Famiglia

UE: allargamento Unione e immigrazione

Un libro della Caritas. Un'anticipazione dello studio e tuti i numeri

di Redazione

Un evento strutturale e non un semplice fatto di cronaca Mettere insieme 25 stati e 455 milioni di persone va oltre l?usuale: questo è avvenuto dal 1° maggio 2004 con l?inclusione nell?Unione Europea di Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, portando a compimento l?apertura all?Est decisa dal Consiglio europeo di Copenaghen del 1993. Il 10-13 giugno l?Europa allargata ha scelto i suoi rappresentati al Parlamento Europeo, mentre il Vertice di Bruxelles del 18 giugno ha approvato la nuova Costituzione dell?Unione, che tra l?altro amplia a cinque anni l?incarico di Presidente dell?Unione, istituisce il Ministro degli esteri e stabilisce le materie e i criteri per il voto a maggioranza, superando così l?immobilismo connesso con le decisioni da prendere all?unanimità. Una visione realistica della storia porta a valorizzare anche le tappe intermedie. Si auspica che la maggior coesione raggiunta in economia favorisca ulteriormente il processo di aggregazione politica: semmai c?è da insistere sull?accelerazione dei tempi sul coinvolgimento delle popolazioni europee. Non ha, perciò, niente di enfatico l?affermazione di Gunter Verheugen, commissario europeo per l?allargamento, che ha definito il processo di adesione ?l?impresa più comprensiva e complicata nella storia delle politiche internazionali?. La Caritas Italiana, con il patrocinio del CNEL, pubblica Europa. Allargamento a Est e immigrazione (a cura di O. Forti, F. Pittau, A. Ricci) nel periodo tra l?ingresso dei nuovi Stati membri e l?approvazione della Costituzione europea. La riflessione svolta trova il supporto di numerosi ricercatori, italiani e dell?Est Europa, coordinati dall?équipe del ?Dossier Statistico Immigrazione?. Il filo unificante dei 22 capitoli è l?immigrazione, che introduce anche agli aspetti economici, normativi e socio-culturali. Si apprende che, a fronte dell?inglese parlato come prima lingua da 62 milioni di persone, vi è il russo, che vale tre volte tanto perché coinvolge 170 milioni di persone. Si prende coscienza che nell?Est Europa è fondamentale il tema delle differenze etniche, che comportano diversità linguistiche, culturali e anche religiose: alcune normative restrittive sulla cittadinanza, come avviene in Lettonia, sono state introdotte proprio per la salvaguardia dell?etnia. Prima dell?adesione si stimava nell?U.E. a 15 una presenza di immigrati dell?Est di 3 milioni e mezzo di persone, un sesto dei 20 milioni di immigrati presenti nell?Unione. Il loro aumento avverrà in misura ridotta rispetto agli anni ?90. Subito dopo l?abbattimento del muro di Berlino nel 1989, in 18 mesi dall?Est vennero in Occidente un milione e mezzo di persone. Tra il 1990 e il 1991 ben 200.000 albanesi (quasi il 6% della popolazione) lasciarono il paese, prima chiuso automaticamente. Dal 1992, tra richiedenti asilo ed immigrati, quasi tre milioni di persone lasciarono i Balcani, con flussi ben più consistenti rispetto a quelli dei Paesi dell?Europa Centro Orientale. Secondo uno studio della ?Fondazione per la promozione della condizione di vita e di lavoro? di Dublino (16 febbraio 2004) dovrebbe emigrare in Occidente l?1% della forza lavoro, circa 220.000 persone l?anno. L?Europa è più ampia dell?Unione Europea L?Europa, per le sue caratteristiche economiche e culturali, è più grande dell?Unione Europea e si ripartisce in tre cerchi concentrici, con caratteristiche e problemi differenti. Nel primo cerchio si collocano i nuovi Stati membri, che già godono del diritto alla libera circolazione, seppure attualmente con qualche limitazione nel settore del lavoro dipendente. Prolungare le normative restrittive è poco funzionale, tanto più che l?arma dell?espulsione nei loro confronti è spuntata; sarebbe più opportuno un raccordo per l?utilizzo ottimale della manodopera. Il secondo cerchio riguarda gli Stati che diventeranno membri dell?Unione a breve termine (Romania, Bulgaria, Croazia) o a più lungo termine: è questo il caso dei paesi balcanici, ai quali ha fatto riferimento il Consiglio europeo di Salonicco (giugno 2003), facendo perno su accordi di associazione e di stabilizzazione per rinforzare la democrazia, favorire la liberalizzazione dell?economia e uniformare le politiche migratorie e di sicurezza. Anche se sono stati mantenuti i visti per i soggiorni di breve durata, non si tratta di un?area estranea bensì da coinvolgere in un rapporto di partnership, l?unica in grado di allentare la pressione migratoria e di preparare il futuro in maniera armoniosa. Un caso a sé costituisce la Turchia, della quale si parla abbastanza ampiamente nella ricerca, che tra l?altro pone in termini innovativi la convivenza con la religione musulmana: l?islam turco, già maggioritario in Europa, è quello al quale fanno riferimento le minoranze islamiche dei nuovi Stati membri. Appartengono alla terza cerchia paesi come la Russia, l?Ucraina, la Moldavia e la Bielorussia. Un?area che ha 5.000 chilometri di frontiere con l?Europa allargata e intrattiene con essa stretti legami. E? emblematico il caso dell?Ucraina, dove si stima sia passato il 70% degli immigrati illegalmente presenti in Europa. Sarebbe una disfatta ridursi a considerare la frontiere nient?altro che una barriera anziché un?occasione di scambio: anche a livello istituzionale si ravvede la necessità di una nuova politica, per così dire di vicinato allargato. Gli Est-europei, di casa in Italia Alla fine del 2002, su 1.362.000 soggiornanti registrati dal Ministero dell?Interno, il 35% proveniva dall?Est Europa. Alla fine del 2003, completate le operazioni connesse con la regolarizzazione e tenuto conto dei nuovi arrivi, su una popolazione straniera complessiva stimabile attorno alle 2.550.000/2.650.000 presenze, inclusi i minori, le persone provenienti dall?Est Europa raggiungono circa il 40% e superano il milione di unità, la metà rispetto a quelli insediati in Germania, ma più del doppio rispetto ai 400.000 presenti in Austria, dove però gli est-europei incidono per il 55,6% sul totale delle presenze. La Romania è il primo gruppo nazionale tra gli Stati membri con quasi 250.000 soggiornanti: l?Albania, con circa 240.000 soggiornanti, precede il Marocco di 10.000 unità. A sua volta la Polonia, con circa 70.000 soggiornanti, ha un numero di immigrati doppio rispetto alla Germania, una volta la prima nell?UE a 15. Milano e specialmente Roma sono le province nelle quali è insediato il maggior numero di immigrati delle varie nazioni dell?Est Europa. Nel Nord troviamo però diverse province, a loro volta ?capitali? dell?Est: lo sono Bolzano per gli slovacchi, Vicenza per la Bosnia Erzegovina e la Jugoslavia, Trieste per la Croazia e Treviso per la Macedonia. Prendendo le domande di regolarizzazione del 2002 (delle quali 415.000 riguardano lavoratori dell?Est Europa) come misura della pressione migratoria dei prossimi anni, possiamo prevedere l?arrivo di almeno 100.000 lavoratori, secondo queste proporzioni: 8.000 dalla Moldavia, 10.000 dalla Polonia, 15.000 dall?Albania, 27.000 dall?Ucraina e 35.000 dalla Romania. Per i nuovi paesi candidati all?adesione la regolarizzazione del 2002 ci ha insegnato che un evento, anche se previsto a distanza di anni, esercita da subito un potere di calamita. Ciononostante, i flussi diminuiranno perché i paesi dell?Est non sono un serbatoio illimitato di manodopera, tanto più che anch?essi stanno conoscendo un processo di invecchiamento anche se non così accentuato come quello italiano. Tra immigrati comunitari ed europei dell?Est, in Italia si arriva oggi ad un?incidenza del 47% sulla presenza straniera totale. Secondo la prudente stima dei flussi prima esposta, in pochi anni più della metà degli immigrati sarà europea con ulteriore modifica della graduatoria delle nazioni. Polacche, ucraine e romene hanno una forte presenza nel settore della collaborazione domestica e hanno, per così dire, costituito una succursale delle carenti politiche italiane di assistenza alle famiglie: in mancanza di una presenza così apprezzata e a costi contenuti diventerebbe forte lo sconforto delle donne italiane inserite nel mondo del lavoro, come anche degli anziani e dei malati. Indagine sugli immigrati dell?Est: vicini ma sconosciuti Ucraina. Un?indagine esplorativa condotta sugli immigrati ucraini in 13 regioni italiane ha coinvolto 2.060 persone. In circa nove casi su dieci si tratta di donne, giovani ma non giovanissime, operanti nel settore familiare, da meno di cinque anni in Italia e anche per lo più non interessate ad un inserimento stabile, avendo lasciato la famiglia in patria: solo una su 18 vive con i propri figli. I due terzi hanno una formazione secondaria e universitaria e, nonostante l?umiltà dei servizi svolti, le qualificazioni sono alte (insegnanti, ingegneri, medici, infermieri e così via, con grave perdita per il paese). Salvo eccezioni, tutti sono espatriati per motivi economici e per essi l?immigrazione è una sorta di banca, che consente di mantenere in patria mediamente quattro familiari. Per questa esperienza, anche se conveniente dal punto di vista finanziario, si paga un pesante pedaggio esistenziale: le difficoltà vanno dal difficile apprendimento della lingua alla mancanza della famiglia: la rete dei connazionali e la rete ecclesiale e della Caritas in particolare è per loro di fondamentale aiuto. Tra l?altro, gli ucraini sono non solo religiosi ma anche molto bene organizzati: i cattolici (si stima che siano circa i due terzi del totale) hanno in Italia 80 centri pastorali. Polonia. La Polonia intrattiene da secoli legami con l?Italia e gli immigrati polacchi sono insediati in Italia da molto tempo: eppure né la Polonia né i polacchi sono adeguatamente conosciuti, come ha evidenziato un?indagine condotta tra 200 studenti dell?Università ?La Sapienza? di Roma. Il Papa polacco non è uno sconosciuto tra gli intervistati, anche perché è il loro vescovo: è, invece, pressoché uno sconosciuto il presidente polacco Kwasnieski. Gli studenti neppure sanno che presso la propria università è possibile studiare il polacco. Tra gli eventi degli ultimi anni, oltre all?adesione si cita Solidarnosc, un evento sindacale di grande portata ma assolutamente datato. Anche se la carenza storico-culturale è notevole, a impressionare di più sono i pregiudizi. Uno su sei intervistati definisce il polacco non solo ?biondo? (forse con qualche punta d?invidia), ma anche ?povero?, lavoratore?, ?amante dell?alcol?; uno su dodici aggiunge che il polacco è ?religioso? e uno su venti dipinge l?immigrato polacco come ?lavavetri? (era il mestiere che coinvolgeva parte dei polacchi della prima ondata migratoria) e ?ex-comunista? (definizione negativa, debitrice del dibattito politico in Italia). Realtà imprenditoriale ed emigrazione di ritorno Degli immigrati dell?Est Europa una parte, specialmente tra gli ucraini, è costituita da migranti temporanei: addirittura, tra le donne ucraine, vi sono quelle lavorano nelle famiglie quasi come lavoratrici stagionali, per un periodo di 3-4 mesi, avvicendandosi con altre connazionali. Il ritorno in senso proprio è, però, quello degli immigrati che si sono fermati con una certa stabilità in Italia. Di questi flussi sono protagonisti persone che hanno acquisito o perfezionato le proprie capacità professionali, accumulato il risparmio necessario e maturato l?idea di tentare una iniziativa imprenditoriale in proprio: ciò è una conseguenza positiva dell?immigrazione e probabilmente andrà accentuandosi. I flussi migratori sono anche serviti a congiungere dinamicamente i sistemi economici dei paesi di origine con quello italiano e si sono tradotti in un incentivo agli imprenditori italiani a investire all?estero e a delocalizzare parte delle loro produzioni: l?Est serve, così, anche a misurare il grado di internazionalizzazione del sistema Italia. Non si tratta di un protagonismo demandato esclusivamente alle grandi imprese, che tra l?altro in Italia stanno conoscendo una fase molto critica, ma aperto anche alle piccole e medie: tra l?altro è a questo livello che nei diversi paesi si è giocato un ruolo fondamentale per la transizione verso l?economia di mercato. L?Italia, per la sua posizione geografica e per la vocazione estera delle sue produzione, è un importante partner economico-imprenditoriale per diversi paesi dell?Est, con joint-ventures, filiali e altri investimenti: interessa non solo il basso costo della manodopera ma anche il contesto di risorse umane qualificate. Solitamente è il titolare d?azienda a fare il pendolare, mentre i familiari rimangono in Italia. Uno studio con numerosi interrogativi I dati sono stati utilizzati dalla Caritas per spianare la via alla riflessione sul grande evento dell?allargamento. Non essendo possibile citare i 33 autori del volume e le loro riflessioni, ci soffermiamo solo su quattro aspetti: morale, politico, imprenditoriale e culturale. Mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, si sofferma sugli obiettivi e sulle motivazioni del processo comunitario. L?Europa allargata può e deve servire, innanzi tutto per ripartire in maniera più equilibrata le risorse disponibili, tenuto conto che il reddito pro capite dei nuovi paesi è al di sotto della media comunitaria; quindi, per tutelare meglio i lavoratori in patria e anche i migranti che si spostano: per raggiungere questi obiettivi l?ispirazione cristiana non è affatto d?intralcio, e la Caritas ne è un esempio. Giorgio Alessandrini, presidente Vicario presso il CNEL dell?Organismo Nazionale di Coordinamento delle politiche di integrazione sociale dei lavoratori migranti, auspica che l?ampliamento dell?Unione a Est costituisca un?occasione per riflettere sulla politica migratoria, rimuovendo gli ostacoli normativi e funzionali che rendono difficili le vie legali all?immigrazione, prevedendo quote realistiche, valorizzando le forze lavoro dell?Est e rendendo più agevole l?integrazione. Per Ugo Girardi, vice direttore vicario di Unioncamere, l?allargamento a Est offre notevoli opportunità alle imprese dell?Europa occidentale, incrementando l?accesso a un mercato in rapida crescita con l?opportunità di investimenti produttivi e finanziari per acquisizioni, partnership e outsourcing, anche con trasferimento di competenze tecnologiche e manageriali, con flussi di merci e fattori produttivi da una parte e dall?altra. Per Predrag Matvejevic sarebbe auspicabile che l?Europa del futuro fosse meno eurocentrica di quella del passato, più aperta agli altri e meno egoista dell?Europa delle nazioni, più consapevole di se stessa e meno incline all?americanizzazione, più comprensiva che arrogante, meno orgogliosa che accogliente, più ?l?Europa dei cittadini? che si tendono la mano, meno ?l?Europa delle patrie? che si sono combattute l?un l?altra.


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