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Che cosa dirà il papa a Bush

Il 4 giugno si troveranno di fronte un'autorità spirituale che due anni fa aveva intuito le conseguenze tragiche della guerra e quella politica che prese una decisione irrazionale.

di Giuseppe Frangi

Dunque, il prossimo 4 giugno il Papa riceverà in Vaticano George Bush. È un incontro sul quale possono passare i fotogrammi di questi due anni di storia: fotogrammi impietosi, drammatici, densi di paurose incognite. È un incontro che fa cadere tanti apriori, che ribalta tanti luoghi comuni. Per capirci basta provare a rispondere a una domanda: come sarebbe oggi il mondo se il 19 marzo 2003 invece di seguire l?ordine del presidente americano avesse accolto il suggerimento che veniva dal Vaticano? La storia non si fa con i ?se?, ma questo è un ?se? che ha certamente segnato la storia. Così il 4 giugno si troveranno di fronte un?autorità cosiddetta spirituale che due anni fa aveva intuito, con realismo, quali generi di conseguenze una guerra avrebbe generato. E un?autorità cosiddetta politica che ha preso le sue tragiche decisioni in base a una logica del tutto irrazionale, incapace di misurare le conseguenze delle proprie scelte.
Basta passare in rassegna i capitoli di questi due anni di storia per capire quanto sia vero questo paradosso. Due anni fa il numero due del Vaticano, il cardinale Angelo Sodano, si era rivolto alle potenze pronte a scendere in guerra ponendo una domanda secca: “Vi conviene inimicarvi un miliardo di musulmani?”. Due anni fa il cardinale Pio Laghi, nel tentativo estremo di convincere Bush a desistere dai suoi propositi, aveva ammonito sul rischio che il conflitto tra le etnie avrebbe destabilizzato non l?Iraq ma anche le aree vicine. Intanto la crisi israelo-palestinese si è acutizzata in modo così estremo, come il cardinal Tauran, allora ministro degli Esteri del Vaticano, aveva temuto.
E ci sarebbero da conteggiare gli altri disastri dai quali il Papa aveva realisticamente messo in guardia: la guerra chiama solo altra guerra, e il terrorismo, per nulla fiaccato, ne rappresenta purtroppo la conferma. In Occidente sicurezza e convivenza sono stati messi quotidianamente a repentaglio. L?economia stessa arranca, sotto il macigno del petrolio che si è involato ben al di sopra dei 40 dollari al barile. Con una battuta si potrebbe dire che il Papa, evidentemente, ne ha capito di più dell?autorevole e iper bellicista Wall Street Journal?
Si potrebbe arrivare alla conclusione che quello del 4 giugno sarà un incontro tra due diversi sconfitti. Sconfitto il Papa, perché non ha trovato una sponda politica che ne sostenesse le ragioni (tanto meno l?ha trovata nell?abulica e dilettantesca politica estera italiana). Sconfitto Bush, perché tutti gli obiettivi della sua folle guerra gli stanno sfuggendo di mano, giorno dopo giorno. Ma quanto sono diverse quelle sconfitte! Così diverse che sarebbe davvero il caso di usare anche parole diverse. Anzi addirittura opposte.
Così se quella di Bush resterà una sconfitta anche nel caso di un?improbabilissima e magica soluzione del caos iracheno, quella del Papa ha tutti i connotati di una vittoria.
Certo, bisogna intendersi sul termine. Non è una vittoria nel senso di una semplice e platonica ?vittoria? delle sue ragioni. E non è vittoria nel senso di rivincita, dopo essere stato messo da parte. È vittoria in un senso più vero e più umano della parola. Perché con il Papa hanno vinto le ragioni della realtà e la passione per gli uomini sotto qualunque bandiera siano nati; ha vinto l?idea che il dialogo sia molto più efficace della forza, che i ponti sono molto più intelligenti dei muri. Ma soprattutto ha vinto l?idea che la ragionevolezza dei deboli è molto più efficace della prepotenza dei forti.

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