7 ottobre
Una bussola per orientarsi nel caos dei signori della guerra
Coloro che non sono né con Netanyahu né con Hamas, né con i regimi siriano e iraniano con annessa Fedederazione Russa, e neppure con gli interessi di Stato delle potenze arabe con annessa la disastrosa politica estera Usa, che possibilità hanno di far sentire la propria voce e di farla valere? Una strada c'è
La domanda sempre più all’ordine del giorno è: coloro che oggigiorno non sono né con Netanyahu né con Hamas, che possibilità hanno di far sentire la propria voce e di farla valere ?
Non invidio i giovani che si affacciano all’impegno politico di questi tempi. Gli sviluppi attuali, specialmente in Israele, presentano risvolti che rendono molto difficile districarsi e collocarsi. Ultimamente in particolare ci troviamo di fronte a un paradosso a tre facce.
Prima faccia. Sia a Gaza che in Cisgiordania è in atto una vera e propria azione sistematica di pulizia etnica. Il governo di Netanyahu ha utilizzato la feroce aggressione del 7 ottobre per promuovere un progetto che la destra più fanatica ha in mente da sempre: costringere ad un esodo di massa tutti i palestinesi che ancora vivono nei territori occupati nel 1967 e costruire la Grande Israele “dal fiume Giordano al mare”, entro la quale i palestinesi/ israeliani siano e rimangano un esigua minoranza in condizioni di semi-apartheid.
Seconda faccia. L’uccisione dello storico leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah è stata festeggiata come una liberazione (per quanto provvisoria) da ampie fette della popolazione sia siriana che iraniana in lotta contro i loro regimi dispotici in rapporto simbiotico con gli Hezbollah. Netanyahu qui ha indossato le vesti dell’intrepido liberatore e in particolare si è rivolto al popolo iraniano definendolo “persiano” e promettendo di proseguire nell’opera di sovvertimento degli oppressivi rapporti di potere dominanti.
Terza faccia. La vera e propria riconoscenza più o meno apertamente manifestata da Usa e Stati Arabi di impianto sunnita per il famoso “lavoro sporco” di cui Netanyahu si fa carico al posto loro. Questo gli garantisce un supporto internazionale tale per cui il suo ministro degli esteri ha potuto, come è successo, dichiarare “persona non gradita” il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterrez , accusato di connivenza con Hamas, Hezbollah e Houtis.
Quindi Netanyahu si presenta ed è visto al tempo stesso da pubblici diversi come: terrorista in quanto sterminatore di più di 40mila palestinesi, in gran parte donne e bambini, come liberatore di popoli contro regimi dispotici e terroristi, e come solerte servitore degli interessi statali e nazionali delle principali potenze presenti in Medioriente. La Russia costituisce un caso a parte sia perché alleata con il regime di Bashar al-Assad e con quello degli Ayatollah, sia perché il coinvolgimento dell’Iran in una guerra con Israele, sottrae missili e droni alla sua guerra di aggressione in Ucraina.
Torno alla domanda iniziale, arricchita da questo contorto scenario: coloro che oggigiorno non sono né con Netanyahu né con Hamas, né con i regimi siriano e iraniano con annessa Fedederazione Russa, e neppure con gli interessi di Stato delle potenze arabe con annessa la disastrosa politica estera Usa, che possibilità hanno di far sentire la propria voce e di farla valere ?
Trovare una risposta a questa domanda richiede il coraggio di passare dal definirsi “contro” chi e cosa, al riconoscere che una soluzione di vincitori e vinti è ormai completamente priva di senso e che si deve e ci si può muovere verso una società in cui, come sosteneva Martin Buber, sarà normale chiedere all’ex nemico “raccontami la tua storia”, predisposti ad “ascoltarla senza aprire bocca.” È il passaggio compiuto alla fine degli anni ’60 dal movimento per i diritti civili statunitense e contro la guerra in Vietnam, ed è quello che hanno fatto i membri del Anc (African National Congress) in Sudafrica quando già nel 1955 hanno mandato 50mila volontari in ogni angolo del Paese a raccogliere le “domande di libertà” della gente. Tali rivendicazioni sono poi state raggruppate in dieci impegni solenni e votate nel “congresso del Popolo” che si è tenuto a Soweto con 3mila partecipanti nella forma di un “Freedom Charter” che ha guidato il movimento anti-apartheid nei decenni seguenti.
Riporto questi avvenimenti e questa impostazione perché è la stessa che ispira e caratterizza l’impegno di alcune centinaia di ebrei e palestinesi affratellati nelle iniziative di resistenza, specialmente in Cisgiordania (perché a Gaza il governo ha da tempo proibito l’ingresso dei cittadini ebrei) contro il terrorismo dei coloni. Entrare in contatto con la splendida gente che anima le decine di comitati e organizzazioni di solidarietà contro l’aggressione dei residenti negli insediamenti illegali appoggiati dall’esercito, fare da megafono non solo alle loro denunce, ma anche alle loro prospettive politiche rivolte a un futuro di comune pacifica e creativa convivenza è il modo per stare solidamente dalla parte di tutti gli oppressi, palestinesi, iraniani, siriani, accogliendo qualsiasi evento che favorisce il loro sottrarsi all’ oppressione da qualsiasi parte venga.
Quindi: meno contro Netanyahu e più a fianco, per esempio, di Yigal Bronner il quale nella sua lunga intervista pubblicata sull’ultimo numero del mensile Una Città ( N.303/ 2024, settembre ) racconta: “Io lavoro soprattutto nella zona delle colline a sud di Hebron e nella Valle del Giordano. Lì è in corso uno sforzo congiunto di esercito e coloni per fare una vera e propria pulizia etnica, non tanto nelle città, ma nei villaggi, dove i coloni controllano la maggior parte del territorio. Un paio di settimane dopo il 7 ottobre, mi è arrivato un report da alcuni attivisti sulla minaccia arrivata a diverse comunità, a cui i coloni avevano dato 24 ore per andarsene, altrimenti sarebbero stati assassinati. Quel giorno abbiamo fatto diverse telefonate, e io mi sono subito messo in viaggio per recarmi sul posto. È da allora, dagli inizi di novembre, che qualcuno di noi è sempre lì a vigilare, 24 ore al giorno, tutti i giorni, con una rotazione di volontari che coprono diverse di queste comunità sotto attacco.” E ancora: “Stasera andrò in questa comunità chiamata Zanuta, composta da circa 150 persone. Sono stati cacciati dal loro villaggio lo scorso novembre. Non siamo riusciti a proteggerli. Dopo che se ne sono andati, sono arrivati i coloni con i bulldozer e hanno raso al suolo l’intero villaggio. Non è rimasta nemmeno una casa, e gli alberi che non avevano sradicato la prima volta li hanno avvelenati quando sono tornati. Negli scorsi mesi c’è stato un appello alla Corte Suprema per denunciare il fatto, e la Corte ha stabilito che lo Stato doveva consentire alla comunità di fare rientro al proprio villaggio, e che l’esercito li doveva scortare. Lo Stato ha recepito, ma si è espresso chiaramente su una condizione: gli sfollati non hanno il permesso di ricostruire nulla, né di coprire le macerie con coperture di plastica, con teli, con nulla che faccia ombra o ripari dalla pioggia. Comunque, dopo molti rinvii da parte dell’esercito, finalmente, lo scorso mercoledì, li hanno accompagnati, e noi eravamo lì per accoglierli e aiutarli. Sono tornati solo gli uomini con le loro greggi di pecore, che sono la principale fonte di reddito da quelle parti. Il fatto è che ogni volta che questi uomini tirano su qualcosa per ripararsi dal sole, la cosiddetta “amministrazione civile”, che di fatto è l’esercito, arriva e tira giù tutto, confiscando il telo “illegale””
Meno contro Netanyahu e più a fianco di Jeff Halper, arrivato in Israele dagli Usa all’inizio degli anni ’70, il quale oltre ad operare sistematicamente per impedire l’abbattimento delle abitazioni dei palestinesi, ha elaborato con una vasta rete di attivisti una road map su come arrivare alla costruzione di uno stato unico per due nazioni (cf J Halper: Decolonizing Israel,lIberating Palestine, Pluto Press, prima ed 2021)
Meno contro Netanyahu, e più a fianco di questi coraggiosi esseri umani, perché sono gli unici a possedere l’ingrediente fondamentale: la fiducia fra diversi. Sono ben consapevoli che la fiducia è la pietra fondativa senza la quale non c’è alcun sicuro approdo e da decenni dimostrano di saperla difendere non solo contro le minacce delle armi, ma ancor prima contro quelle dell’ indifferenza, del senso di impotenza e dello scetticismo. Accanto a loro, si può vincere.
Foto La Presse: i resti di un missile iraniano intercettato da Israele
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