Lavoro sociale

Separazioni conflittuali e hikikomori: ecco perché le famiglie chiedono aiuto

Il servizio di assistenza educativa domiciliare permette di leggere i cambiamenti delle famiglie dall'interno, svelandone le fragilità. A Milano negli ultimi anni sono aumentate le richieste di intervento per separazioni altamente conflittuali, per adolescenti in ritiro sociale e abbandono scolastico o con disturbi psichiatrici. Famiglie da accompagnare, però, con sole 4 ore a settimana... In dialogo con gli operatori di Arché e Comin

di Sara De Carli

La porta di casa. È qualcosa che è molto più di un simbolo o di una metafora: è qualcosa che ha a che fare con la nostra intimità. Tra tutti i servizi di welfare, l’educativa domiciliare è quello che entra nelle case delle famiglie: ascolta, osserva, condivide spazi di vita privati. Un punto prospettico particolarmente intimo e veritiero su Milano, sulle sue fragilità e sulle sue trasformazioni. Come è cambiata la richiesta del servizio sociale inviante e come l’intervento richiesto all’educatore domiciliare? Le risposte in un dialogo con Valentina Sangregorio, coordinatrice del servizio di assistenza domiciliare educativa e responsabile dell’area lavoro di Fondazione Arché e con Rosanna Malfitana, Elisa Monguzzi, Francesca Palma, coordinatrici del servizio di assistenza domiciliare educativa della cooperativa Comin. Arché e Comin collaborano dal 2014 nella gestione delle équipe del servizio educativo domiciliare e nel 2022 hanno costituito una nuova associazione temporanea di impresa-Ati per partecipare all’ultimo accreditamento con il Comune di Milano, in collaborazione anche con Casa della Carità e CRM.

Partiamo dall’inizio. Che cos’è esattamente l’educativa domiciliare?

Sangregorio: Il servizio educativo domiciliare nasce come sostegno alla genitorialità ed a favore della famiglia e dei minori che presentano problematiche di breve e media durata, con interventi di carattere psico-sociale ed educativo. È un servizio che a Milano è nato ormai 40 anni fa, nella forma di una progettualità sperimentale tra la cooperativa Comin e il Servizio Sociale della zona 10 (l’attuale municipio 2): la convinzione era quella che offrendo un supporto educativo ad alcuni genitori si sarebbe ridotta la necessità di allontanamento dei minori dalla famiglia d’origine. Nel tempo il servizio si è evoluto, allargandosi a tutta la città e coinvolgendo altre realtà del Terzo settore. Sul piano procedurale, il Comune di Milano identifica due modalità principali per l’attivazione degli interventi educativi di questo tipo. Da un lato c’è il servizio sociale di primo livello, che interviene su richiesta spontanea dei cittadini: l’assistente sociale attiva un Progetto di Intervento Domiciliare (PID) per affiancare il minore (o la persona con disabilità) e la sua famiglia nella quotidianità, con l’obiettivo di sostenere la famiglia e stimolare il minore con attività educative o ricreative. È uno strumento utilizzato in situazioni di povertà culturale ed economica, di isolamento sociale del nucleo o di chiusura culturale. Il servizio sociale di secondo livello, invece, interviene in situazioni di nuclei familiari raggiunti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria: situazioni in cui si rileva un pregiudizio a carico di uno o più minori, reso noto da altri soggetti (familiari, scuola, sanità, altri servizi ecc). Il PID in questi casi è a sostegno del minore e della genitorialità, con l’obiettivo di accompagnare la famiglia ma anche di fare un monitoraggio attivo della situazione, finalizzato alla tutela dei minori.

Che cosa significa essere educatori domiciliari?

Sangregorio: Significa entrare nella casa delle famiglie, ascoltare, osservare e condividere gli spazi di vita privati delle stesse: un principio di prossimità che richiede competenze relazionali specifiche, empatia insieme ad una precisa consapevolezza del proprio ruolo professionale. L’educatore diviene titolare di una relazione d’aiuto da mantenere e valorizzare nel tempo. Evidentemente non sempre le famiglie sono disposte ad aprire la porta: il primo compito dell’educatore è guadagnarsi quella fiducia necessaria per entrare nella storia delle famiglie e iniziare con loro un percorso per costruire assieme possibilità nuove. Per funzionare al meglio il servizio educativo domiciliare deve essere supportato da una rete di lavoro e da condizioni professionalizzanti per gli operatori: sono necessari tempi di formazione, spazi di confronto in équipe e di supervisione, collaborazione stretta con l’assistente sociale referente, incontri di rete.

Non sempre le famiglie sono disposte ad aprire la porta: il primo compito dell’educatore è guadagnarsi la fiducia necessaria per entrare nella storia delle famiglie e iniziare con loro un percorso per costruire assieme possibilità nuove

Come è cambiato, a Milano, lo scenario in cui opera il servizio della domiciliarità?

Sangregorio: È aumentata la complessità delle situazioni da gestire, anche a causa dell’intensificarsi delle situazioni di difficoltà familiare. Analizzando gli interventi educativi attualmente attivi, emerge il notevole aumento di famiglie altamente conflittuali. Spesso si tratta di coppie che si stanno separando e il Tribunale coinvolge i servizi sociali poiché ravvede un rischio per il benessere dei figli della coppia in conflitto. L’intervento di assistenza domiciliare educativa in queste specifiche situazioni è volto a supportare entrambi i genitori e figli, cura i legami familiari e provvede a sostenere gli adulti nella costruzione di un confronto, rinforzando il loro ruolo di genitori e provvedendo nel miglior interesse verso i figli. L’azione educativa si pone in un atteggiamento di ascolto attivo delle conflittualità per aiutare i genitori a tradurre gli atteggiamenti aggressivi in atteggiamenti più attenti e sensibili. Al centro dell’intervento ci sono i minori che evidentemente soffrono la conflittualità delle figure di riferimento. Occorrono educatori formati, capaci di facilitare il dialogo diretto tra genitori anche nei casi di rottura delle relazioni coniugali e di un contenzioso giudiziario.

Più coppie con alta conflittualità, quindi. Quali altre situazioni – oggi più di ieri – a Milano richiedono l’intervento dell’educativa domiciliare?

Malfitana, Monguzzi, Palma: Sono aumentate le richieste di affiancamento a famiglie con adolescenti che manifestano comportamenti di ritiro sociale e di abbandono scolastico. Il ritiro sociale dei minori, sicuramente aumentato a causa anche della pandemia, sembra avere origine in un malessere esistenziale dei giovani che ha preceduto il lockdown. L’azione educativa consiste nello stare con il bambino o l’adolescente che trascorre intere giornate davanti a un videogioco e a cui non sembra interessare nulla di quello che fino a poco tempo prima gli era gradito. L’educatore utilizza la condizione di prossimità per supportare il bambino o la bambina, il ragazzo o la ragazza nella costruzione di una nuova narrazione di sé, senza perdere di vista né il lavoro di rete con altre figure professionali né l’ingaggio della famiglia. In aggiunta a queste, sono sempre più frequenti le richieste di sostegno a ragazzi adolescenti con evidenti disturbi di natura psichiatrica, che richiedono una specifica competenza in quanto qui la parola e la relazione non sono più sufficienti. Si tratta di disturbi dell’umore come depressione, ansia, fobia sociale, disturbi alimentari spesso in comorbidità tra loro: un disagio manifesto che in taluni casi trova espressione in comportamenti autolesivi. In costante crescita è la richiesta di affiancamento a minori o adulti con disabilità, dove la diagnosi predominante è quella di autismo. Ciò richiede che l’educatore abbia gli strumenti specifici per supportare il minore e per comunicare con lui, che sappia applicare strategie e dispositivi utili a perseguire gli obiettivi educativi, in collaborazione con le altre agenzie educative e riabilitative. Un altro tema emergente è il fatto che sempre più frequentemente i minori che vengono segnalati appartengono a famiglie spesso straniere che hanno difficoltà a mantenere la continuità delle cure offerte dai servizi specialistici della neuropsichiatria infantile: il sovraccarico delle Uonpia fa sì che le famiglie debbano interfacciarsi con più interlocutori, di servizi diversi, con protocolli differenti e spesso poco chiari. L’educatore così è chiamato a svolgere una importante funzione di accompagnamento e mediazione anche su questo piano. Negli ultimi anni infine sono aumentate le situazioni di povertà (abitativa, alimentare, di salute, educativa, energetica) e le situazioni in cui anche chi ha un lavoro non è in grado di far fronte economicamente alle necessità quotidiane: tali situazioni di grossa fragilità economica aggravano in modo significativo anche fragilità di tipo educativo. In questi casi il lavoro educativo domiciliare è volto a individuare forme di aiuto concreto da offrire ai nuclei seguiti, oltre che opportunità di riscatto su tutti i livelli interessati dalla povertà.

Sono aumentate notevolmente le richieste di intervento per separazioni altamente conflittuali, con adolescenti in ritiro sociale e abbandono scolastico oppure con disturbi di natura psichiatrica, in famiglie con grossa fragilità economica

Da quando avete notato questo cambiamento?


Sangregorio: La richiesta di interventi educativi a sostegno di preadolescenti e adolescenti con fragilità psichica, assieme a quelli per casi di violenza domestica, sono aumentate dopo l’emergenza Covid.

In che modo questi cambiamenti, secondo voi, sono legati ai cambiamenti e alla complessità attuale del vivere a Milano?

Malfitana, Monguzzi, Palma: Milano città cosmopolita e dinamica con una grande diversità di persone, culture e sfide sociali riflette “una complessità del vivere” che trova origine in un aumento della densità della popolazione, della disparità economica, della pressione sociale e lavorativa, nonché nella difficoltà di accesso ai servizi pubblici. La lettura delle condizioni emergenti ci porta a constatare l’esistenza di un disagio sociale fatto di emarginazione, solitudine, discriminazione e mancanza di opportunità che può tradursi in disparità di opportunità educative e di crescita per i minori. In questo contesto l’intervento educativo risulta oggi un dispositivo sociale che mitiga la crescente difficoltà delle famiglie (spesso prive di una rete famigliare o amicale di supporto), che può riqualificare il contesto familiare e consentire l’esercizio di un ruolo genitoriale molto affaticato sia da lavori sempre più richiedenti sia da una legittima emancipazione femminile che rimette in discussione il ruolo di mamma. L’intervento educativo non ha mire risolutive, ma può svolgere un ruolo nel supportare le famiglie offrendo un sostegno completo e personalizzato per affrontare le sfide e favorire il benessere e lo sviluppo positivo di tutti i membri della famiglia.

A volte si dà per scontato che il servizio di educativa domiciliare sia rivolto a famiglie appartenenti a fasce sociali economicamente più deboli. Qual è la realtà?

Sangregorio: Il nostro servizio è presente in diverse zone di Milano e sulla base della zona e della motivazione dell’invio vediamo che cambia la situazione sociale delle famiglie. Ad esempio le persone segnalate per l’alta conflittualità sono spesso famiglie di ceto sociale alto, con competenze culturali e ruoli lavorativi importanti.

In conseguenza di tutto ciò, quanto è diventato complesso l’intervento richiesto all’educatore domiciliare?

Sangregorio: Le problematiche elencate finora sono già una sfida per l’educatore. Ma a questo si aggiunge la multi-problematicità delle situazioni: spesso in un solo nucleo famigliare riscontriamo diverse su cui intervenire, con una tempistica stabilita dal servizio sociale che si è molto ridotta negli ultimi anni. Ad esempio in una famiglia con un provvedimento che limita la potestà genitoriale, per motivi di incuria o di sospetto maltrattamento nei confronti del minore, può essere presente anche una diagnosi di disabilità o di disturbo psichico nei genitori o minori. Fino a qualche anno fa la presenza educativa nelle situazioni complesse era di almeno 6 ore settimanali e questo ci permetteva di affiancare i minori e la famiglia, per almeno tre pomeriggi a settimana. Negli ultimi anni invece il servizio sociale, per il combinato disposto della diminuzione delle risorse stanziate e l’aumento dei bisogni, prevede un monte ore settimanale massimo di 4 ore, che sono veramente poco rispetto alla complessità delle situazioni.

Negli ultimi anni il servizio sociale prevede un monte ore settimanale massimo di 4 ore: troppo poco rispetto alla complessità delle situazioni

Quindi c’è un tema di complessità maggiore ma anche di risorse insufficienti.

Malfitana, Monguzzi, Palma: Non solo. In questo modo, per mantenere il monte ore lavorativo di un singolo educatore che mediamente è di 25 ore settimanali, occorre affidargli un numero elevato di situazioni da seguire, 5 o 6. Questo per l’educatore comporta un cambio di setting continuo. Per le famiglie è evidente che ci sarebbe bisogno di un tempo maggiore per una gestione efficace. In generale possiamo dire che da ormai diversi anni si assiste ad un progressivo “scivolamento” dei servizi di tutela verso ambiti sempre più riparativi e meno di natura preventiva o di sostegno. La carenza di risorse economiche ha spostato l’intero assetto del regime tutelare verso situazioni sempre più gravi ed esasperate, costringendo famiglie e operatori a lavorare in un clima di continua urgenza e criticità. Non è raro iniziare interventi domiciliari quando il contesto di riferimento lascerebbe invece pensare senza troppe esitazioni ad un collocamento residenziale.

Non è raro iniziare interventi domiciliari quando il contesto di riferimento lascerebbe invece pensare senza troppe esitazioni ad un collocamento residenziale

Che fare?

Malfitana, Monguzzi, Palma: In questi orizzonti di complessità, diventa fondamentale il lavoro che l’educatore può e deve fare con l’intera rete di professionisti che cooperano con il nucleo familiare per provare a trovare nuove opportunità di evoluzione. Ed è importantissimo garantire agli educatori spazi di riflessione sul proprio agire educativo, sia attraverso il confronto con la propria équipe che in spazi di supervisione o in una formazione che dia lettura dei bisogni sociali costantemente rilevati.

Foto da ufficio stampa Fondazione Arché

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