Volontariato

A Cannes l’Italia ha già vinto una palma

E' la palma del sociale: quasi tutta la rappresentativa del nostro Paese presenta film legati alla realtà. Ed è molto atteso l'esordio come produttori

di Antonio Autieri

Cannes, per il cinema, è da oltre cinquant’anni uno dei simboli della mondanità, del glamour, di feste e lustrini. Ma il più famoso festival europeo propone ogni anno film interessanti, scoprendo nuovi talenti e aprendo dibattiti su argomenti impegnativi come la violenza, la guerra, le mine antiuomo, il dolore, le famiglie in crisi, il disagio con se e con gli altri. Anche per la 54ma edizione del Festival, che si svolge dal 9 al 12 maggio, sono molti i temi importanti dal punto di vista sociale, umano o storico. Quest’anno noi italiani – spesso accusati, nel cinema, di non saper ritrarre la realtà – portiamo una serie di film che pongono questioni di umanità vera. A cominciare da La stanza del figlio di Nanni Moretti considerato uno dei favoriti alla vittoria finale o quanto meno a un premio importante. O come Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi, che raccontando l’epopea di Giovanni dalle Bande Nere ci parla sì del secolo XVI ma allude al presente, con la terribile scoperta delle armi da fuoco e delle loro devastanti conseguenze sul percorso dell’umanità. Anche fuori concorso abbiamo portato film notevoli. Le parole di mio padre di Francesca Comencini, ispirato a La coscienza di Zeno di Italo Svevo, promette di parlare del rapporto con la figura paterna, mentre Domani di Francesca Archibugi – già uscito nelle sale italiane con scarsa fortuna – ha avuto il merito di portare al cinema il dramma del terremoto in Umbria. Alla settimana della critica, un film facilmente etichettabile come thriller (perfino un po’ splatter o pulp) come Almost blue di Alex Infascelli, ricostruisce la vera storia di un serial killer che insanguinò Bologna e ci parla del disadattamento che coglie molti giovani di oggi. Nella sezione più attenta alla sperimentazione, la Quinzaine des realizateurs, troviamo I nostri anni di Daniele Gaglianone, che racconta le vicende di alcuni partigiani durante la seconda guerra mondiale, e Operai, contadini dei francesi ormai “adottati” Daniele Huillet e Jean-Marie Straub mescolerà finzione (poca) al documentario sociale. Anche sul fronte delle coproduzioni l’Italia si è comportata bene, sostenendo la cinematografia di un Paese sfortunato che ha molto da raccontare al mondo: la Bosnia. La casa di produzione Fabrica Cinema, nata all’interno del laboratorio culturale voluto da Luciano Benetton e guidata dall’ex direttore di festival Marco Muller, porta in concorso a Cannes No man’s land, unica opera prima del concorso (oltre al film di animazione Shrek). Il taglio del film è grottesco, non documentaristico: nell’assurda guerra che dilania la Bosnia due amici si trasformano in acerrimi nemici, protagonisti di furibonde risse e di una incredibile volontà di sopprimere l’altro. Mentre tutto attorno sembra annunciare una distruzione apocalittica. Il regista è il giovane bosniaco Danis Tanic, che per il suo primo film può contare su una coproduzione internazionale di vari Paesi, fra cui l’Italia con Rai Cinema e Fabrica. La casa di produzione che presenta il cortometraggio Prima esperienza di morte della vincitrice di una sua borsa di studio, la bosniaca Aida Begic. Quanto a serietà, il titolo del suo corto parla chiaro.


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