VITA30, le storie
Quando il vescovo andò al 41 bis
Da VITA del febbraio 1996, un'intervista a Gualtiero Bassetti allora da poco vescovo della piccola Massa Marittima (Gr) che andava a trovare settimanalmente gli ergastolani di Pianosa (anche mafiosi al regime speciale) e di Porto Azzurro all'Isola d'Elba. Un racconto pieno di commozione da parte del presule che nel 2017 sarebbe stato nominato da papa Francesco presidente della Conferenza episcopale italiana
VITA aveva appena 16 mesi, quel 17 febbraio di 1996 ma il carcere era già un tema che doveva essere presidiato. Perché non era migliore di oggi.
Così quando inviai per telefax le proposte a Riccardo Bonacina (a Roma), per il racconto del vescovo di una piccola diocesi toscana che andava regolarmente a visitare i detenuti – un’opera di misericordia certo, ma non frequentissima all’epoca – mi arrivò subito il semaforo verde. Avevo conosciuto don Gualtiero Bassetti a Firenze, dove aveva diretto il seminario. Al telefono, da Massa Marittima (Gr), fu cordiale come sempre e si aprì in un racconto che, per la Chiesa italiana di quasi 30 anni fa, non era usuale. Ma lui era un piccolo vescovo di una diocesi di piccole cittadine e paesotti sparsi.
A Roma, l’abile mano di Giampaolo Roidi, il caporedattore, fece fare al mio pezzo pendant con un’intervista di Maria Rosa Tomasello a Paola Turci, anche lei impegnata col carcere, in un periodo in cui non andava affatto di moda fra gli artisti e ai musicisti, come accade oggi, peraltro. Pagine affiancate e titolo passante: Il vescovo e la cantante. Rispettosamente popolari, diciamo.
Monsignor Basetti mi scrisse alcune settimane dopo un biglietto in cui mi ringraziava e benediceva me e la famiglia. Lo conservo ancora. Quando, molti anni dopo divenne presidente della Conferenza episcopale italiana, pensai che non ci poteva essere scelta migliore.
Il vescovo e la cantante
Il vescovo è Gualtiero Bassetti. Anche lui ha un sogno: avvicinare i detenuti del penitenziario di Porto Azzurro alla gente che sta fuori. Progetta giornali e case famiglia. Sentite cosa dice
«Il vescovo è venuto a trovarci così spesso che, alla fine, abbiamo pensato che avessero arrestato anche lui». A parlare è uno dei detenuti di Porto Azzurro, il penitenziario dell’Isola d’Elba che ospita oltre 440 persone condannate a pene che variano dai trent’anni all’ergastolo.
Il presule è monsignor Gualtiero Bassetti, vescovo di Massa Marittima e Piombino.
«Appena ho potuto sono andato a trovarli», racconta a VITA. A Pianosa don Bassetti si è recato anche nel raggio dei “41 bis”, quello che accoglie i boss della mafia. «Mi sono presentato alle loro celle dicendo: “Sono il vostro vescovo, voi siete la mia chiesa; non sono venuto a giudicare nessuno, ma a chiedervi come state”».
Di là dalle sbarre qualcuno si è commosso: «Molti hanno voluto la mia benedizione», ricorda Bassetti, «e allora ho stesso là mano fra le inferiate; poi ho lasciato loro l’immagine sacra che ricorda la mia ordinazione episcopale».
Nel bunker
Pianosa è praticamente un bunker, enormi porte di ferro che si aprono e si richiudono, detenuti guardati a vista, per l’intera giornata, osservati anche mentre vanno in bagno. «Era la prima volta che entravo in un carcere.» dice il vescovo di Massa Marittima «Che cosa ho provato? Un senso di impotenza, di grande sofferenza».
A Porto Azzurro invece Bassetti incontra i detenuti che fanno parte de “La grande promessa”,
il gruppo interno al penitenziario, che promuove iniziative culturali e cura l’omonimo giornale carcerario. «All’inizio il rapporto è stato difficile, erano scettici, sentivano la visita come gesto retorico, inutile». Ma “don Gualtiero” non si arrende facilmente: «Ho fatto l’educatore per tanti anni conosco la personalità umana».
Il ghiaccio si rompe alla seconda visita, a luglio dello scorso anno, al termine di un incontro burrascoso. «A settembre dovevo andare al convegno di Palermo sulla carità», racconta «e chiesi loro un contributo sui problemi del carcere».
Dallo scetticismo si passa alla contestazione: un’ora di critiche durissime, sugli errori “storici” della Chiesa. Bassetti incassa pazientemente, il cappellano è furibondo: «Trattare così il vescovo!».
«Avete parlato per un’ora», contrattacca il presule «io potrei andare avanti per due: credo di conoscere la storia della Chiesa, meglio di voi; ma prima di essere un vescovo, sono un uomo e vi tratto da uomini, vi guardo negli occhi come uomini. Ho detto che voglio portare i vostri problemi al convegno di Palermo. Se a voi non interessa, vuol dire che parlerò dell’Azione cattolica e delle Figlie di Maria».
Una provocazione che colpisce nel segno, quelli de “La grande promessa” ci ripensano: finiscono le schermaglie, la diffidenza e inizia l’amicizia. Bassetti riprenderà spesso il traghetto per l’Elba, oltrepasserà molte altre volte il grande portone di Forte San Giacomo. Porterà a Palermo un documento carico di umanità, di speranza e di provocazione ai cristiani e alla Chiesa italiana. Due cartelle gridate dal mezzo del Tirreno. Il vescovo le leggerà con una semplice premessa: «Dopo tanti discorsi sui poveri, vi porto la loro voce», il convegno ascolta e applaude.
Nelle visite successive il rapporto si cementa; quando alcuni detenuti propongo di promuovere una mostra dei loro dipinti, monsignor Bassetti riesce ad organizzarla nel capoluogo, a Firenze. Una piccola promessa che si realizza per G.C., A. C., G. C., G. F., A. M., G. M., D. M., G. N., L. P. e P. V. (nomi presenti nell’edizione originale, abbiamo ritenuto giusto oscurarli, dopo quasi 30 anni, ndr): le loro passioni, i loro sentimenti, impressi nelle tele, abbandonano per qualche giorno le mura e le sbarre del forte, superano l’isolamento del mare, per essere comunicati ad un pubblico. Due di loro, grazie ad un permesso speciale, possono addirittura partecipare alla presentazione della mostra, con il vescovo ed il direttore del carcere.
Presto un giornale
Ora Bassetti lavora per avvicinare i suoi parrocchiani “liberi” a quelli “ristretti”.
Agli incontri di Forte San Giacomo partecipano ogni volta anche il parroco di Porto Azzurro e due giovani della parrocchia: la comunità dall’iniziale e antica diffidenza verso “quelli lassù” (il forte sovrasta il paese) sta studiando gesti di solidarietà concreta.
«Hanno cominciato attrezzando un locale parrocchiale per l’accoglienza dei familiari dei detenuti», spiega il vescovo «gente che arriva da ogni parte d’Italia e anche dall’estero e che, dopo un viaggio estenuante, attende talvolta per ore, prima di poter entrare».
E sta per nascere un giornale comune che farà dialogare carcere e paese. Ma di progetti ambiziosi “don Gualtiero” ne ha più d’uno: vuol realizzare un punto di accoglienza per i familiari anche a Piombino; cerca immobili da ristrutturare per offrire opportunità di lavoro ai detenuti che possono beneficiare della legge Gozzini Ma la cosa a cui tiene di più la realizzazione di affidi “a distanza” per i carcerati elbani.
«Sto proponendo alle famiglie della mia diocesi di prendersi cura della gente di Porto Azzurro, ospitando per il fine settimana coloro che possono godere dei benefici della legge». E poi c’è da incrementare il volontariato: oggi entrano a Forte San Giacomo un paio di “vincenziani” Piombino, una professoressa dell’EIba, un paio di suore; drammaticamente pochi per 440 detenuti.
La foto in apertura è di Fabio Cimaglia / LaPresse.
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