Riforma della cittadinanza

Referendum e Ius Scholae, le ragioni del buon senso

Referendum sulla cittadinanza, Ius Scholae, Ius Soli: tre oggetti differenti, ma non in contrapposizione. «L'elemento nuovo e importante è che il tema sia tornato nel dibattito pubblico: a noi tenerlo acceso, per dare con realismo un segnale alla politica», dice Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva

di Sara De Carli

Consegna alla Corte di Cassazione delle firme raccolte per il referendum sulla cittadinanza, Roma, Lunedì, 30 Settembre 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse)

Sono passati 42 giorni da quando al Meeting di Rimini il ministro Antonio Tajani – a sorpresa – ha rimesso nell’agenda politica il tema della cittadinanza, rilanciando lo Ius Scholae. Una proposta concreta da Forza Italia ancora non è arrivata: le rassicurazioni sull’intenzione di andare avanti con «determinazione» e con una proposta articolata e «complessiva» si susseguono continuamente, ma i tempi verbali sono ancora quelli del futuro.

Sono bastati invece 18 giorni ai promotori del referendum sulla cittadinanza per raggiungere le 500mila firme necessarie: alla fine le firme depositate lo scorso 30 settembre in Corte di Cassazione sono oltre 637mila. Il traguardo è stato raggiunto con una rapidità francamente inattesa, che dice quanto un pezzo del Paese sia più che pronto a un cambiamento della legge sulla cittadinanza. Anche qui i tempi ora diventano quelli tecnici necessari per controllare le firme, verificare l’ammissibilità del quesito referendario e indicare la data per la consultazione.

«Il fatto importante è che il tema della cittadinanza sia tornato nel dibattito pubblico, dopo che per molti mesi la speranza che si era accesa nel 2022 era stata completamente spenta», dice Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva, una delle organizzazioni che ha promosso la raccolta firme per il referendum. «Eravamo un po’ tutti convinti che con questo governo l’argomento fosse destinato a rimanere “fuori dal campo” e invece no. Inoltre abbiamo visto con grande chiarezza che gli italiani rispondono. Ora almeno fino al giorno del referendum bisognerà parlarne: la cosa prioritaria è tenere acceso il dibattito e dare un segno alla politica».

Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva

Contribuire a mantenere vivo il dibattito sul tema, ponendolo come un tema di civiltà e di democrazia su cui tutti ci si può incontrare, è l’obiettivo anche del Manifesto del Terzo settore e della società civile per lo Ius Scholae, lanciato da VITA, che ha superato ad oggi le 55 adesioni. Tra i primi ad aderire,  appunto, Cittadinanzattiva: la dimostrazione che la priorità ora è stare sul tema, partendo proprio da quei giovanissimi che sono parte del presente e del futuro del nostro Paese e che sarebbe assurdo continuare a privare dei diritti pieni dell’essere cittadini. Fra le adesioni al Manifesto, quelle di Csi, Confcooperative Federsolidarietà, Forum Terzo Settore Lombardia, Cgm, Coordinamento Care, Coopi, Uildm e Lav.

Partiamo dal successo della raccolta firme, forse anche un po’ imprevisto nella sua rapidità…

Qui ha giocato molto la possibilità di aderire alla raccolta firme in modo semplice, con lo Spid. È un passaggio forse ancora poco percepito, perché la piattaforma per la raccolta delle firme digitali per i referendum e per leggi di iniziativa popolare è una novità (il decreto è del 18 luglio 2024 e la piattaforma è online dal 26 luglio, ndr), ma si tratta di una apertura davvero importante in termini di partecipazione, che noi come organizzazione avevamo chiesto da tempo. L’altro fatto indubitabilmente nuovo è il ritorno nel dibattito pubblico del tema della cittadinanza, con l’apertura di Forza Italia allo Ius Scholae: dinanzi a quella “breccia”, una serie di soggetti che già lavoravano da tempo su questo tema hanno “accelerato” per trovare la modalità concreta che permettesse di tenere alta l’attenzione pubblica oltre le buone intenzioni, le promesse o le “fughe in avanti” di singoli partiti. La nostra convinzione infatti – diversa da quella della presidente del Consiglio – è che la legge sulla cittadinanza sia da riformare: perché è del 1992, perché è stata scritta in condizioni sociali del tutto diverse rispetto a quelle attuali, perché contiene un’ingiustizia di fondo legata alle seconde generazioni.

Eravamo un po’ tutti convinti che con questo governo l’argomento fosse destinato a rimanere “fuori dal campo”. Ora almeno fino al giorno del referendum bisognerà parlarne: la cosa prioritaria è tenere acceso il dibattito, per dare un segno alla politica

Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva

Il referendum quindi è anche un modo concreto tramite cui tenere il tema dentro l’agenda della politica, anche qualora quella di Tajani si rivelasse solo una boutade di fine estate…

L’apertura di un partito della maggioranza su questo fronte è senza dubbio una buonissima notizia: eravamo un po’ tutti convinti che con questo governo l’argomento fosse destinato a rimanere “fuori dal campo”. L’esperienza però ci impone di essere cauti:  una riforma della legge sulla cittadinanza negli anni passati è arrivata fino all’approvazione da parte di uno dei due rami del Parlamento e poi invece, in entrambi i casi, si è fermato tutto. Si è pensato quindi di trovare una modalità per tenere acceso il tema concretamente, una sorta di “paracadute” nel caso in cui l’iniziativa della politica si smorzasse… Ipotesi peraltro possibile, stanti le evidenti divergenze all’interno della maggioranza sul tema. Bisogna anche dire che la sinistra è stata timida negli anni passati…


Il referendum sulla cittadinanza – come tutti i referendum in Italia – è abrogativo. Quindi agisce sulla norma esistente, andando a togliere alcune parole o frasi dall’articolato. Nello specifico, si lavora su due articoli. Qui a VITA, dove siamo sempre molto attenti al tema adozioni, colpisce che “la leva” sia quella dell’articolo 9 comma 1 lettera b che parla di adottati. Attualmente infatti la legge afferma che la cittadinanza può essere riconosciuta «allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione»: se il referendum passasse quell’articolo direbbe che la cittadinanza spetta «allo straniero maggiorenne che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni». L’altro punto che verrebbe abrogato è la lettera f, per cui la cittadinanza oggi può essere concessa allo «straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica»: non potendo sostituire la parola dieci con la parola cinque, il comma verrebbe integralmente eliminato. Qual è la portata di questa modifica, anche nel contesto del dibattito che c’è su Ius Soli e Ius Scholae?

Ovviamente lo strumento del referendum, essendo abrogativo e non di proposta, ha dei limiti rispetto ad una legge ad hoc che va a riformare la materia della cittadinanza. Il quesito referendario ha solo un obiettivo, quello di dimezzare il tempo della residenza in Italia necessario per chiedere la cittadinanza, portandolo da 10 a 5 anni: un tempo peraltro che è analogo a quello chiesto da altri Paesi europei. Questo consentirà alle persone di maggiorenni di avere la cittadinanza in metà del tempo e avrà ricadute anche sui loro figli e figlie. Resterebbero comunque delle complessità, poiché il limite del referendum è che non essendo una proposta organica ex novo non va a modificare in nulla le procedure esistenti, che sappiamo essere così complesse e farraginose… Non introduce nemmeno l’automatismo. Come Cittadinanzattiva facciamo molta attività di tutela e si rivolgono a noi molte persone con background migratorio per segnalare le difficoltà che trovano nelle procedure, nei tempi, nella pesantezza dell’iter. Oggi anche per esercitare i diritti che la legge prevede i tempi e le modalità sono così lunghi e complessi da ledere il diritto. Tutto questo non verrebbe risolto dal referendum, ma d’altra parte se volgiamo essere realisti dobbiamo lavorare al meglio con gli strumenti che ci sono.

Ha introdotto il tema del realismo… da questo punto di vista quale delle ipotesi in campo le pare più fattibile?

L’ideale certamente sarebbe riformare complessivamente la legge del 1992 e andare verso lo Ius Soli. Lo Ius Scholae in questo momento mi pare la prospettiva più realistica e questo non vuol dire che esso sia “solo” l’unico compromesso attualmente possibile tra le forze politiche. Lo Ius Schoale infatti introduce anche quell’automatismo del riconoscimento della cittadinanza, una volta stabiliti i criteri, che tanto impatterebbe sulla vita delle persone. Avrebbe un effetto di cambiamento molto immediato, al ritmo di 135mila persone l’anno. È una posta che abbiamo sempre salutato con favore perché va a incidere su una categoria che soffre una “doppia ingiustizia”, i migranti di seconda generazione, nati e cresciuti qui, che non conoscono altra patria che non sia l’Italia, frequentano le scuole in Italia… Non stiamo parlando della migrazione tout court ma di persone che sono già pienamente inserite nel nostro Paese, di tratta solo di riconoscere a posteriori uno stato di fatto. C’è anche un investimento su di loro, vivono tutta l’adolescenza come italiani e poi arrivati alla maggiore età smettono di essere considerati parte del Paese. Risolvere questa questione significa risolvere un tema strutturale.

Lo Ius Scholae in questo momento mi pare la prospettiva più realistica. E introdurrebbe quell’automatismo del riconoscimento della cittadinanza che tanto impatterebbe sulla vita delle persone

Il suo auspicio qual è?

Che Forza Italia presenti la sua proposta e che il Parlamento avvii la discussione anche delle proposte già esistenti. Che si inizi, da qualche parte. Poi chissà, nel dibattito si potrebbe anche configurare uno scenario più innovativo di quello che si pensa e andare verso una vera nuova legge sulla cittadinanza. Sapendo che in ogni caso, con il referendum, un pungolo per parlare del tema ci sarà.

C’è chi vede nello Ius Scholae il rischio di enfatizzare la cittadinanza come premio…

Non mi pare un premio per aver frequentato la scuola, ma la naturale conseguenza di essere stati pienamente inseriti nella società italiana. La scuola in questo senso è anche un simbolo. Capisco la critica in linea di principio, ma mi pare pesi di più il valore aggiunto di sanare quello che oggi è un vero e proprio paradosso per cui al compimento dei 18 anni tu vai a negare quello che valeva fino a un giorno prima, per cui quell’adolescente che è stato in tutto e per tutto parte integrante della società italiana, chiamato anche a dare il suo contributo, di punto in bianco smette di essere considerato un cittadino. Mi pare che se la guardiamo prima dei distinguo della politica… è solo una questione di buon senso.

In apertura (foto di Roberto Monaldo / LaPresse) la consegna delle firme delle firme raccolte per il referendum sulla cittadinanza alla Corte di Cassazione, lunedì 30 settembre 2024. Con la t-shirt gialla, Deepika Salhan, attivista della campagna “Dalla parte giusta della storia”. Salhan – che vive in Italia da quando ha 9 anni ed è diventata cittadina italiana il 19 aprile 2024 – è la vincitrice del Premio Gianni Rufini 2024. Le verrà consegnato venerdì 4 ottobre a Roma in un evento organizzato da Amnesty International Italia, ActionAid, Oxfam Italia, in collaborazione con Medici Senza Frontiere.

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