Volontariato

Una signora cooperativa

Ha vinto il premio Bellisario come miglior imprenditrice dell’anno. Intervista ad Eleonora Bortolotti.

di Carlotta Jesi

A maggio, la Fondazione Bellisario le ha assegnato il Germoglio d?Oro per la migliore idea di business realizzata da una donna: sette steli dorati incastonati tra pietre di quarzo che Eleonora Bortolotti esibisce sul tavolo della sala riunioni della cooperativa sociale Eureka!. Fra bicchieri in plastica colorati dell?Ikea, fascicoli pieni di grafici perfettamente rilegati e un filo bianco con pendagli rosa, gialli e azzurri trasformato in collana dalla sua figlia più piccola. La terza avuta, da quando, nel 1993, ha lasciato una promettente carriera da marketing manager e il settore profit, per aprire una ludoteca nella periferia di Milano insieme a due amiche che, come lei, erano in attesa del primo figlio.Obiettivo: “Vivere una maternità di qualità e creare una rete di servizi per i Comuni, le aziende e le famiglie che aiutassero a conciliare i tempi della vita familiare e di quella lavorativa”, ricorda Eleonora. Quarantun anni portati su un fisico da nuotatrice, e con un filo di perle “troppo perbene per certi colleghi votati ai sandali e ai capelli lunghi”, che insieme alla famiglia e ai molti incarichi di prestigio (fa parte del Comitato per l?imprenditoria femminile della Camera di commercio di Milano, della presidenza regionale e della direzione nazionale dell?Associazione servizi e turismo Legacoop Lombardia ed è responsabile dell?area minori e giovani del Consorzio sociale Light) da soli basterebbero per definirla un?imprenditrice sociale di successo. Invece ci sono anche i numeri: negli ultimi 10 anni, il fatturato di Eureka! è passato da 50 milioni di lire (circa 25mila degli attuali euro) a 800mila euro e i suoi progetti oggi variano dalle ludoteche ai nidi aziendali, dai centri di aggregazione per adolescenti agli sportelli lavoro, dagli asili familiari ai corsi di formazione per operatrici sociali. Una galassia di servizi che i teorici del non profit chiamano family friendly, mentre Eleonora li definisce “pratici”. Perché alla teoria, soprattutto quella sul Terzo settore, la vincitrice del Premio Bellisario è allergica. “Il sociale s?agisce. L?ho imparato da piccola, quando don Gino Rigoldi, uno dei migliori amici di mia mamma, veniva a cena da noi”. Vita: Che genere di cene erano quelle con don Rigoldi? Eleonora Bortolotti: Ce n?erano di due tipi. Quando veniva da solo per rilassarsi, e quando veniva coi ragazzi appena usciti dal Beccaria. Avevamo un cartello che diceva “La cucina chiude alle 9”, ma non succedeva mai. La mamma tirava fuori vino e mortadella, parlava con don Gino e i ragazzi insegnavano a me e alle mie sorelle a fumare di nascosto sul balcone. Da morir dal ridere. Per noi frasi come “stai attenta agli sconosciuti” o “ai drogati”, non esistevano, ce li avevamo in casa molto prima che esistesse l?affido o che il volontariato fosse riconosciuto come un?attività organizzata. C?erano dei problemi e a tavola ci si ingegnava per risolverli, devianza e tossicodipendenza sono categorie di cui ho cominciato a sentir parlare solo molto tempo dopo. E lo stesso vale per i cosiddetti ?strumenti di conciliazione?: quando mi hanno chiesto se li applicavamo, ho dovuto chiedere cos?erano. Niente di diverso dalle soluzioni pratiche che abbiamo inventato per tenere insieme lavoro e famiglia: tutte le nostre 40 socie, di nazionalità e background molto diversi fra loro, hanno orari di lavoro e ferie flessibili, siamo intercambiabili nelle varie funzioni perché una possa sempre sostituire l?altra, condividiamo macchine e giro di recupero dei figli, ricicliamo giochi e vestiti usati, pratichiamo il telelavoro e prestiamo denaro ai soci che hanno bisogno di liquidità. In genere nelle cooperative accade il contrario, ma ce la facciamo con tranquillità anche senza essere una finanziaria. Ma il nostro principale investimento, oggi come 10 anni fa, rimane la formazione: progettata ad personam, e focalizzata su tematiche che spesso vengono proposte dalle socie stesse. Il risultato di questi benefit sociali che proponiamo anche alle aziende attraverso una rete di servizi personalizzati ideati per promuovere il benessere dei dipendenti? Eureka! non soffre di turnover del personale e l?assenteismo, anche di genitori con figli piccoli, è ininfluente. Vita: Eureka! fa parte della Lega delle Cooperative, collabora con Cgm, il più grande consorzio di cooperative sociali d?Italia, e con il Sistema imprese sociali. Come è cambiato il suo rapporto col non profit negli ultimi 10 anni? Bortolotti: Nel 1993, quando ho aperto la prima ludoteca, non sapevo neppure cosa fosse una cooperativa di tipo A. Me lo spiegò il responsabile sociale di Legacoop, Felice Romeo. Ma anche oggi non mi sento molto parte del Terzo settore. Eureka! spesso viene criticata dalle altre cooperative: “Ecco le imprenditrici”, dicono con un po? di sprezzo di me e delle mie socie quando arriviamo ai tavoli di concertazione e alle riunioni tra cooperative con le presentazioni piene di numeri e grafici sull?efficienza. Come se di sociale potessero occuparsi solo quelli con l?orecchino al naso, o come se ci fosse il bisogno di ribadire la decisione alla base della nostra attività. Il sociale lo agiamo, perché ripetercelo ogni volta? È scontato, la mia sfida è fare il sociale tenendo in piedi la mia impresa, facendo tornare i conti e pagando bene le persone che lavorano per me. Tema, quest?ultimo, su cui una parte della società civile mi sembra molto ipocrita. Parla di etica e vince gare d?appalto a prezzi che vogliono dire una cosa sola: sfruttamento dei tuoi operatori. Altro che bilanci sociali, per giudicare trasparenza ed eticità di un?organizzazione non profit vediamo le gare cui partecipa. C?è anche un altro motivo per cui oggi mi trovo molto distante da certe cooperative sociali: il senso di colpa che molti dei loro operatori provano per il fatto di essere pagati. Un senso di colpa che i vecchi tramandano ai giovani, molto dannoso per l?impresa sociale cui Eureka! risponde dando stock option ai suoi soci: a fine anno, se abbiamo un po? di utile, aumentiamo il capitale sociale nominativo dando un po? di ?azioni? ai soci che possono essere riscattate quando se ne vanno. Credo sia giunto il tempo di guardarsi in faccia e dirsi le cose come stanno. A certi colleghi consiglierei di leggere un libro di Alvise Zorzi, Storia di Venezia: un viaggio alla scoperta della Repubblica di Venezia, la prima ad abolire la pena di morte, dove l?ipocrisia non esisteva proprio. È un libro che ha molto da dire sulla gestione e sulle criticità della democrazia. Vita: Se invece fosse lei a dover spiegare ai colleghi cos?è la responsabilità sociale, cosa direbbe? Bortolotti: Per prima cosa, ascoltare le risorse con cui lavori, far loro un contratto regolare e metterle nelle condizioni di conciliare il lavoro e la famiglia. Ma anche far tornare i conti, gestire le risorse, che spesso sono fondi pubblici, in maniera efficiente ed essere trasparente nella gestione degli appalti. I numeri, e i bilanci, sono importanti anche nel non profit. In una famiglia bisogna arrivare a fine mese, perché una cooperativa sociale dovrebbe essere diversa? Il punto di forza di Eureka! è che la gestiamo con il rigore di un?impresa e la praticità tipica delle donne. Donne che oggi rappresentano quasi il 98% della forza lavoro del non profit ma che, all?interno del Terzo settore, contano ancora pochissimo. È un problema di cui possiamo incolpare solo noi stesse: perché anche se siamo molto competenti, abbiamo paura di assumere incarichi di responsabilità. Lo vedo nei colloqui che faccio per la cooperativa. Un uomo, anche se non conosce benissimo il tipo di intervento sociale che abbiamo in mente, si candida subito per coordinarlo perché pensa di avere questa o quella qualità. Si butta, insomma. La donna fa il contrario: sul curriculum vitae può avere tutti i master e le qualifiche del mondo, ma non osa. E questo atteggiamento, naturalmente, fa si che poche donne siedano negli organismi di rappresentanza del settore. Vita: Eureka! invece ha cinque dirigenti donna, con una media di due figli a testa avuti mentre lavoravano per la cooperativa. Lo considera un indicatore di successo economico oltre che sociale? Bortolotti: Di sicuro è un segnale del fatto che vita e lavoro sono compatibili. Stiamo pensando di inserirlo tra gli indicatori del nostro bilancio sociale, ma forse bisognerebbe spingersi più in là, come fa la studiosa americana Martha Nussbaum: proseguendo il lavoro del premio Nobel per l?economia Amartya Sen, propone di usare la condizione della donna e i servizi di cura come indicatori di sviluppo di una società in alternativa al Pil e, in generale, come uno dei pilastri in base ai quali giudicare il livello di democraticità degli Stati. Negli ultimi 10 anni, tutte insieme le socie di Eureka! hanno avuto una ventina di figli. E quelle che decidono di adottarne uno, sanno di avere tutti i diritti di un genitore biologico. Vita: L?economista Luigi Campiglio propone di invertire il triste trend che relega l?Italia ai più bassi tassi di natalità al mondo dando un peso elettorale ai minorenni e affidando alle loro madri il compito di esprimerlo. Che ne pensa? Bortolotti: Credo che non sia necessario. Dovrebbe essere la società a prendersi cura dei suoi cuccioli, perché sono il suo futuro. Purtroppo questo non succede, e negli ultimi anni la situazione della famiglia non è affatto migliorata. Anzi: con l?aumento delle famiglie monoparentali, la difficoltà di conciliare vita e lavoro aumenta. C?è sempre un pezzo che lasci incompiuto: la lavatrice quando esci di casa, il fax che doveva assolutamente partire oggi quando lasci l?ufficio per andare a prendere i figli a scuola. E la conciliazione non è l?unico problema della famiglia di oggi: aumenta l?esigenza di socializzazione, di non sentirsi soli. A tutti i livelli. Ce ne accorgiamo nei nidi, parlando con donne che andando in maternità si trovano all?improvviso sole, ma anche nei centri di aggregazione per adolescenti: i ragazzi che li frequentano hanno bisogno di condividere paure e angosce. Se c?è una lezione che ho imparato da don Rigoldi, è la ricchezza della diversità: nella famiglia e nella società. Vita: Oltre che imprenditrice, si definirebbe una consumatrice e una mamma responsabile? Bortolotti: Sono una che legge le etichette e che va a brontolare se qualcosa non va. Sono una mamma che non dà le merendine e che, in questo momento, è in lotta col suo figlio maggiore perché vuole le Nike. Cerco di insegnare ai bambini che si mangia a casa, e non fuori, e, soprattutto, che bisogna avere una buona dose di senso critico.


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