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Giovani, boom di suicidi con la fine della scuola

L'allarme su un fenomeno in crescita arriva dal neuropsichiatra infantile Gabriel Levi

di Redazione

Ogni anno sono circa 100 ragazzi, tra i 14 e i 18 anni, nel periodo tra maggio e giugno, cioe’ alla fine dell’anno scolastico, che tentano il suicidio, spesso riuscendoci. Cosi’ come e’ stato, secondo i primi accertamenti, per la ragazzina di 14 anni trovata morta oggi in Valtellina e che si sarebbe gettata da un ponte per timore di essere bocciata all’esame di terza media. L’allarme su un fenomeno in crescita arriva dal neuropsichiatra infantile Gabriel Levi che, come responsabile del ‘centro per la prevenzione del rischio psicopatologico nell’eta’ evolutiva’ dell’Universita’ La Sapienza, da anni studia il suicidio negli adolescenti. ”I casi di suicidio tra i giovani – afferma Levi – in pochi anni sono raddoppiati e la tendenza segnala un’ulteriore crescita”. La causa, secondo il neuropsichiatra infantile e’ la depressione che tocca fasce d’eta’ sempre piu’ basse”. ”Il 2,8% della popolazione tra gli 8 e i 13 anni e’ depresso – aggiunge – e calcolando che su 100 ragazzi depressi 4 almeno tenteranno il suicidio, il problema si delinea nella sua gravita”’. Particolarmente a rischio, secondo i risultati dello studio curato dal centro di prevenzione dell’Universita’, ”i ragazzi che danno troppa importanza al risultato scolastico, che non riescono a divertirsi”. ”La tragedia – spiega Levi – e’ che a scuola troppo spesso la depressione e’ scambiata per svogliatezza, cosi’ il giudizio dei professori non e’ favorevole e la sofferenza aumenta”. Un’interrogazione andata male, il timore di essere bocciati, la perdita di un oggetto d’amore anche piccolo(come il cane o il gatto) ”e la reazione dell’ adolescente scoppia con forza incommensurabile”. ”Si pensi che per ogni suicidio riuscito – dice ancora il neuropsichiatra – ci sono 8 tentativi compiuti con serieta’ e determinazione”. Nei due terzi dei casi i giovani aspiranti suicidi, secondo Levi, hanno problemi psicologici ma un elemento tragico li accomuna tutti: ”pretendono troppo da se stessi, si prefiggono ideali irraggiungibili, si sentono crollare davanti al giudizio sfavorevole degli adulti”. In base alla sua esperienza ventennale di psicoterapeuta Levi aggiunge che dietro il 50-70% dei casi di suicidio ”esistono situazioni ben note ai genitori, agli operatori socio-sanitari e in particolare agli insegnanti. Si tratta di ragazzi tristi, spenti, inibiti, bloccati incapaci di gridare il loro dolore e la loro sofferenza”. Poco o del tutto imprevedibile e’, invece, il 30-50% dei casi di suicidio nei giovani: ”qui il desiderio di morte insorge in una personalita’ fino ad allora sana e ben organizzata, per un evento improvviso e traumatico vissuto dal ragazzo come del tutto squilibrante ed umiliante rispetto all’immagine di se’. Ed e’ proprio a scuola, all’interno della classe dove spesso i problemi nascono, dice Levi, che deve essere affrontata la sofferenza mentale del singolo per cercare di trovare una soluzione. ”Cio’ portera’ alla luce altre sofferenze se ce ne sono ma soprattutto tanta solidarieta”’. ”In fondo – conclude – educare alla vita e’ il primo compito della scuola. Perche’ dunque non aiutare questi ragazzi a superare il ponte stretto e difficile della depressione e contribuire a farli diventare adulti di grande umanita’, sensibilita’ e cultura?”

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