Volontariato

Patten: no allo scontro di civilt

Anticipazione di Vita magazine in edicola. Il ministro degli esteri Ue: "La logica del muro contro muro sta portando il mondo alla rovina. Bisogna cambiare, così.."

di Paolo Manzo

Christopher Patten, conservatore, attualmente commissario Ue per le Relazioni esterne, è tra i possibili candidati alla successione di Romano Prodi alla presidenza della Commissione europea. Quella di Patten è una carriera politica iniziata nell?ormai lontano 1966. Patten il 24 maggio scorso ha tenuto un discorso illuminante al Centro di studi islamici dell?Università di Oxford, sui rapporti tra Islam e Occidente, che vi riproponiamo in questo numero e che qui vi anticipiamo. Patten, affronta le possibili soluzioni affinché non si arrivi a quello scontro tra civiltà preconizzato dal politologo Samuel Huntington nel suo famoso saggio e che sembra essere dato per scontato (o addirittura favorito) da un numero sempre più grande di persone. Sia ad Occidente che nel mondo islamico. (…) La logica del muro contro muro sta portando alla rovina il mondo. di Chris Patten Se Samuel Huntington fosse un?azione, oggi sarebbe una di quelle che i consulenti finanziari consiglierebbero di comprare. Brutta notizia, perché lo scontro delle civiltà, da lui anticipato con un articolo su Foreign Affairs già nel 1993, getta un?ombra mortifera sul futuro di un ordine mondiale incentrato sulla libertà. Ma, per quanto sia deprimente, siamo noi stessi ad aver provocato questo disastro incombente. Lo scontro tra il mondo che si dice forgiato dal Nuovo Testamento e quello islamico, che si dice forgiato dal Corano, è una catastrofe che sembriamo volere scatenare con le nostre mani. Come siamo arrivati fin qui? Huntington, una moda La tesi di Huntington era di moda ai tempi del trionfo del liberalismo, dopo la caduta del Muro di Berlino, e ci ammoniva contro il pensiero secondo cui all?epoca ci si poteva rilassare: “I più grandi conflitti del futuro”, scriveva Huntington”, saranno causati dalle differenze culturali che separano una civiltà dall?altra. La tecnologia non farà che rimpicciolire il mondo globalizzato e acuire lo scontro”. Queste sue tesi oggi vanno di moda nei circoli accademici occidentali, e sono ampiamente citate sui siti che inneggiano alla jihad, ma prima dell?11 settembre erano considerate provocazioni da seminario. Poi il mondo è cambiato. Io ho cominciato a preoccuparmi leggendo un libro del professor Bernard Lewis, professore emerito di Princeton, da cui ho imparato molto. Leggendo il passo che segue del suo La crisi dell?Islam ho capito che si stava andando nella direzione sbagliata: “La maggior parte dei musulmani non sono fondamentalisti, e la maggior parte dei fondamentalisti non sono terroristi, ma la gran parte dei terroristi di oggi sono musulmani e si definiscono orgogliosamente tali”. Be?, certo, questa è una frase che risuona in certi circoli politici di Washington. Ma cosa sarebbe accaduto se, dopo un ipotetico attentato dell?Ira contro i magazzini Harrod?s, avessi fatto con quegli stessi politici americani un ragionamento tipo: “La maggior parte dei cattolici non sono estremisti irlandesi, e la maggior parte degli estremisti irlandesi non sono terroristi, ma la maggior parte dei terroristi sono cattolici e si definiscono con orgoglio tali”? Ho il sospetto che non avrei aumentato il numero dei miei ammiratori in America. Il punto è che ci hanno insegnato che c?è una furia nel mondo islamico che fomenta l?ostilità contro gli Usa e contro l?Europa: lo scontro delle civiltà. Ci sono molti modi per affrontare questo tema. Io non lo affronterò usando motivazioni religiose, né dibatterò se l?Europa debba o meno rappresentare la civiltà cristiana. La nostra storia recente di camere a gas e gulag, il nostro retaggio cristiano di antisemitismo a volte flagrante, altre strisciante non ci danno il lignaggio per rivolgerci al mondo islamico come fossimo i custodi di superiori valori morali: i nostri pregiudizi possono essere solida roccia, ma i nostri pulpiti sono fatti di paglia. Da ciò che si dice, cosa di questo mondo islamico fa a pugni con la nostra civiltà? Nel 2002 la Arab Thought Foundation commissionò una ricerca in otto Paesi arabi: ne emerse che (purtroppo) il programma tv preferito è Chi vuol essere milionario e che gli arabi, proprio come europei e americani, hanno in cima alle loro preoccupazioni la sicurezza, l?appagamento professionale e la soddisfazione personale. Dal secondo rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo dell?Undp (riferito al 2002) si evince che i cittadini dei Paesi arabi sono, al mondo e in assoluto, quelli che ritengono la democrazia la migliore forma di governo, precedendo di gran lunga europei e americani? È semplice: il mondo arabo non ha problemi con i valori americani ed europei, ma non sopporta le politiche Usa e, per estensione, queste stesse politiche abbracciate o tollerate dall?Europa. Prima su tutte, oggi, la politica sull?Iraq, anche se nel 2002 il grosso problema era (sempre secondo la ricerca citata) “la mancanza di pace in Medio Oriente e la negazione dei diritti dei palestinesi”. E proprio il trattamento dei palestinesi è uno dei quattro punti che, a seconda di come saranno affrontati da Stati Uniti ed Europa, potranno gettare ponti tra Occidente e mondo arabo. O bruciarli. La ricerca dell?Undp Gli altri tre sono: come noi occidentali ci approcciamo al dibattito in corso sulle riforme nel mondo arabo; come ci comporteremo sull?Iraq di qui in avanti; come risponderemo alle aspirazioni europee della Turchia. Vediamo come questi quattro punti possono aiutarci a vincere la minaccia terrorista, tenendo presente che cercare di capire le ragioni del terrorismo non significa condonarne le malvagità. Le idee di Osama e dei suoi sostenitori non hanno dignità di sofisticato manifesto politico, dal momento che non vanno oltre graffiti del tipo “Yankee, go home”. Ma rappresentano una forma di alienazione politica, sociale e culturale che dovremmo cercare di comprendere. Non è normale per uomini e donne alzarsi la mattina e farsi esplodere. Affrontiamo alcuni dei temi connessi all?iniziativa statunitense di lanciare la ?grande iniziativa per il Medio oriente?. La ricerca sullo sviluppo umano nel mondo arabo dell?Undp, eletta da Time “la pubblicazione più importante dell?anno”, ha scatenato una marea di dibattiti in tutti i Paesi arabi sulle ragioni che stanno dietro alle basse performance economiche e all?arretratezza di questi Paesi. Oltre un milione di copie di questa ricerca sono state scaricate da Internet. Come ha potuto una ricerca accademica avere un impatto così grande? In primis, per la credibilità degli autori, ricercatori e politici arabi e non i soliti noti stranieri. Poi per l?analisi, sincera e apolitica. Com?è possibile che in termini di performance economica, negli ultimi 25 anni, la sola regione che ha fatto peggio dei Paesi arabi sia stata l?Africa subsahariana? E per quale ragione il Pil di tutti i Paesi arabi insieme non eguaglia quello della Spagna? La risposta si trova nelle raccomandazioni finali del direttore regionale arabo dell?Undp. Che prescrive: promuovere il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali come pietre miliari del buon governo; favorire la piena emancipazione femminile; promuovere l?istruzione a tutti i livelli e metterla a frutto. Governance, parità, istruzione: una formula che viene dagli stessi arabi per il miglioramento e il progresso degli arabi. Il legame tra un governo che rispetti i diritti e migliori performance economiche è forte. L?incidenza negativa dell?autoritarismo è duplice: in primis, una crescita economica bassa non crea i posti di lavoro che la crescita demografica dei Paesi arabi richiede. Giovani senza opportunità, lavoro e soldi sono attratti da altre cose. Inoltre, la negazione delle libertà civili causa di per se stessa risentimento, e trasferisce i dibattiti dalle strade e dai bar agli scantinati. Cattive performance economiche abbinate alla soppressione del dissenso alimentano il problema. Le porte dell?inferno Come dovrebbe l?Occidente sostenere un processo di modernizzazione che è così tanto nel suo interesse, abbassando le pressioni dell?immigrazione clandestina, aprendo nuovi mercati ed esportando stabilità ai propri confini? Non accetto che questi non siano affari nostri: avere vicini floridi ed equilibrati è un nostro grande interesse. Né accetto l?idea di chi dice che incoraggiare le democrazie nel mondo arabo creerebbe solo problemi, a rischio di scambiare amici autoritari più o meno compiacenti con rabbiosi regimi fondamentalisti. Non credo che un Paese politicamente libero sia più instabile di uno autoritario. Ciò nonostante ci sono regole da rispettare. Lawrence d?Arabia diceva: “Meglio lasciarli agire in modo imperfetto che farlo perfettamente noi”. Perciò è imperativo che l?agenda della modernizzazione dei Paesi arabi sia gestita da loro. Riconoscere che questo processo ha bisogno di tempo, non è un modo per procrastinare le riforme. Costruire una democrazia non è come fare un caffè. Winston Churchill, nel suo My early life aveva scritto: “Mai, mai, mai credere che la guerra sia facile o dolce. Lo statista che cede alla febbre della guerra deve sapere che una volta dato il segnale d?attacco, lui non è più il capo della politica, ma lo schiavo di eventi incontrollabili e imprevedibili”. Ecco dove siamo oggi: avendo nelle orecchie le parole profetiche del segretario generale della Lega Araba “avete aperto le porte dell?inferno”, cerchiamo di chiuderle o, in alcuni casi disdicevoli, di scappare, sperando si chiudano da sole. Su questo punto almeno concordo con Tony Blair: la fuga non è onorevole. L?obiettivo è tanto chiaro quanto difficile: per raggiungerlo ci sarà bisogno dell?autorità dell?Onu, assieme agli sforzi della comunità internazionale guidata dagli Usa, l?unico Paese che può farlo, se riconoscerà che è stupido ispirarsi alla massima di Machiavelli “Meglio essere temuti che amati”. L’intervento integrale di Patten su Vita in edicola


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