Ddl sicurezza
Bambini in carcere, cattiveria inaudita
Il fatto che possano andare in carcere le madri con i bambini fino a un anno di età «è mostruoso e demagogico», dice Liviana Marelli (Cnca). In tutta Italia si moltiplicano le proteste contro il Ddl sicurezza. E un appello chiede la chiusura degli Istituti penali minorili
Se il Ddl sicurezza passasse in Senato, diventerebbe facoltativo e non più obbligatorio il rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri con figli sotto l’anno. In tutta Italia si moltiplicano proteste e mobilitazioni contro il decreto. Inoltre, un appello di associazioni ed esponenti della società civile chiede la chiusura degli Istituti penali minorili, Ipm. «Il nostro obiettivo è che il Senato intervenga senza l’approvazione del Ddl 1660, avvenuta invece alla Camera. È una cattiveria inaudita, non mi viene un altro termine», dice Liviana Marelli, coordinatrice dell’Area nuove generazioni e famiglie del Cnca, Coordinamento nazionale comunità accoglienti.
Ci spieghi meglio.
Pensare di ridurre la fase della discrezionalità rispetto all’uso del carcere per donne con bambini sotto l’anno d’età ci sembra una violenza. È una misura pensata soprattutto per le donne rom. Impedire l’accattonaggio o altro vuol dire procedere a percorsi di inserimento per le persone. Si potrebbe pensare a soluzioni diverse.
Quali soluzioni?
Ad esempio, per bambini così piccoli, l’affido familiare. È proprio una cattiveria pensare di chiuderli dentro, vuol dire una chiusura ad ogni possibilità di dialogo. Mettere in mezzo i bambini sotto l’anno è davvero mostruoso, demagogico. Da un lato si parla del sostegno alle famiglie, poi si mettono in carcere i bambini? Perché, sono di serie B? Le soluzioni ci sono. Perché non pensiamo a forme di affido e di apertura, di connessione, di coinvolgimento di altre famiglie, di attivazione di altre forme, di comunità familiari o residenziali, che possono garantire anche il rispetto della legalità? Dobbiamo farci una domanda.
Quale domanda?
Una società adulta fa prevalere il diritto dei minori o il presunto diritto di sicurezza, tradotto esclusivamente con l’esclusione, la violenza, il carcere? Questa è la società adulta che presentiamo ai nostri ragazzi? E come possiamo pensare che facciano un investimento sul futuro? La società oggi si presenta con una faccia arcigna, che non dialoga. I ragazzi che si comportano male vanno ripresi, certo, ma con autorevolezza non con violenza autoritaria. Noi abbiamo perso questa capacità di essere autorevoli, quindi ci difendiamo. Non siamo più capaci di entrare in relazione col disagio, con l’aggressività, con la rabbia delle persone. La società adulta deve acquisire forza nell’entrare dentro le questioni sociali, forse anche con il cuore: deve esserci. Allora entrano in gioco il dialogo, la responsabilizzazione, la fermezza, l’autorevolezza. L’esclusione, l’interruzione del rapporto con le persone, non è una scelta matura: è una scelta di difesa infantile.
Oggi negli Ipm ci sono 570 ragazzi. Erano 496 a dicembre 2023, 381 a dicembre 2022
Insieme ad altre associazioni e ad esponenti della società civile, il Cnca ha aderito all’appello che chiede di mettere all’ordine del giorno nelle aule parlamentari il tema urgente della chiusura degli Ipm, da sostituire con percorsi alternativi incentrati sui ragazzi e sulle ragazze. Cosa chiedete?
Da un lato chiediamo la chiusura degli Ipm, dall’altro quest’appello è collegato al Ddl sicurezza. Ciò che noi contestiamo, anche a partire dall’esperienza diretta e quotidiana, è un approccio culturale che non condividiamo, è questo uso quasi esclusivo di pensare che la soluzione sia quella dell’escludere, del togliere di mezzo, del rinchiudere. Non condividiamo il pensiero che le questioni sociali, i problemi delle persone, a partire dai soggetti minorenni in una fase evolutiva, si risolvano aumentando la detenzione. Oggi negli Ipm ci sono 570 ragazzi, è un numero sempre crescente (erano 496 a dicembre 2023, 381 a dicembre 2022, ndr). Abbiamo, da un lato, l’esplosione di tutte le carceri, sempre più sovraffollate. Dall’altro c’è una grande incapacità.
Quale incapacità?
C’è una grande incapacità, una non volontà, di pensare e di investire risorse sui contesti abituali di vita, sui processi educativi e rieducativi, sulla giustizia riparativa, sulla messa alla prova. Che non sono modalità del cosiddetto “buonismo”. Esattamente il contrario. Responsabilizzare i ragazzi significa farsene carico, stabilire con i loro delle relazioni, non vuol dire chiuderli dentro e buttare la chiave. Questo è il paradigma che in qualche modo si intravede anche nel Ddl sicurezza. Non è questa la strada.
La nostra società pensa che la forza, la prova muscolare sia la soluzione e non ha assolutamente in mente che cosa succede non solo negli istituti penali, ma nei territori: c’è l’abbandono continuo, il disinvestimento su politiche sociali e rieducative, di accompagnamento, di luoghi di prossimità, di dialogo, di attenzione
Qual è, secondo voi, la strada?
In una nazione che ha ratificato la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, come teniamo insieme il diritto dei minorenni con questa pretesa che l’unica soluzione è quella di escludere? Noi siamo contro l’inasprimento dell’uso della carcerazione. Non diciamo che la carcerazione è sempre un male, diciamo che questa non è la strada. Insistere sulla carcerazione come unica risposta, in particolare per i ragazzi, confligge con la responsabilità adulta, con una società che deve farsi carico del disagio e delle difficoltà, che deve pensare a una pena con processi di giustizia riparativa.
Gli Ipm, ad esempio Beccaria a Milano e Casal del Marmo a Roma, stanno esplodendo e spesso ci sono tensioni. Come facciamo a pensare che la soluzione sia il carcere, quando abbiamo sovraffollamento e una situazione, negli Ipm e nelle carceri in generale, che oggi non vede una via d’uscita? Il Ddl prevede addirittura un inasprimento delle pene, laddove in carcere si protesti. Mi sembra che ci sia un corto circuito.
Qual è il corto circuito?
La nostra società pensa che la forza, la prova muscolare sia la soluzione e non ha assolutamente in mente che cosa succede non solo negli istituti penali, ma nei territori: c’è l’abbandono continuo, il disinvestimento su politiche sociali e rieducative, di accompagnamento, di luoghi di prossimità, di dialogo, di attenzione. È la relazione educativa che responsabilizza le persone. Metterle in carcere vuol dire difendersi pensando che alzare i muri sia la soluzione. I muri dovrebbero essere infranti con il dialogo.
Insistere sulla carcerazione come unica risposta, in particolare per i ragazzi, confligge con la responsabilità adulta, con una società che deve farsi carico del disagio e delle difficoltà, che deve pensare a una pena con processi di giustizia riparativa
Come Cnca, cosa state facendo per far capire che, a vostro avviso, è sbagliata la misura del Ddl che renderebbe facoltativo il rinvio della pena per le donne incinte e le madri con figli sotto l’anno?
Partecipiamo a incontri, mobilitazioni in varie città d’Italia, per creare dibattito. Il nostro tentativo è di far capire perché questa misura non va bene, ci vuole forse una maggiore capacità di motivare. Stiamo anche cercando di interloquire con le forze politiche. Attraverso la diffusione di opportunità di dialogo e di confronto si diffonde l’informazione e si sostanzia la presenza politica. Che non è ideologica ma, per quanto ci riguarda, parte dalla quotidiana relazione con le persone fragili.
Foto di apertura di Giampiero Corelli/Agenzia Sintesi, una foto della Casa circondariale di Ponte Decimo (Genova), nel 2010.
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