VITA30, i protagonisti

Maura Gancitano: «Dire no al totalitarismo del lavoro»

«Il lavoro oggi è onnivoro, si mangia tutti gli altri aspetti della vita che spesso finiscono essi stessi con il diventare un lavoro». La pensatrice, fondatrice di Tlon è una delle presenze più attese alla due giorni per i 30 anni di VITA. L’ascolteremo sabato 25 nella sessione che vede con lei anche Chiara Violini, presidente della Fondazione GiGroup, e Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà

di Giuseppe Frangi

«Il lavoro oggi è onnivoro, si mangia tutti gli altri aspetti della vita che spesso finiscono essi stessi con il diventare un lavoro». La pensatrice, fondatrice di Tlon è una delle presenze più attese alla due giorni per i 30 anni di VITA. L’ascolteremo sabato 25 nella sessione che vede con lei anche Chiara Violini, presidente della Fondazione GiGroup e Stefano Granata, preseidente di Federsolidarietà.

« Mai come oggi, in un mondo post-pandemico che continua a cantare le magnifiche sorti del neoliberismo, lavorare è sembrato altrettanto privo di senso. Una domanda spettrale, allora, ha cominciato ad aggirarsi fra noi: ma chi me lo fa fare?». E “Chi me lo fa fare?” è proprio il titolo del libro che Maura Gancitano ha scritto insieme al marito Andrea Colamedici. Insieme hanno fondato Tlon , un progetto di divulgazione culturale di grande successo che contempla una factory culturale, una casa editrice, due librerie e un’attività di divulgazione. Gancitano sarà una delle protagoniste nella sessione dedicata al lavoro, sabato prossimo in occasione della due giorni per i 30 anni di Vita (“Come lavoreremo?”, 25 ottobre, ore 15,30, necessario prenotarsi qui).

Il libro lo ha concepito come «un atto d’amore verso la nostra finitezza e umanità, verso la nostra stanchezza e la nostra voglia di resistere». In che senso un atto d’amore?

Contro il lavoro onnivoro

Gancitano lo spiega così: «Il lavoro oggi è onnivoro, si mangia tutti gli altri aspetti della vita che spesso finiscono essi stessi con il diventare un lavoro: essere genitori, frequentare social network, creare dei contenuti, avere delle relazioni sociali o affettive tutto è segnato da un’estrema performatività. A volte si dice che se fai un lavoro che ami non lavorerai mai un giorno della tua vita; il problema è quando il lavoro diventa il senso di tutta la vita e ti viene detto che da quanto lavori, da come lavori, da quello che fai dipende il tuo valore come essere umano all’interno della società. Ti viene detto e finisci con il crederci».

Un’altra questione che il libro di Gancitano e Colamedici affronta è quello della fretta, che spinge le persone a sentirsi chiamati a fare tante cose contemporaneamente per stare al passo con i tempi. «Oggi in realtà sappiamo che quasi nessuno riesce davvero a fare multitasking. Quello che facciamo è saltare costantemente da una cosa all’altra senza concentrarci mai davvero su qualcosa per la quale siamo soddisfatti La giornata viene misurata in base a quanto siamo stati produttivi ma non è detto però che quella produttività in realtà ci lasci davvero qualcosa. È una fretta che produce l’effetto di non darti mai il tempo di fare il cosiddetto “deep work”, cioè di fare un lavoro attento profondo di grande concentrazione di cui il nostro cervello ha molto spesso bisogno».


Merito, mettiamolo in discussione

Gancitano mette in discussione anche il criterio oggi così intoccabile del “merito”. «Il concetto di merito deriva da una cattiva lettura di un libro distopico di Michael Young degli anni 50. È stata presa sul serio quelle che in realtà era una critica. Cioè voleva cercare di capire come sarebbe diventata una società meritocratica, che sarebbe diventata una società distopica. Invece è stato preso sul serio e così l’idea del merito è un’idea comunemente accettata come criterio obiettivo per valutare le persone. Molto spesso però la meritocrazia finisce con riconfermare i privilegi e quindi alla fine, se andiamo a vedere anche i dati, le persone che finiscono col meritarsi qualcosa sono le stesse persone che hanno un privilegio economico di partenza o delle caratteristiche che sono più funzionali alla società».

L’idea dei fannulloni resiste

Gancitano ha raccontato in una recente intervista che in occasione delle presentazioni del libro aveva il timore di affrontare contestazioni perché il libro elude il tema dei giovani “fannulloni” che sfuggono per comodo dall’impegno con il lavoro.  «Continua ad esserci l’idea che tanti giovani siano fannulloni che non hanno voglia di impegnarsi. Con chi ancora ragiona così ci sono due vie: una è basarsi sui tanti dati che raccontano una realtà molto più complessa, per esempio, sul rapporto tra stipendi medi e possibilità di sopravvivenza. L’altra sono le storie. Entrambe hanno criticità: i dati puoi ignorarli se non sono coerenti con la tua visione. Le storie possono essere lette come eccezioni, puoi empatizzare con una persona che ha difficoltà, ma è difficile rendersi conto che quella situazione è comune a molti. In quest’ultimo caso, è grande la responsabilità del giornalismo, secondo me. Per molto tempo si è cercato di raccontare le eccezionalità, piano piano ci si rende conto di quanto quei racconti non restituiscano la misura della realtà».

Sequel al Carcano

C’è poi per tutti il coraggio di affrontare l’imperfezione, esperienza strutturale con cui ognuno è chiamato sempre a fare i conti. Al tema Gancitano dedicherà una serata in forma di performance teatrale, il prossimo 14 dicembre al Teatro Carcano di Milano, dialogando con la scienziata e saggista Antonella Viola. Un dialogo per imparare insieme ad accogliere l’imperfezione, l’incertezza, il valore fecondo dell’errore.

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