Scuole di cittadinanza
Roma, la scuola dove ci si prende cura del bene comune
«Circa il 20% dei nostri alunni hanno un background migratorio, sono nati in Italia o hanno fatto un percorso scolastico nel nostro Paese sin dai primi anni: non sono portatori di bisogni, ma risorse vere e proprie», dice Simona Di Matteo, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Guicciardini di Roma. «Ci disorienta il pensiero che non abbiano la cittadinanza italiana»
«da subito, la dimensione che ho voluto sollecitare è quella di lavorare sulla sostenibilità, nella costruzione di processi di partecipazione, stili di vita. La sostenibilità è intesa come ambientale, sociale, economica». A parlare è Simona Di Matteo, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Guicciardini di Roma, che comprende le scuole Bonghi e Baccarini, nel centro storico della Capitale, nei quartieri Monti e Esquilino. «Sto iniziando il mio sesto anno di dirigenza in questa istituzione scolastica che va dalla primaria alla secondaria di primo grado. Sono arrivata nel 2019-2020, l’anno della pandemia: è trascorso un tempo congruo per lavorare e dare, rispetto al mio ruolo di dirigenza, un indirizzo rispetto alla comunità scolastica».
Di Matteo, cosa fate nella vostra scuola per costruire identità, appartenenza e cittadinanza?
Lavoriamo per pensare a un sistema educativo che sviluppi il più possibile delle competenze sociali e civiche, in materia di cittadinanza. È un po’ il superamento di un modello che queste competenze possano essere trasmesse e la creazione di vere e proprie esperienze di didattica attiva, in cui i protagonisti sono i bambini, che possono sperimentare, mettersi in gioco rispetto a una “palestra di cittadinanza” in prima persona. Le competenze sociali e civiche devono essere agite e non afferiscono a una materia, a una disciplina: permeano tutta la didattica della scuola.
In che modo?
Partendo da un’etica comunitaria dei docenti, il curriculum della scuola si è ampliato sempre di più su questi temi con l’idea che le competenze di cittadinanza sono assolutamente trasversali. Abbiamo preso una posizione, che è anche politica perché ci deve essere una visione di scuola: di democrazia, di partecipazione, che parte dal basso, da dentro. Mettiamo la nostra attenzione su una postura di tipo pedagogico-didattico. Il primo passo è stato quello di avere noi (dirigente, docenti e personale scolastico) chiaro cosa significhi lavorare su queste competenze. L’approccio è la costruzione di relazioni generative: dobbiamo insegnare a nostri ragazzi a generare un cambiamento, che è anche la dimensione che hanno tutta una serie di movimenti che li riguardano.
Ad esempio?
“Fridays for future”, con i quali abbiamo organizzato dei laboratori per i nostri studenti nell’ambito di una cittadinanza attiva e della sostenibilità ambientale. Partecipiamo alle loro manifestazioni, ma il coinvolgimento non si limita a una giornata specifica ma dura tutto l’anno. Portiamo avanti tutti i movimenti sul clima in modo un po’ militante: abbiamo attivato a scuola tutta una serie di pratiche basate sul riciclo, sul recupero. Di anno in anno siamo sempre più attenti a questi temi e la didattica quotidiana è coinvolta. La Giornata dello spreco alimentare continua con dei progetti che rendono consapevoli i bambini e i ragazzi sulla filiera del cibo: facciamo delle donazioni di quello che avanza alla mensa a delle comunità sociali. Un tema fortissimo che abbiamo sviluppato è la mobilità sostenibile.
Come lo avete sviluppato?
Siamo una delle poche scuole ad avere la figura del mobility manager, che collabora con noi per creare percorsi casa-scuola e scuola-casa per favorire l’uso dei mezzi pubblici e per diffondere l’importanza dell’andare a piedi. Con il movimento “Bike to school” organizziamo dei tragitti in bicicletta, collaboriamo con “Streets for kids”, iniziativa che promuove le pedonalizzazioni delle strade sulle quali insistono gli istituti scolastici e incoraggia l’uso di mezzi non inquinanti. È molto importante, per noi, far capire agli studenti cos’è il bene comune.
In che modo si fa capire ai ragazzi cos’è il bene comune?
Il bene comune si capisce prendendosene cura. Se i bambini vanno a ridipingere la scalinata nel centro di Roma dopo che è stata imbrattata, proteggeranno quel gesto, quel territorio. Sentiranno di più loro la città e attraverseranno il senso di frustrazione quando, il giorno successivo, qualcuno quel muro lo avrà imbrattato. E andranno a ridipingerlo. I gesti di cittadinanza devono essere solerti e tempestivi: dobbiamo mandare il segnale che ci teniamo a quel bene comune. Nel colle Oppio, vicino al Colosseo, abbiamo adottato l’area verde del Roseto. Ce ne prendiamo cura, lo ripuliamo dalle cartacce, facciamo lì delle attività scolastiche, diventa un’aula a cielo aperto. Uno sconfinamento della scuola nel territorio fa sentire appartenenza a quel luogo. Alla fine di ogni anno scolastico organizziamo la Giornata della sostenibilità, la strada della scuola viene pedonalizzata e vengono le associazioni a restituire quello che è stato fatto durante l’anno. Sono tutte attività, esperimenti, progetti che servono a promuovere un atteggiamento nei bambini, nei ragazzi. Gli adulti devono essere molto motivati a fare questo lavoro insieme a loro e a crederci.
Lavorare sulla cittadinanza attiva significa lavorare su una cultura dell’associarsi, della solidarietà e della sussidiarietà orizzontale
Quanto è importante la collaborazione con il Terzo settore?
Moltissimo. Abbiamo portato avanti molte attività anche con la Comunità di Sant’Egidio, con il Centro Astalli. Con i ragazzi più grandi della scuola organizziamo degli incontri con alcuni rifugiati per capire quali sono i vissuti. Con “Retake” facciamo dei progetti, i bambini attivamente riqualificano degli spazi limitrofi alla scuola. Le consapevolezze dei bambini e dei ragazzi siano forti perché sono fatte sul campo, progettuali. Non diciamo solo: «Apriamo il libro». Lo sappiamo che la cittadinanza attiva rientra nelle ore di educazione civica, ma non possono essere nozioni che passano solo attraverso il canale verbale e dai testi.
In che modo coinvolgete le famiglie?
Per lavorare così sulla cittadinanza attiva ci vuole una grande sinergia con le famiglie. Da poco è nata e si è costituita un’associazione dei genitori dell’Istituto scolastico, che collabora con la scuola intorno ad alcuni temi. Lavorare sulla cittadinanza attiva significa lavorare su una cultura dell’associarsi, della solidarietà e della sussidiarietà orizzontale. Il principio guida è quello di collaborare con il Terzo settore per costruire questo tipo di percorsi. Lavoriamo per supportare le realtà familiari che hanno bisogno di maggiore sostegno, soprattutto quelle con background migratorio.
Quanti sono, nel vostro istituto, i bambini con background migratorio?
Abbiamo una parte di alunni, il 20% circa del totale, che hanno un background migratorio: per noi sono a tutti gli effetti italiani, ma formalmente non lo sono. Un altro fenomeno è quello dei bambini “Nai”, neo arrivati in Italia, per i quali viene attivato tutto un sistema di accoglienza, ma sono una piccola percentuale rispetto a coloro che sono nati a Roma e le cui famiglie sono nel nostro Paese da una-due generazioni. In questi giorni stiamo accogliendo due bambini ucraini. “Casa dei diritti sociali” è un’associazione che si occupa di integrazione, inclusione e con loro facciamo dei laboratori di alfabetizzazione per i bambini e anche per gli adulti, per i genitori di questi studenti. Abbiamo anche dei mediatori culturali, cerchiamo di intercettare tutti quei bandi che ci permettono di avere figure di mediazione, ad esempio, che ci aiutano nella comunicazione.
Le famiglie dei bambini con background migratorio che frequentano il vostro istituto, da quali Paesi provengono?
Tanti bambini hanno un background migratorio del Bangladesh. Abbiamo una forte comunità cinese, che è molto presente nel quartiere Esquilino di Roma. Abbiamo una scuola cinese che anima le nostre aule scolastiche il sabato e, d’estate, tutti i giorni. Ci sono bambini di origine cinese provenienti da tutta Roma e anche bambini italiani non di origine cinese, ai quali si insegnano lingua, cultura e civiltà cinesi. È importante che i bambini, di qualunque provenienza, conservino la loro dimensione culturale di appartenenza. Parlare di cittadinanza attiva significa parlare di tante cose.
Ad esempio?
Della costruzione di un modello di coesione sociale, di paradigma interculturale, di dialogo interreligioso. Bisogna passare attraverso azioni concrete come i corsi che mettiamo a disposizione degli adulti, sappiamo quanto è importante imparare la lingua per le famiglie. Ci sono dei nuclei di origine bengalese in cui le madri sono un po’ resistenti a imparare l’italiano, stiamo lavorando molto per vincere queste resistenze e dare l’opportunità di stare in una situazione conviviale e comunitaria.
Cosa pensa dello Ius Scholae?
Per noi i bambini con background migratorio sono a tutti gli effetti italiani. Ci disorienta il pensiero che non abbiano la cittadinanza italiana, il rischio che si può correre non avendola (la nostra scuola lavora affinché questo rischio non si corra) è che, siccome ci sono dirette conseguenze pratiche nell’avere o non avere cittadinanza, quel senso di appartenenza possa venire meno. Il lavoro che facciamo è quello di ridurre questo rischio, che in realtà si corre. A noi piacerebbe che lo Ius Scholae ci fosse.
Perché?
Si tratta di bambini nati in Italia o che hanno fatto un percorso nelle scuole del nostro Paese sin dai primi anni: non sono portatori di bisogni, ma risorse vere e proprie. Quello che per qualche adulto può sembrare non naturale, per i bambini lo è al massimo. Siamo protesi verso l’accoglimento di questa proposta e di questo disegno di legge. Riteniamo che si debba corrispondere a questi bambini e alle loro famiglie i diritti legati al requisito di cittadinanza. Per i ragazzi i loro compagni “stranieri” sono a tutti gli effetti italiani e non si capacitano di questa differenza di trattamento. Quotidianamente con molte azioni lavoriamo sull’inclusione scolastica.
La scuola che vogliamo è quella in cui c’è un’interdipendenza positiva, reciprocità, corresponsabilità, partecipazione
Avete dei segnali dai quali capite che il vostro percorso funziona?
Sì, ad esempio, i corsi di italiano sono sempre più seguiti, i frequentanti aumentano, questo tipo di “servizio” sta funzionando. Poi queste persone si coinvolgono sempre di più nella realtà scolastica. I volontari della Casa dei diritti sociali fanno dei laboratori di alfabetizzazione L2 ai genitori dei bambini con background migratorio, all’interno dell’istituto. L’associazione genitori cura una serie di attività extracurriculari, nell’ambito del progetto “Scuole aperte e partecipate”, con finanziamenti anche del comune di Roma. I corsi pomeridiani (di musica, kung fu, arte e altro) per i bambini diventano un’occasione di incontro dei genitori delle famiglie di questi bambini con background migratorio con altre: si creano delle forme di solidarietà, si intercettano i bisogni. Questo sistema diventa sempre più virtuoso perché la partecipazione è sempre più attiva, alcuni bambini non hanno le possibilità economiche di frequentare questi corsi in altre realtà, la scuola li propone gratuiti o a costi bassissimi.
Nella vostra scuola, quali sono le parole chiave?
La scuola che vogliamo è quella in cui c’è un’interdipendenza positiva, reciprocità, corresponsabilità, partecipazione. Gli obiettivi sono quelli della coesione sociale, in una dimensione interculturale.
Quali sono le criticità?
Ci vorrebbero delle forme semplificate per le procedure. Questi protocolli d’intesa che abbiamo con le realtà associative spesso si intoppano quando dobbiamo fare, ad esempio, le concessioni per l’utilizzo dei locali, l’individuazione delle responsabilità. Sentiamo il peso burocratico, la norma a volte più che favorire impedisce le collaborazioni con le associazioni. Le criticità sono date dalla possibilità di fare delle attività dal punto di vista logistico, burocratico. Noi non staremmo qui a parlare di questi temi se non ci fossero il sostegno del Terzo settore e il volontariato.
Questo articolo fa parte della serie “Scuole di cittadinanza”.
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Foto fornite dalI’Istituto Guicciardini di Roma.
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