Emergenze

La scialuppa dell’umanitario sta affondando. Come salvarla?

Il diritto internazionale umanitario non viene rispettato. Gli operatori diventano un target nei conflitti. I fondi per rispondere alle emergenze, così come quelli per lo sviluppo, diminuiscono e sono distribuiti in modo disuguale. Qual è il futuro dell’umanitario? Intervista a Konstantinos Moschochoritis, direttore generale di Intersos. L’ong ha organizzato per l’11 ottobre a Roma il congresso “Humanitarian in violent and troubled times: where do we go from here?”

di Anna Spena

Partiamo dai numeri. Quasi 300 milioni di persone in tutto il mondo hanno bisogno di assistenza umanitaria e protezione. In Africa così come in Medio Oriente. In Asia così come in America Latina. Non è esclusa, anche se è coinvolta con numeri minori, l’Europa. Sono tre i grandi fattori che determinano questa condizione: i conflitti, l’emergenza climatica globale e la crisi economica. Ma l’umanitario riesce ancora a rispondere? Tra scarsità di fondi e pericoli per la sicurezza per gli stessi operatori, il sistema sembra essere più in crisi che mai. 

Venerdì 11 ottobre, a Roma (Ara Pacis Museum), l’ong Intersos, ha organizzato la terza edizione di “Rome Humanitarian Congress”, dal titolo “Humanitarian in violent and troubled times: where do we go from here?” (L’umanitario in tempi violenti e travagliati: dove andiamo a finire?). A questo link è possibile scaricare il programma completo della giornata, che può essere seguita anche online qui. Sono previsti gli interventi di Martin Griffiths, ex sottosegretario delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza, e del Cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Intervista a Konstantinos Moschochoritis, direttore generale di Intersos. 

Questa è la terza edizione del congresso sull’umanitario organizzata da Intersos. Nel mondo non ci sono mai stati così tanti conflitti attivi come oggi. Quindi che valore ha, in questo momento storico particolare, questa edizione? Perché non dovrebbe essere seguita solo dagli “addetti ai lavori”?

Con questa terza edizione abbiamo voluto convocare gli esperti del settore umanitario per discutere delle molteplici sfide che stanno rendendo difficile una risposta adeguata ai bisogni delle persone. Una risposta che deve sempre essere basata su umanità, neutralità, indipendenza e soprattutto imparzialità. Tra le sfide va sicuramente ricordata la politica degli aiuti che ha un impatto forte e negativo sulla nostra capacità di fornire assistenza umanitaria a coloro che ne hanno più bisogno in linea con il principio di parzialità. Il nostro Congresso è aperto a chiunque abbia voglia di saperne di più, a chiunque sente che quello che sta accadendo in Sudan, per esempio, non può riguardare solo i sudanesi. Però questo incontro non è stato costruito solo per prendere atto del grande momento di difficoltà che sta vivendo l’umanitario, ma anche e soprattutto per rompere lo schema e capire come e da cosa ripartire.

Guerre, crisi climatiche e conflitti. Nel 2024 le persone che hanno bisogno di assistenza e protezione umanitaria sono quasi 300 milioni. L’umanitario non riesce a rispondere a tutti né tantomeno può sostituirsi alla politica. Quali sono le difficoltà più grandi che avete riscontrato nel vostro lavoro negli ultimi anni? 

È vero che gli operatori umanitari non possono risolvere tutti i problemi. La risoluzione dei conflitti e delle sofferenze, e ancora le crisi delle comunità che cerchiamo sempre di assistere sono un affare degli Stati e della politica. Noi siamo in grado solo di fornire assistenza alle comunità più vulnerabili e proviamo ad alleviare le loro sofferenze. Nel contesto in cui ci troviamo le necessità aumentano e i finanziamenti diminuiscono. Quindi il problema è che dobbiamo fare di più ma con meno risorse. Questa è una delle sfide più grandi per l’azione umanitaria oggi. 


Il diritto internazionale umanitario, lo stiamo vendendo nella guerra tra Israele e Hamas, è stato disatteso. Siamo velocemente precipitati nel loop del “vale tutto”. Che conseguenza ha questo per l’umanitario?

L’erosione del diritto internazionale umanitario mina la sicurezza degli stessi operatori umanitari. Ma se il diritto internazionale umanitario non viene rispettato i problemi riguardano tutta l’umanità, non solo una cerchia ristretta di persone. L’impunità rispetto a quello che sta succedendo a Gaza sta avendo conseguenze devastanti sulla popolazione locale, lo stesso vale per la popolazione libanese a seguito dell’escalation regionale della guerra in Medio Oriente. Ma la devastazione, ripeto, non si ferma lì. Avrà conseguenze ovunque nel mondo. La cultura dell’impunità sarà molto difficile da superare se non si metterà fine – in modo deciso – agli orrendi abusi che si stanno verificando.

Siamo davanti a una scarsità di risorse per rispondere alle emergenze umanitarie o siamo davanti a una distribuzione di fondi disuguale?

Entrambe le cose. I donatori istituzionali stanno riducendo radicalmente i finanziamenti per le varie crisi. Nel 2024 i finanziamenti forniti, ad oggi, sono circa il venti per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. E i fondi poi non sono distribuiti in modo uniforme tra le crisi. Molte delle decisioni che riguardano i finanziamenti sono prese anche tenendo conto dei vari interessi geopolitici. I fondi per i progetti di sviluppo, poi, vengono ulteriormente ridotti oppure eliminati. Penso per esempio all’Afghanistan dove chi lavora nell’umanitario si trova nella situazione impossibile di cercare di coprire tutti i bisogni. Le conseguenze ricadono sulle spalle delle persone.

Da dove si può ripartire (se si può ripartire)?

Abbiamo bisogno di istituzioni internazionali come l’Onu che richiedano il ripristino del diritto umanitario internazionale. L’approvazione del Patto sul futuro (Summit del futuro dell’Onu a New York del 22 e 23 settembre ndr), tenta di far rivivere il multilateralismo. L’assemblea generale dell’Onu chiede anche di riformare il consiglio di sicurezza estendendo l’adesione permanente ai Paesi dell’Africa e del Sud America per dare un maggiore equilibrio così come per abolire il diritto di veto che ha paralizzato il consiglio di sicurezza nella risoluzione dei conflitti. Senza risolvere i conflitti le necessità umanitarie non faranno che crescere. Gli operatori umanitari devono avere accesso sicuro per assistere le persone più vulnerabili così come come le stesse persone più vulnerabili, le comunità che hanno bisogno di assistenza, devono avere garantito l’accesso ai servizi salvavita. Parallelamente devono esserci investimenti da parte degli attori dello sviluppo per stabilizzare e recuperare milioni di persone colpite da molteplici crisi prolungate. Sicuramente, come abbiamo detto anche all’inizio, le soluzioni dei conflitti sono politiche, l’umanitario non non la soluzione. Ma deve essere messo nelle condizioni di lavorare. Inoltre le organizzazioni umanitarie ovviamente devono anche migliorare le loro debolezze e il loro funzionamento, l’implementazione della cosiddetta localizzazione, cioè dare più valore e più possibilità alle organizzazioni locali e nazionali nei vari Paesi. Questi sono punti base per cambiare la rotta e migliorare la situazione che, ad oggi, sembra davvero molto molto negativa. 

Dahiyeh, Beirut, Lebanon, Sunday, Oct. 6, 2024. (AP Photo/Bilal Hussein) associated Press/LaPresse

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