Volontariato

Agricoltura: i giovani puntano sul biologico

Il trend emerge dall'indagine sui modelli imprenditoriali e le culture del lavoro tra i giovani agricoltori italiani, che Eurispes ha effettuato su un mille giovani imprenditori

di Paolo Manzo

I giovani imprenditori agricoli puntano sul ‘biologico’ e sulla qualita’ dei prodotti. Il 13,3% di loro, infatti, indica l’agricoltura biologica come l’ambito prevalente di intervento per un maggiore sviluppo del proprio mercato di riferimento. Seguono: la ‘sicurezza alimentare dei prodotti’ (12,4%), le ‘colture e prodotti innovativi’ (7,0%) e la ‘certificazione della qualità aziendale’ (6,4%). Questo trend emerge dai risultati dell’indagine campionaria sui modelli imprenditoriali e le culture del lavoro tra i giovani agricoltori italiani, che l’Eurispes ha effettuato su un campione di 1.000 giovani imprenditori, illustrata, alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, Gianni Alemanno, dal Direttore dell’Eurispes Italo Saverio Trento, a L’Aquila, nell’ambito del secondo Convegno Nazionale ‘Giovani imprese per il vecchio continente: l’agricoltura dei giovani come risposta alle sfide della globalizzazione’. E’ il segno che le giovani generazioni di agricoltori sono convinte che lo sviluppo del sistema agroalimentare italiano deve essere veicolato, in primo luogo, dalla produzione di qualità, -spiega l’Eurispes- la quale, da questo punto di vista, può rappresentare una concreta opportunità di lavoro per fasce di popolazione altrimenti destinate ad alimentare la piaga dell’esodo o della disoccupazione rurale. In ogni caso, la produzione di qualità costituisce il leitmotiv di una competitività aziendale che persegue l’obiettivo (quantitativo) del profitto economico anche attraverso il mezzo (qualitativo) di prodotti e metodi di produzione a minor impatto ambientale. La ‘strada maestra’, dunque per i giovani che intendano dedicarsi all’attività di imprenditore agricolo, passa pertanto, attraverso una più marcata attenzione alla specializzazione e allaqualità delle produzioni. Tuttavia, se è alla difesa del Made in Italy che si deve puntare, oltre che all’obiettivo della sicurezza alimentare, la strada da fare è tutta in salita, dal momento che anche la produzione di prodotti tipici risulta essere ancora limitata. Non sono incoraggianti, sotto questo aspetto, le risposte fornite dal campione esaminato. Infatti, per tutte le categorie di prodotti garantiti e protetti, la percentuale dei giovani imprenditori nelle cui aziende non ci sono prodotti di tal genere supera il 90% (con la sola eccezione dei prodotti DOC, per i quali, in ogni caso, la percentuale negativa è pari al 72,7%). Una sezione del sondaggio è dedicata ai fabbisogni formativi. La formazione delle risorse umane rappresenta un importante investimento per lo sviluppo di un’azienda, attraverso l’aggiornamento dei dipendenti e l’apprendimento di nuove metodologie di lavoro. In questo senso risultano incoraggianti le risposte fornite dai giovani imprenditori in relazione alle aree di riferimento dei corsi di formazione effettuati all’interno dell’azienda. Infatti, pur risultando prevalente il settore della sicurezza sul lavoro (15,2%), l’altrettanto elevata partecipazione alle attività formative relative al ‘marketing’ (12,7%), alla ‘qualità dei prodotti’ (12,1%), all”agriturismo’ (12,1%), all”agricoltura biologica’ (8,0%) è indicativa dell’interesse ad accumulare le competenze necessarie ad un’agricoltura multifunzionale e, nello specifico, al settore delle produzioni di qualità. Ai giovani imprenditori intervistati, è stato poi domandato se negli ultimi due anni essi stessi o i loro dipendenti avessero partecipato ad attività di formazione delle risorse umane. Il 67,9% del campione ha risposto negativamente, il 32,1% affermativamente. Nella maggioranza delle aziende agricole prese in analisi, dunque, i titolari e i dipendenti non hanno partecipato recentemente a nessun corso formativo; soltanto un terzo degli intervistati ha dichiarato il contrario. Per quanto riguarda, le prospettive occupazionali, secondo i dati del sondaggio, queste risultano positive per via della sostanziale stabilità di organico che si prevede per ogni tipologia contrattuale ma soprattutto perché l’incremento più consistente si preannuncia per i dipendenti fissi. Gli imprenditori, infatti, prevedono che l’incremento occupazionale coinvolgerà principalmente i dipendenti fissi (16,6%), ma si registrano prospettive moderatamente positive anche per i lavoratori stagionali (12,3%) e occasionali (9,8%), anche se per queste categorie i valori del possibile decremento si attestano intorno all’8%. Il 40,8% degli intervistati afferma che non ci saranno variazioni nel numero di lavoratori stagionali, percentuale che arriva al 41,4% quando si tratta di occasionali e al 44,4% per quanto riguarda i dipendenti fissi. In riferimento alle previsioni sull’occupazione stabile, la disaggregazione territoriale evidenzia un netto segnale di ottimismo da parte degli imprenditori isolani: il 41,7% afferma che ci sarà un incremento, solo il 3,1% prevede un saldo negativo e il 26,8% dichiara che non ci saranno variazioni. Anche gli agricoltori dell’Italia centrale manifestano una discreta fiducia: i posti fissi resteranno invariati per il 58,5% degli intervistati, aumenteranno per il 15,7% e diminuiranno per il 2,5%. Nel Sud si registra una percentuale abbastanza consistente di previsioni di incremento dell’organico (+14,9%), ma anche il valore più alto per quanto riguarda i decrementi occupazionali (6,6%). Circa i 2/3 delle aziende del campione intervistato dispongono di una Superficie Agricola Utilizzata inferiore ai 50 ettari. La maggior parte delle aziende agricole utilizza una superficie compresa tra 1 e 10 ettari (32,1%) o tra i 10 e i 50 ettari (29,1%). Le aziende agricole che dispongono di una Sau superiore ai 100 ettari costituiscono appena l’11,1% del complesso. Per quanto concerne la forma giuridica delle aziende agricole, i dati mostrano come la stragrande maggioranza delle imprese (il 68,7%) si sia costituita in forma di ditta individuale. Abbastanza diffusa anche la società di persone e/o capitali, che caratterizza circa un quarto delle imprese, mentre le altre forme giuridiche costituiscono una lieve minoranza. Nello specifico, la forma del consorzio è stata adottata da appena il 3,1% delle imprese, e la cooperativa dal 2,5%. Le forme giuridiche meno diffuse risultano essere la comunanza o affittanza collettiva (0,9%) e l’associazione di produttori (0,3%). I dati relativi al titolo di possesso dei terreni indicano una netta prevalenza, tra i giovani imprenditori agricoli intervistati, di proprietari d’azienda: il 70,4% del campione. Un buon 18,3% possiede parte dei terreni della propria azienda in proprietà e parte in affitto mentre solo il 9,8% indica nella forma affittuaria il titolo di possesso dei terreni. La forma di conduzione maggiormente diffusa è quella diretta, scelta dall’87,5% dei giovani agricoltori. La conduzione in economia, che vede il responsabile dell’impresa ed i suoi familiari occuparsi della direzione tecnico-organizzativa e ricorrere a manodopera extra-familiare per i lavori agricoli, caratterizza il 9,2% delle aziende; mentre sembra ormai quasi definitivamente tramontata la conduzione a mezzadria (0,5%). Le aziende dei giovani agricoltori sono caratterizzate da una dimensione prevalentemente familiare. Nelle imprese in cui si ricorre a salariati, braccianti o giornalieri, l’utilizzo di manodopera extra-familiare si accompagna, nella maggior parte dei casi, al lavoro familiare. Il 40,8% degli intervistati ha infatti dichiarato di ricorrere per i lavori agricoli a manodopera esclusivamente familiare ed il 33,9% a manodopera mista. La manodopera esclusivamente extra-familiare è utilizzata da meno di un giovane agricoltore su 5 (18,9%). Per quanto concerne i settori di produzione, la maggior parte delle risposte ha indicato nella viticoltura (20,7%) o nella coltivazione di cereali (17,4%) l’indirizzo produttivo prevalente; seguono l’olivicoltura (13,7%), la coltivazione di fruttiferi (10%), e la coltivazione di ortive, indicata dal 7,5% delle risposte. L’allevamento viene indicato come indirizzo produttivo prevalente in percentuale variabile dall’1% (allevamento ovino/caprino) al 3,9% (allevamento suino). Alcuni indirizzi produttivi sono stati indicati quali prevalenti da una percentuale di risposte inferiore all’1% del complesso: si tratta della coltivazione di barbabietole da zucchero (0,9%), delle colture alternative, come piante medicinali o miele (0,7%), del girasole o di altre piante oleose (0,6%) e della coltivazione di piante industriali, indicate in appena lo 0,4% dei casi. Appare opportuno evidenziare, inoltre, come il 9,7% delle risposte indichi nella conservazione e commercializzazione dei prodotti agricoli l’attività praticata in azienda oltre alla produzione. Si tratta di un risultato che rileva, per le aziende in cui sono praticate, una buona integrazione delle varie fasi di gestione dei prodotti e, più in generale, un buon livello di autonomia. Una discreta percentuale di risposte riguarda invece attività di accompagnamento all’indirizzo produttivo prevalente, come la produzione di vino (9,2% delle risposte) o di formaggio (5,1%). L’agriturismo raccoglie infine il 23% delle risposte, rilevando una discreta propensione, da parte dei giovani imprenditori agricoli, ad affiancare la produzione agricola a servizi di tipo ricreativo. Lo scorporo dei dati per area geografica di riferimento mostra una diffusione maggiore dei servizi di tipo ricreativo nel Nord-Ovest, dove si trova il 27,2% delle imprese che praticano attività di agriturismo, seguito dal Centro (24,8%) e dal Nord-Est (23,2%). La capacità di rispondere a bisogni di tipo ricreativo sembra meno diffusa nelle imprese meridionali: nello specifico, il Sud registra il 21,6% delle aziende che praticano agriturismo e le Isole appena il 3,2%. L’indagine Eurispes è stata finalizzata anche alla conoscenza degli elementi di maggiore criticità del settore agricolo. L’aspetto ritenuto più problematico dagli agricoltori è la carenza di acqua per l’irrigazione delle colture (25,4%), particolarmente sottolineato dagli operatori del settore e da molte associazioni di coltivatori. Un numero molto alto di risposte imputa le difficoltà del settore agricolo alle carenze viarie (12,4%); un altro problema di una certa consistenza (9,4%) risulta la mancanza di una mentalità imprenditoriale. Viene sottolineata l’assenza di iniziative di credito per l’agricoltura familiare, con una percentuale di risposte del 6,1%; a seguire, la carenza di strategie di marketing specifiche per la valorizzazione della produzione agricola locale (3,9%). La scarsità delle occasioni di formazione professionale pregiudica il settore agricolo (per il 2,7% delle risposte), in quanto non permette di sviluppare competenze adeguate. Con minore frequenza, è stata citata la scarsa attenzione alla produzione di qualità (2,5%) e la presenza di una resistenza culturale all’ammodernamento e all’innovazione (2,3% delle risposte), con ritardi nella meccanizzazione e nell’informatizzazione delle aziende e del processo produttivo.


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