbero ricevere un colpo fatale.

Siamo però nel trentennale di una grande manifestazione, quella che, il 29 ottobre del 1994, vide sfilare unitariamente tante associazioni e tanti volontari, a Roma, dietro lo striscione La solidarietà non è un lusso: la prima pietra del Forum nazionale del Terzo Settore. Occorrerà, come allora, uno sforzo di consapevolezza della posta in gioco: nell’Italia che fa un passo indietro, che abdica dai diritti politici attivi, i bisogni sociali avranno sempre minore ascolto.

Nella foto di apertura, di Palli/Arata per LaPresse, un’urna delle recenti elezioni liguri.

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