Volontariato

Grazie Chiesa, forza umile

"Oggi i laici chiedono al Papa e ai cattolici di essere più duri. Ma il cristianesimo non è una bandiera". Intervista ad Andrea Riccardi.

di Ettore Colombo

Nello splendido e silenzioso giardino interno dove la comunità di Sant?Egidio è nata, a Roma, quartiere Trastevere, piazza e chiesa appunto di Santa Maria in Trastevere, tutto sembra lontano, attutito. Anche una guerra civile devastante come quella in atto in Liberia. ?L?Onu di Trastevere?, cerca, tanto per cambiare, di metterci una pezza. Andrea Riccardi, tra i maggiori storici del Cristianesimo contemporaneo e fondatore, nel 1968, della comunità, deve fare gli onori di casa. Figuriamoci se non attendiamo pazientemente, in nome della pace. Lui invece è impaziente quando è l?intervista che tira per le lunghe: tutte le sere nella basilica di Santa Maria in Trastevere si prega ed è la preghiera il centro della vita di Sant?Egidio, a Roma e nelle altre Sant?Egidio sparse per il mondo, centinaia di ?scuole di pace? comprese. Non la diplomazia, non le opere, per quanto meritorie, per capirci, anche se senza Sant?Egidio non ci sarebbe la pace in Mozambico o, più di recente, non ci sarebbe stata la grande giornata per l?Africa a Roma (complici Veltroni e Pezzotta). La storia di Sant?Egidio comincia nel 1968, con un gruppo di studenti del liceo romano Virgilio che volevano cambiare il mondo ma che ai classici marxisti preferivano i teologi cattolici. E il Vangelo, naturalmente. Riccardi era stato Gioventù studentesca, poi Cl, di don Giussani, la maggior parte dei membri di Sant?Egidio ha conosciuto la fede attraverso Sant?Egidio. Nel 1973 la comunità stabilisce il suo quartier generale aTrastevere, allora un monastero vuoto, oggi il suo cuore pulsante. Sant?Egidio comincia dagli ultimi, dalle baracche della periferia romana, tra poveri e nomadi, barboni ed extracomunitari. Lì mette in piedi un doposcuola (la ?Scuola popolare?) per bambini. Oggi la comunità è diffusa in 60 Paesi e 4 continenti. Riccardi e Sant?Egidio sono capaci di far dialogare capi di Stato e capi tribù, generali e cardinali in nome della pace, dell?Africa, della lotta all?Aids. Vita: Leggenda vuole che lei abbia fatto da anfitrione, negli ambienti felpati della diplomazia vaticana, a un giovane vescovo polacco appena eletto Papa, Karol Wojtyla. Andrea Riccardi: Quando è arrivato questo Papa ho avuto subito la netta sensazione che aveva un grande messaggio e un linguaggio diverso da quello che si parlava in Italia, anche in Vaticano. Qualcuno diceva che era un linguaggio ?da polacco?. Sì, ma carico di valori spirituali. Il Papa s?è ritrovato a Roma perplesso nei confronti della vita della Chiesa italiana. Quando è venuto a Sant?Egidio, ma anche nelle altre occasioni in cui l?ho incontrato, ho sempre vissuto il suo ruolo non solo come Papa ma anche come vescovo: lui ci teneva molto a sentirsi vescovo di Roma e ha sempre sofferto il fatto di non poterlo fare del tutto. Quando l?ho conosciuto avevo 28 anni: “Perché perde tempo ad ascoltare un ragazzotto come me?”, mi chiesi. Il mio rapporto e quello della comunità con lui è partito parlando di Roma e dell?Italia, della realtà di allora, della nostra esperienza con i poveri e i giovani. Lui era curioso, s?informava di tutto. Vita: Su Woityla ha scritto un libro importante, Governo carismatico. Come giudichi il suo pontificato? Riccardi: Come quello di un uomo che ha un forte messaggio ma è anche interessato a conoscere la realtà e a declinare questo suo messaggio nella vita. Un uomo che, lo sappiamo, non aveva paura e invitava a non avere paura ma anche estremamente rispettoso delle persone. Di certo la sua ascesa al pontificato è stato uno shock per molti, ha avuto resistenze, non da tutti è stato accolto bene. Vita: Perché veniva visto come un ?anti romano?? Riccardi: Perché c?era un po?, nella Chiesa di allora, il fascino del declino e perché c?era, nella società, l?idea che ci si dovesse emancipare dal potere religioso. Il primato dell?evangelizzazione (peraltro risalente a Paolo VI), era stato poco recepito: quasi non si voleva esagerare, non si voleva dare fastidio alla società. E poi perché c?era una visione istituzionale, clericale direi, della Chiesa. Questo Papa, invece – prete fino in fondo, vescovo fino in fondo, Papa fino in fondo – non era e non è un clericale, ha sempre avuto un grande rispetto del ruolo dei laici perché è un Papa che crede in un Cristianesimo di popolo e in una Chiesa di popolo. Non istituzionale, non curiale, non clericale. Vita: Dunque non un restauratore di una visione ?militante? del Cristianesimo? Riccardi: Tutt?altro. Da subito, Woityla si dimostra curioso, aperto. E poi questo è il Papa che, già nel 1986, convoca le grandi religioni ad Assisi. Molti, allora, si meravigliarono: ma come, il Papa dell?identità è anche il Papa del dialogo? Io non mi sono meravigliato. Perché non credo a un dialogo all?insegna del relativismo. Se non c?è identità non c?è dialogo, anche se il dialogo è una necessità perché dobbiamo vivere insieme e la società contemporanea è la società del ?con-vivere?. Ecco dunque che il Papa dell?identità è da subito anche il Papa del dialogo. Del resto, cosa aveva fatto Wojtyla in Polonia, come aveva risposto ai comunisti? Con l?odio? No. Con un anticomunismo di maniera? No. Con l?evangelizzazione. Sa bene come il Vangelo crei sempre spazi di responsabilità e di libertà. Da lì è nata l?evoluzione di Solidarnosc. In questo senso davvero Wojtyla non è un Papa ?politico?, cioè un Papa che calcola (Paolo VI lo è stato molto di più) ma un Papa che crede alla forza dei movimenti e a una Chiesa evangelizzatrice. Vita: Sull?Europa non trova paradossale che un certo pensiero liberale oggi chieda al Papa e alla Chiesa di ?alzare la guardia? per difendere i valori della società occidentale ed europea ?stanca? e minacciata? Riccardi: Che la società si rivolga alla Chiesa, antica madre di questa società, lo trovo naturale, istintivo, in un momento in cui i valori crollano. Che poi i laici vogliano insegnare alla Chiesa cosa deve fare, è una tentazione antica. Ricordo quando i marxisti spiegavano ai cattolici cosa voleva dire fare la ?scelta per i poveri?. La Chiesa è una realtà troppo interessante e viva per chiunque fa un discorso generale sulla società. Oggi i laici chiedono alla Chiesa di essere più dura verso la civiltà islamica ma da 25 anni il Papa c?insegna cosa vuol dire essere cristiani responsabili. A me non dispiace che la Chiesa sia considerata un soggetto della nostra storia ma non dobbiamo secolarizzare il suo ruolo. Al centro c?è la conversione al Vangelo, fatto che ha conseguenze esistenziali e conseguenze sociali. Non un Cristianesimo come bandiera ma un Cristianesimo che dai cuori trabocca nella vita. Il Papa ha sempre insistito su questo aspetto: che un Cristianesimo di popolo e la conversione al fatto cristiano non sono senza conseguenze sulla vita della società. Ma anche qui bisogna intendersi: opporsi all?Islam non vuol dire automaticamente essere cristiani, anzi. Un?identità matura e di popolo sa distinguersi e sa dialogare. Non è certo il sentimento ?anti? che crea l?identità religiosa. Ma che questo Papa sia il Papa dell?orgoglio del Vangelo, questo è vero. E non credo affatto, come pensano alcuni, anche nel mondo laico, che ci sia contraddizione tra evangelizzazione e dialogo. Vita: Anche nei confronti dell?Islam? Riccardi: Sì. Vede, il Papa ha avuto chiaro, sin dagli anni 80, che l?Islam sarebbe stato un problema, anche se era una parte di mondo che non conosceva. Innanzitutto negava un?dogma? tanto in voga tra le scienze sociali di allora, quello che voleva che le religioni fossero un fenomeno destinato a finire o a restare in uno spazio residuale della coscienza personale. Wojtyla ha rilanciare il ruolo pubblico delle religioni: ruolo che coglieva anche nell?Islam. Il raduno di Assisi del 1986 è un colpo di genio perché da un lato coglie il ruolo ?pubblico? delle religioni, che possono determinare la pace o la guerra, dall?altro il loro ruolo ?politico?: la bandiera della pace, fino ad allora, era stata la bandiera della sinistra comunista, italiana e sovietica. Da allora lo diventa della Chiesa. Il Papa dunque coglie il ruolo politico delle religioni e quindi anche dell?Islam ma non s?illude sull?Islam. Woityla risponde all?Islam cercandone gli interlocutori. Vita: Sarebbe stato importante scrivere, nella Costituzione europea, che il continente ha radici cristiane? Riccardi: Quest?Europa parte di certo senza grande pathos partecipativo. Serve appeal, in una Costituzione: le radici cristiane del continente erano un appeal. L?altro grande appeal era il discorso su Auschwitz e non c?è neanche questo. Perché l?Europa parte anche da lì: non è una radice ma un ?luogo? storico ed epocale dell?unità europea. De Gasperi, Adenauer e Schumann fanno nascere l?Europa da lì. Poi, naturalmente il futuro del Cristianesimo in Europa sta nella capacità che i cristiani avranno di comunicare il Vangelo e non nella Costituzione. Ma sarebbe stato un richiamo forte alle radici e alla memoria. Peraltro, c?è un bisogno fortissimo di Europa, nel mondo. Non solo dei soldi e dei soldati dell?Europa ma soprattutto della cultura politica dell?Europa. Vita: L?Africa, dice sempre Sant?Egidio, è stata ?dimenticata?. E lì il problema non è solo l?Islam… Riccardi: Per me la sfida con il neoprotestantesimo è un problema forse maggiore di quello dell?Islam e credo che nel 2050 noi e loro saremo le due vere, grandi, espressioni del Cristianesimo, mentre protestanti e ortodossi resteranno realtà minoritarie. Poi ci sono le ?free church?, le chiese africane libere, altro problema ancora. Con loro invece serve il dialogo, oggi ancora timido. In fase di bilancio, comunque, credo che la Chiesa e questo Papa siano stati un grande elemento di memoria e di difesa dell?Africa. Penso ai nuovi martiri, ad esempio, molti dei quali sono africani. Il problema, piuttosto, per la Chiesa in Africa è quello dei laici: negli anni 60 c?erano grandi laici cristiani in Africa, come Senghor, il presidente del Senegal, e Nyerere, il presidente della Tanzania. Noi siamo presenti in 22 Paesi africani, come comunità, e ne sono responsabili gli africani stessi (non lo dico per fare del ?politically correct?: è il nostro metodo), ma vedo il problema di una soggettività laicale forte, in Africa. In una società autoritaria e gerarchica come quella africana bisogna creare una società civile. Ma non come fanno troppo spesso le nostre ong europee-occidentali, una sorta di ?club europeo?, una nuova presenza di europei – positiva, negativa o mediocre che sia – che si sente portatrice di valori universali. Vita: Perdoni la domanda provocatoria. Ma non è che Sant?Egidio invece tende a ?dimenticare? l?Iraq? Riccardi: Noi dell?Iraq ci occupiamo da tanti anni, almeno dal 1986 quando abbiamo aiutato un migliaio di cristiani iracheni che erano scappati in Turchia. I rapporti con i caldei sono sempre stati intensi, anche sotto Saddam. Abbiamo sempre detto che la guerra in Iraq non andava fatta e anche insistito sul fatto che dobbiamo comportarci, più che da pacifisti, da pacificatori. Oggi il problema è ben più vasto del problema ritiro sì – ritiro no delle nostre truppe, ma è il progetto per l?Iraq di domani. La risoluzione Onu è importantissima ma è un passaggio, il punto è chi gestisce il dopoguerra e dunque un governo iracheno che funzioni. Se democrazia vuol dire ?un uomo, un voto? e vincono gli sciiti, quale sarà la reazione dei curdi? Vita: Chi sono oggi i nuovi martiri, altro tema su cui lei ha scritto un libro importante? Riccardi: Sono un po? angosciato dalla banalizzazione della parola martirio. Se litighi con tua moglie non sei un martire. Il martire cristiano non vuole morire, ma dice “continuo a comunicare il Vangelo, ad amare, a servire l?uomo a prezzo della mia vita”, ma non vuole morire. Padre Puglisi, l?arcivescovo Romero, i monaci di Tiberini in Algeria non volevano morire. Sono entrato a contatto con questa realtà durante il Giubileo del 2000 e ho potuto studiare carte mai studiate prima. La chiesa di San Bartolomeo all?isola Tiberina il Papa ce l?ha affidata per i 25 anni della comunità e noi l?abbiamo trasformata nella basilica memoriale dei nuovi martiri del ?900: ogni altare è dedicato a un gruppo di martiri. Questo dei martiri è un capitolo immenso e ancora poco conosciuto della storia recente della Chiesa, ma ci parla della sua forza umile, della sua debolezza resistente. Vita: Il futuro della Chiesa non la inquieta? Riccardi: Penso dunque a una agonia del Cristianesimo perenne ma dove ?agonia? viene dal greco e vuol dire lotta; non vuol dire ?fine? ma saper affrontare sempre situazioni nuove con la fede. Niente è mai assicurato, per la Chiesa cattolica. Crisi non è dunque decadenza ma agonia, appunto, cioè lotta.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA