Economia delle competenze

Sono 144mila gli Eet italiani: ecco chi sono i giovani che fanno impresa

Prediligono i settori innovativi e tecnologici, un terzo di loro vive al Sud. Il quadro del nuovo focus Censis Confcooperative ci mostra gli anti-Neet che creano un nuovo tipo di occupazione, soprattutto in tre settori: pubblicità, gestione aziendale e istruzione

di Redazione

Il numero dei giovani occupati supera la soglia dei tre milioni, di cui circa 1,8 milioni di uomini e 1,2 milioni di donne (tab. 1), vale a dire il 13,3% del totale degli occupati. Si stima che corrispondano al 6,6% del totale delle retribuzioni lorde da lavoro dipendente e sui profitti da lavoro indipendente. Il valore complessivo raggiunge i 52,2 miliardi di euro, il 2,5% del Pil. Malgrado i progressi complessivi, il persistente gender gap nell’occupazione giovanile è tuttora evidente. Il divario tra i tassi di occupazione maschile e femminile, sebbene in lieve diminuzione, rimane significativo: nel 2023 si attesta a 10,4 punti percentuali (39,7% per i maschi contro 29,3% per le femmine).

Dei 144mila giovani imprenditori, conosciuti con l’acronimo Eet (Employed educated and trained), il 35,4% è presente nel Mezzogiorno, il 28,5% nel Nord-ovest, il 16,7% nel Centro e il restante 19,4% nel Nord-est. Dal 2016 al 2023, l’incidenza dei giovani sul totale degli imprenditori italiani scende dal 6% al 5,3%.

Aumenta notevolmente il numero di giovani titolari di imprese in diversi settori specifici: tra il secondo trimestre del 2017 e il secondo trimestre del 2024, triplicano (+228,7%) le imprese giovanili che si occupano di pubblicità e ricerche di mercato, e aumentano del 206,4% quelle che offrono servizi di direzione aziendale e consulenza gestionale. Incrementi altrettanto rilevanti si registrano nella produzione cinematografica, televisiva e musicale (+65,9%), nella produzione di software e consulenza informatica (+52,4%), nei servizi postali e di corriere (+44,1%), nelle attività di leasing operativo e noleggio (+35,5%).

«È la rivincita dei giovani italiani quella che viene fuori da “Gli Eet, i giovani che inventano un lavoro e ce la fanno”, il nuovo focus Censis Confcooperative», sottolinea Maurizio Gardini. «Un piccolo esercito, 144mila giovani tra i 15 e i 29 anni che, grazie all’autoimprenditorialità, aprono attività in diversi settori, prevalentemente innovativi e tecnologici, battono la crisi, fanno impresa e creano lavoro. Sono loro gli Eet, gli anti–Neet, vale a dire i giovani italiani diventati protagonisti di quell’economia delle competenze che esprime una crescente domanda di capitale umano altamente qualificato. Si intravede un’occupazione di “nuovo conio”».

La comunicazione, mediata da strumenti sempre più sofisticati, ha generato un mercato su cui i giovani si stanno proponendo come principali erogatori di servizi, fino a monopolizzare l’offerta e ad assumere, in questo campo, un livello di competenza che asseconda il ritmo dell’innovazione continua che spiazza le generazioni precedenti. È un segnale importante il fatto che i settori in cui oggi si registrano maggiormente i giovani sono settori economici con una valenza sociologica estremamente particolare: pubblicità, gestione aziendale e istruzione. Negli anni di crisi profonde e di stasi preoccupanti del mercato occupazionale, è restata salda la vitalità tipica dei giovani che non hanno smesso di puntare su sé stessi. Per questo si iniziano a intravedere i contorni di un’occupazione di nuovo conio.

L’evoluzione del mercato occupazionale giovanile italiano evidenzia una marcata tendenza verso una “economia delle competenze”, con una crescente domanda di capitale umano altamente qualificato. Il significativo incremento del 3,1% nella quota di occupati con laurea e post-laurea, che ora costituisce il 23,5% del totale, rappresenta un chiaro indicatore di questa transizione (tab. 2). Parallelamente, la contrazione del 2,7% tra gli occupati con licenza media segnala una progressiva marginalizzazione delle competenze di base. Questa dicotomia spiega la profonda ristrutturazione del tessuto produttivo nazionale verso settori ad elevato valore aggiunto e intensità tecnologica, che necessitano di una forza lavoro dotata di skill avanzate e specialistiche.

Tale evoluzione nel panorama occupazionale pone l’Italia di fronte alla sfida cruciale di allineare il sistema formativo alle esigenze di un’economia sempre più imperniata su competenze e innovazione continua, per evitare il rischio di un mismatch strutturale tra domanda e offerta di skill.

La stabilità della quota di diplomati (59,9% nel 2023) suggerisce che questo gruppo rimane il più rappresentativo tra i giovani occupati, sottolineando l’importanza di politiche che promuovano non solo l’istruzione superiore, ma anche percorsi formativi diversificati e allineati alle esigenze del mercato, garantendo al contempo pari opportunità di accesso e progressione di carriera indipendentemente dal genere. Subiscono però diminuzioni significative alcuni settori: le imprese di attività ricreative (arte, sport, intrattenimento, -38%), le attività di sanità e assistenza sociale (-40,2%), il commercio all’ingrosso e al dettaglio (32,7%) e le attività di alloggio e di ristorazione (-31,8%).

Tra il 2016 e il 2023, dalle elaborazioni del Censis su dati forniti dal Registro delle imprese di Infocamere, si riscontra una decrescita del 7% del numero dei titolari di impresa in Italia, e la componente più giovane si riduce anch’essa: di fatto, le imprese gestite dagli under 30 sono diminuite del 16,9%. La tendenza di decrescita negli anni considerati è sostanzialmente costante, con una leggera accentuazione durante gli anni del Covid, portando il numero dei giovani titolari da 186mila (2016) a 155mila (2023). Nonostante queste variazioni notevoli, l’unico settore in cui si può dire che vi sia stato un cambio significativo delle proporzioni giovani/over 30 è il settore della pubblicità e delle ricerche di mercato. Infatti, un quinto (20,2%) delle imprese di questo settore è a conduzione giovanile, con aumento del 12,3% dal secondo trimestre 2017.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.