Cultura

Esercito comune, sì o no? L’Europa, potenza tranquilla. Ma non disarmata

La prossima legislatura di Strasburgo dovrà decidere se mettere nel conto qualche spesa militare. Marco Vitale, con Padoa Schioppa, risponde di sì.

di Marco Vitale

Robert Kagan, nel suo lucidissimo e crudo: Paradiso e potere (Of Paradise and Power, 2003), ha posto in luce le ragioni per cui dobbiamo prepararci razionalmente a divergenze significative e crescenti tra Usa ed Europa: gli Usa sono condannati a perseguire il ruolo di iperpotenza militare e tecnologica e a guidare il mondo con la forza in un crudo approccio hobbesiano; l?Europa , sotto lo scudo difensivo della Nato, può coltivare il suo paradiso di un approccio kantiano basato sulla ragione, sulla tolleranza, sulla pace.
Nelle parole di Kagan non manca un certo senso di scherno e di disprezzo verso quest?Europa gentile e un po? effeminata, in un significato non dissimile dalla parola usata da Rumsfeld quando, nel corso della guerra con l?Iraq, parlava di una «vecchia Europa», che non vuole prendersi impegni coraggiosi; ma anche se questo tono può dare fastidio, esso aiuta a capire la realtà: «I leader americani credono che la sicurezza globale e l?ordine liberale – insieme al paradiso ?postmoderno? dell?Europa – non sopravviveranno a lungo se gli Stati Uniti non useranno il loro potere nel mondo pericoloso hobbesiano che ancora si agita al di fuori dell?Europa. In conclusione, gli Stati Uniti, benché abbiano svolto un ruolo fondamentale nel condurre l?Europa dentro il suo paradiso kantiano, e ancora lo svolgano nel renderlo possibile, non possono varcare la soglia dell?Eden. Essi restano, con tutta la loro enorme potenza, impigliati nella storia, a vedersela con i Saddam e gli ayatollah, con i Kim Jing II e gli Jian Zenin, lasciando agli altri la maggior parte dei benefici?. A volte gli Usa devono agire unilateralmente, non perché abbiano la passione dell?unilateralismo, ma perché, con un?Europa debole, che ha rinunciato alla politica di potenza, non hanno altra scelta se non agire unilateralmente».
è vero che l?Europa ha rinunciato alla politica di potenza. Ma è questo un male o una speranza per l?intera umanità, l?indicazione di una via possibile? è vero che l?Europa è militarmente debole. Ma l?essere militarmente deboli, autorizza a parlare di una Europa debole in generale? Non vi è il rischio che Kagan e i neoconservatori americani commettano qui un errore di prospettiva analogo a quello che commise Stalin quando sprezzantemente chiese su quante divisioni poteva contare il pontefice? E poi verso quali ipotetici nemici indirizzerebbe le sue ipotetiche armate l?Unione europea? Chi preme alle sue frontiere? Quali territori deve conquistare? Ma i grandi nemici del mondo in questa fase storica non si chiamano terrorismo, fondamentalismo islamico, miseria ed esclusione dai diritti fondamentali di miliardi di persone, globalizzazione non equa e non governata, squilibrio tra crescita economica e ambiente? E siamo sicuri che il contributo dell?Europa al mondo su questi temi sarebbe più utile se anch?essa congelasse il 4 o il 7% (come in passato hanno fatto gli Usa) del Pil per aspirare a diventare una potenza militare? Ma il terrorismo e gli altri mali elencati non si affrontano meglio con mezzi diversi dagli elicotteri Apache e dai missili? Anche a riflettere su questi grandi temi aiuta un libro sull?Europa, forza gentile di Tommaso Padoa Schioppa o sull?Europa potenza tranquilla, come l?ha chiamata Tzetan Todorov nel suo smilzo ma denso libro Il nuovo disordine mondiale, le riflessioni di un cittadino europeo (Garzanti 2003).
Coerentemente con tale impostazione, potremmo escludere l?esigenza di spese militari da parte dell?Unione. Tuttavia mi sembra condivisibile la linea di Todorov che ritiene una forza militare europea comunque necessaria, e quindi un po? di spese militari dovranno essere messe in conto nel bilancio dell?Unione. Non per avviare una politica di potenza, per scimmiottare gli Stati Uniti, non per nutrire l?ambizione di gestire o intervenire negli affari del mondo intero, ma per esercitare una ?potenza tranquilla? in relazione a obiettivi limitati, sostanzialmente di peacekeeping, di antiterrorismo, con unità superspecializzate e una great intelligence europea, e di interventi nelle grandi calamità naturali. Per il resto, il contributo maggiore alla pace l?Europa può darlo con il suo esempio di forza gentile, come ha testimoniato John Hume, premio Nobel per la pace 1999 affermando che il ristabilimento della pace in Irlanda del Nord è stato possibile applicando i principi ricevuti dall?esperienza comunitaria europea.

Info:
Tommaso Padoa Schioppa, Europa, forza gentile  
Edizioni Il Mulino – pagg. 192 – 10,33 euro

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