Inclusione
Bamboo, la barca di Exodus che con la vela sfida la vita
Una carovana che solca il mare e che diventa occasione per parlare di dipendenza. A guidarla, sino all'ultima tappa di Palermo, è “Bamboo”, la barca a vela affidata alla comunità “La Mammoletta”, che ha sede all’Isola d’Elba, una delle numerose strutture di recupero dalla droga create in tutto il mondo dalla Fondazione Exodus di don Antonio Mazzi. L'imbarcazione torna dopo 6 anni nel capoluogo siciliano per riflettere su quali azioni mettere in campo insieme ad alcune realtà del territorio per fare fronte soprattutto all'emergenza crack
Certo che di strada se ne è fatta tanta da quando si pensava che la barca a vela fosse destinata a chi se la poteva permettere, chi se la meritava. Questo perché, per i benpensanti, l’accesso a questo mondo non poteva essere certo consentito a quelle persone, la maggior parte delle quali anche molto giovani, avevano avuto la sfortuna di incontrare lungo la loro strada le sostanze stupefacenti. Ma il tempo ha tutta la pazienza che serve per dimostrare, come in questo caso, il valore educativo e rieducativo che la vela riveste per chi ha attraversato sentieri bui e tortuosi.
Il mare non fa differenze, anzi le fa con chi lo maltratta, non lo capisce. Il mare ama le sfide ma, quando capisce che arrivano da chi le prove le affronta combattendo quotidianamente contro i propri demoni interiori, allora diventa un amico fidato, pronto ad accompagnare, cullare, sostenere.
Ecco che giunge Bamboo, un Baltic 51 sloop di circa 16 metri, affidato a metà degli anni ‘90 alla Fondazione Exodus, in modo particolare alla Comunità “La Mammoletta”, che ha sede all’Isola D’Elba. Una barca che ha percorso migliaia di miglia, con equipaggi le cui fragilità sono diventate forza, voglia di riscattarsi attraverso una continua messa alla prova. Grazie, poi, alle carovane che don Antonio Mazzi pensò e avviò nel lontano 1985, Bamboo ha solcato i mari e fatto scalo in porti dove, ad accogliere l’equipaggio, sono state realtà con le quali si sono intessute reti che hanno costruito ponti di solidarietà.
L’ultima carovana in ordine di tempo è giunta oggi a Palermo, partendo da Portoferraio, all’isola d’Elba, facendo tappa a Civitavecchia, al carcere minorile di Nisida, incontrando alcune scuole di Lipari e di Ustica per realizzare una sinergia tra realtà di isole minori che sanno cosa vuol dire la marginalità.
Nel Chiostro del Carmine Maggiore, a Ballarò, proprio il quartiere in cui lo spazio e il consumo di droga sono alle stelle, sarà proiettato “Tremenda voglia di vivere“, il docufilm prodotto dai ragazzi di Exodus, che anticiperà la riflessione sulla diffusione del crack a Palermo. Senza dimenticare l’aspetto più goliardico dell’evento, al cui centro ci saranno i sapori della gastronomia siciliana, offerta per l’occasione da “Passami ù coppu“, per il quale la cucina è anche arte e sposare eventi di solidarietà fa parte del suo vivere il territorio. Saranno, infine, i talenti musicali della “Mammoletta band” a rendere frizzante l’atmosfera.
Ma qual è l’esigenza di concludere la carovana a Palermo?
«Ci sono due aspetti da considerare», spiega Francesco Busalacchi, il giovane comandante di Bamboo .«Intanto il piacere di ritornare a Palermo dove siamo stati nel 2018 per un restauro totale. Grazie all’interessamento iniziale di mio padre, che era il direttore del Cantiere navale di Palermo, i cui lavoratori si sono messi a disposizione da novembre a giugno, la barca è stata completamente rimessa a nuovo. Un restauro a cui ha contribuito l’Inner Wheel – club di Palermo “Rosa dei Venti”,che oggi a Palermo ha organizzato un evento per parlare di una tale esperienza. Questo perché, dopo quasi trent’anni di navigazione, con tantissime equipaggi e una manutenzione fatta direttamente dai ragazzi della comunità, aveva bisogno di un restyling sia a livello estetico sia tecnico. Poi c’è anche la voglia di raccontare la nostra esperienza di navigazione con equipaggi di tutti i tipi, oltre a quelli della nostra comunità, sfatando l’idea che la vela sia un mondo del tutto elitario. Quello che facciamo è lavorare con le dipendenze, ma anche vivere la vela come strumento terapeutico, facendola conoscere, per esempio, anche ai ragazzi delle scuole medie. Abbiamo fatto delle bellissime uscite con i disabili, con la diversità in generale, arricchendo i nostri equipaggi con persone che non avrebbero avuto e che non avrebbero altro modo per conoscere questo mondo. Abbiamo la fortuna di gestire delle imbarcazioni – un’altra è Maria Teresa, Hallberg-Rassy 49, cutter di circa 15 metri – che possono permetterci di sbagliare, di rischiare e osare perché la barca ci perdona molto. Penso a tutte la gente che è passata da qui e ha trovato la sua salvezza all’interno di un percorso comunitario che ha previsto anche la vela. Certo, poi ci sono persone come me che se ne innamorano subito e lavorano duramente per farne il proprio lavoro».
Anche il mare mette in rete le realtà che lavorano per prendersi cura della persona
«Crediamo ovviamente alla forza delle rete», afferma Stanislao Pecchioli, responsabile della comunità “La Mammoletta”, «infatti facciamo parte dell’Unione vela solidale che riunisce le più importanti associazioni italiane che utilizzano la vela nell’area del disagio fisico, mentale e sociale. In ogni luogo in cui facciamo tappa tessiamo reti paralleli perché vorremmo ritrovarci con chi la pensa come noi. Di strada ne abbiamo fatta tanta perché io lo ricordo quando trenta anni fa ci trattavano come untori, i ragazzi tossicodipendenti erano malavitosi e la vela non era certo un mondo al quale potevano avvicinarsi. Gli ultimi “scarpini” della terra, così li definivano, non erano degni di opportunità del genere. Ci sono voluti tre decenni per capovolgere la situazione, mettendo la barca in mano a persone che della loro vita hanno fatto una distruzione totale. Un grande lavoro fatto da tutti, che ha dato i suoi frutti».
A Palermo si arriva con un messaggio che invita a riflettere sul concetto del “noi”
«Certo si parte dalle sensazioni che suscita una barca come Bamboo», aggiunge Pecchioli, «ma poi, dentro la barca, si deve stare in dodici, trovando il modo di convivere, di rispettarsi, di considerare la limitatezza delle risorse. Bisogna lavorare per raggiungere l’obiettivo attraverso la condivisione e soprattutto un’attenzione reciproca. Vivere la comunità e andare controcorrente. Oggi il mondo è sempre più individualista, ognuno segue solo la propria strada. Bamboo, invece, ci aiuta a essere comunità, un messaggio difficile da fare comprendere ma, quando si fa proprio, porta quella felicità data dal sapere di avere salvato quell’homo sapiens oggi diventato homo stupidus».
Ma quanto una comunità come Exodus diventa modello per la comunità rappresentata dalla famiglia?
Non ci sono dubbi che l’età dei ragazzi che accogliamo si è abbassata. Proprio per questo dico quale può mai essere la responsabilità di un tredicenne che si trova a vivere questi problemi. Abbiamo liste di attesa per entrare in comunità che ci dicono che i genitori dovrebbero fermarsi a ragionare perché ormai hanno perso ogni potere nei confronti dei figli, non hanno più un ruolo educativo, prima di tutto perchè stanno sempre fuori casa. Avere a che fare con i genitori è diventato un lavoro addirittura più pesante perchè abbiamo ragazzi con il padre da un lato e la madre dall’altro. Bisogna arrivare a creare una cultura dell’attenzione verso i propri figlioli, offrire loro qualcosa di diverso perché, in questo sono provocatorio, allora sono giustificati ad andare a drogarsi. La scuola, per esempio, non deve chiamare i genitori quando il figlio non si presenta, ma lo devce fare quando la situazione di difficoltà non è conclamata. Dobbiamo invertire l’ordine degli addendi, altrimenti staremo sempre a sanare ferite. E poi, ci chiediamo, dove sono finiti i padri? A giocare alla play station? Nel 90 per cento dei casi a portare da noi i ragazzi sono le madri. Come si fa a tenere e contenere una società che cambia, quando i ragazzi non trovano nella stessa famiglia le motivazioni che li stacchino da ogni genere di dipendenza, a partire per esempio dal telefonino?
Motivazioni, sogni, sguardi che tendono all’orizzonte e che si persono nell’azzurro del mare
«Quando mi chiedono come può un genitore non accorgersi di quel che sta succedendo al proprio figlio», conclude Francesco. «rispondo che si rifiuta talmente l’idea che possa avere a che fare con le droghe, che non riesce a vederlo. Ma è qualcosa che accade a tutti. Grazie a percorsi come quelli che abbiamo la fortuna di fare in realtà come Exodus, però, si apre un mondo nuovo per tutti. Pian piano i veli cadono e si ritrova la luce. Oggi sono orgoglioso di quel che sono diventato, ma soprattuto felicissimo di essere alla guida di questa splendida barca, che ha ridato la vita a tanti ragazzi come me».
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