Le campagne intorno Acerra sono uno dei Sin (siti inquinati di interesse nazionale altamente contaminati in attesa di bonifica) più vasti e densamente popolati d’Italia, con 80 comuni coinvolti e 1,8 milioni di persone che ci vivono.
Dopo decenni dal dichiarato disastro ambientale per l’interramento di rifiuti tossici, le bonifiche sono ancora agli albori, mentre i roghi continuano ad accendersi, e la gente ad ammalarsi e morire.
I comitati
Le voci che chiedono giustizia sono tante, ma non vengono ascoltate. Tantissimi i comitati dal basso sorti negli anni, dal Comitato Donne 29 Agosto di Acerra, che fin dai primi anni 2000 si sono schierate contro l’inceneritore imposto con la forza, ai Volontari antiRoghi, fino alle “mamme di Miriam” un’associazione che porta il nome di una bambina che ha lottato contro il cancro ed è ora lei stessa una giovane attivista. Negli anni hanno portato avanti proteste di ogni tipo, sdraiandosi davanti ai camion diretti all’inceneritore, lottando contro il suo ampliamento, hanno affrontato a testa alta e viso scoperto camorra e imprenditori collusi, continuando a fare attività di educazione ambientale nelle strade, con arte e creatività, strappando così i ragazzini alla malavita.
Con loro ci sono altre associazioni, come Noi i Genitori di tutti . La presidente, Marzia Caccioppoli, ha perso il suo unico figlio e da allora non ha mai smesso di lottare, con lucidità e tenacia: «Gli imprenditori smaltivano i rifiuti tossici, li mettevano nei fertilizzanti, tra Acerra, Caivano, Bacoli e Qualiano, avvelenando così i terreni agricoli e noi tutti. Nel 2012 mio figlio si ammalò di glioblastoma multiforme, lo portai a curarsi al Gaslini di Genova dove c’erano tanti altri bambini della Terra dei Fuochi. I medici mi chiedevano da dove venissi, io rispondevo che abitavamo in centro a Napoli, ma portavo spesso mio figlio in campagna ad Acerra per fargli respirare aria buona, ignorando che quella era una zona avvelenata».
Un tempo terra fertile oggi terra contaminata
Quella terra fertilissima chiamata dai romani Campania Felix è ora pesantemente contaminata, falde acquifere comprese, da metalli pesanti, Pcb, amianto e altri inquinanti persistenti. La criminalità gestiva il traffico di rifiuti tossici provenienti da ogni parte d’Italia, (dai petrolchimici agli impianti chimici, dalle concerie alle industrie di alluminio) per seppellirli nelle discariche del casertano e del napoletano. A questo disastro ambientale nel 2009 si è aggiunto il più grande inceneritore di Italia che concentra in un unico punto dell’intera regione Campania un carico tossico pari a 111 kg/abitante anno di incenerito.
«Acerra è la città che detiene nel periodo 2013-2018 il tristissimo record di città italiana con i peggiori dati di incidenza del cancro: ben 1073/100mila abitanti» sottolinea il dottor Antonio Marfella medico di Isde, (Medici per l’Ambiente), che ha trovato nel suo sangue, come in quello dei pastori di Acerra, i temibili Pcb e anche lui si è ammalato. La sua voce si alza autorevole con quella di tanti altri medici Isde e di Medicina Democratica a denunciare il dramma sanitario ed ambientale.
«Stiamo partecipando ai vari tavoli convocati da prefetto e Arpa, siamo arrivati all’ottava convocazione, noi continuiamo a ripetere, come gocce sulla roccia, che è urgente portare a termine le bonifiche, almeno delle discariche più pericolose, urge inoltre la rapida attivazione da parte del Governo di strumenti come il Registro Elettronico Nazionale per la Tracciabilità dei Rifiuti – Rentri per il monitoraggio certificato dei flussi di rifiuti speciali, visto che per ora si basa tutto su autocertificazione. Chiediamo una riduzione del traffico dei Tir, che contribuiscono all’inquinamento dell’aria nel nolano, l’implementazione della ferrovia, analisi epidemiologiche sulla popolazione e un registro tumori aggiornato».
Le Mamme di Miriam non si arrendono
Anna Lo Mele è presidente dell’associazione Mamme di Miriam, originaria di Foggia. Quando aveva sedici anni suo padre fu ucciso per aver denunciato il pizzo. «Ho il carattere di mio padre, se vedo una ingiustizia mi ribello e non sto zitta».
La sua cara amica, Antonietta Moccia, ricorda: «Quando mia figlia Miriam si ammalò di medulloblastoma (che statisticamente colpisce 7 bambini su un milione), altri 4 bambini della Terra dei fuochi si ammalarono con lei. E nessuno a parte lei sopravvisse. Siamo alle vette delle classifiche dei tumori pediatrici, sono troppi i bambini che si ammalano, troppe le bare bianche, siamo ormai una terra satura, che ha dato e sofferto troppo».
Due volontarie di Archeoclub mi raccontano le bellezze di Acerra, le origini etrusche, il museo archeologico che pochi conoscono, la città di Pulcinella.
«Questa città non è solo roghi e rifiuti, c’è tanta bellezza, cultura, storia, arte, che nessuno vede più». In fondo come diceva Peppino Impastato, «se si insegnasse la bellezza alla gente la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà».
Antonietta e Anna mi mostrano le campagne dove ormai non si può più coltivare. «Un giorno scoprimmo un’enorme discarica abusiva di pneumatici sotto al cavalcavia, la denunciammo ma è ancora là, ormai inerbita. Tutti speriamo che non prenda fuoco, perché sennò per noi è la fine. Già ogni mattina ci si sveglia con la gola chiusa per il fumo, per i tanti piccoli roghi accesi di notte. Le aziende che lavorano in nero accatastano rifiuti e poi li bruciano e noi respiriamo tutto».
Contro la camorra fin da bambino
Alessandro Cannavacciuolo è un giovane attivista di Volontari AntiRoghi Acerra, il suo impegno contro la camorra è iniziato da bambino. Suo padre Mario e suo zio Vincenzo possedevano un gregge, ma ad un certo punto gli agnelli iniziarono a nascere spaventosamente deformi. I due allevatori smisero ogni attività, ma non si persero d’animo e cercarono di capire cosa era successo. Prove alla mano, denunciarono camorristi e imprenditori che avevano sversato nei terreni, per anni, rifiuti tossici.
Da allora iniziarono le intimidazioni. Alessandro era ancora un bambino ma ricorda con nitidezza i colpi d’arma da fuoco, gli incendi delle automobili, gli abbattimenti di pecore con lo sfregio delle teste fatte saltare a colpi di lupara.
I “re Mida” dei rifiuti e la giustizia
Tra gli imprenditori condannati per disastro ambientale aggravato e traffico illecito di rifiuti, ci sono anche i fratelli Pellini imprenditori del settore rifiuti, chiamati “i re Mida” per la loro ricchezza.
Condannati a 7 anni di carcere nel 2017, in realtà, grazie ai benefici e all’indulto, hanno scontato poco più di qualche mese di carcere e sono ora liberi.
«Purtroppo mio zio Vincenzo morì per tumore, qui non c’è famiglia che non abbia un morto per tumore», racconta Alessandro. «Io crebbi con l’esempio di mio padre e mio zio, con il coraggio delle donne di Acerra e di Padre Maurizio Patriciello davanti agli occhi, abbiamo manifestato contro la camorra ma anche contro lo stato che voleva avvelenarci legalmente con l’inceneritore. Notti passate a vegliare all’aperto, a denunciare. Hanno aperto l’inceneritore ma noi non ci siamo arresi, siamo riusciti almeno a bloccare la quarta linea. Poi arrivò un’altra grave ingiustizia, per un “ritardo” nella sentenza definitiva di confisca, gli avvocati dei Pellini fecero ricorso e il 27 marzo scorso la Corte di Cassazione annullò il decreto di confisca, aprendo così le porte alla restituzione di 220 milioni di euro (tra beni e conti correnti). Per noi fu uno schiaffo, lo Stato ci prendeva in giro. Ci siamo incatenati davanti al Tribunale, e visto che la cosa era troppo vergognosa, li hanno requisiti con un nuovo sequestro. A volte alcuni di noi si rassegnano, ma io dico sempre che nessuna lotta è persa, siamo stati e continuiamo ad essere un grande esempio di attivismo civico, partecipazione e resistenza».
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