Scuola
Una singola maestra può cambiare il futuro di tutti
La scuola è una palestra di vita, per tutti, genitori, insegnanti e alunni, spesso più avanti rispetto alla società esterna, su molti temi importantissimi, come la cittadinanza. Enrico Galiano, scrittore e docente, analizza alcuni punti chiave del mondo dell'istruzione in occasione dell'inizio dell'anno scolastico
In quasi tutti gli istituti scolastici d’Italia sono ricominciate le attività. Com’è e come dovrebbe essere la scuola per chi la vive ogni giorno dall’interno, come insegnante? Secondo Enrico Galiano, scrittore e docente in una scuola media, è un laboratorio di futuro, in cui la diversità è ricchezza e non problema. E, soprattutto, è un luogo di collaborazione e di dialogo, tra alunni, insegnanti e genitori e tutti coloro che ruotano intorno ai ragazzi. Perché per crescere un bambino, si sa, ci vuole un villaggio.
Cosa si augura per questo anno scolastico in partenza?
Che si guardi un po’ avanti. Mi pare che negli ultimi mesi si è guardato molto indietro; abbiamo visto arrivare dei provvedimenti un po’ “retrò”, per usare un eufemismo, come l’obbligo dell’uso del diario e il divieto assoluto dei cellulari in classe. Stando alle indicazioni attuali, non potrebbero più essere utilizzati nemmeno per le attività didattiche, come realizzare un podcast o un giornalino scolastico. Per come la vedo io, non è una scelta saggia: bisognerebbe educare a usare certi strumenti nel modo corretto, non vietarli.
Qualche giorno fa, in un post, denunciava anche la precarietà di molti insegnanti, a fronte della carenza di docenti di ruolo nelle scuole.
Si tratta di una malattia storica, quasi endemica, della scuola. È da quando ho iniziato, quasi vent’anni fa, che si ripete lo stesso copione. Ci sono frotte di precari che non vedono l’ora di avere una cattedra, eppure in classe inizi ad avere gli insegnanti solo a fine ottobre, in certi casi mi è capitato anche a dicembre. Ovviamente, chi paga di più lo scotto di questo orribile schema sono gli studenti, che da un lato si ritrovano a non avere i docenti e dall’altro – caso quasi peggiore – ad averli per un mese e cambiarli per il reimpasto delle graduatorie; magari si erano affezionati, magari era iniziato un bel percorso, che non può proseguire.
Lei parlava anche della carenza degli insegnanti di sostegno…
Questo è l’aspetto che mi preoccupa di più perché in questo momento la didattica sta cambiando tanto, è molto più personalizzata; una volta si faceva una lezione per tutti e se uno studente rimaneva indietro erano fatti suoi. Oggi la strada che stiamo prendendo è quella di personalizzare sempre più le attività, adattandole alle esigenze di ciascuno. Per fare ciò, devi avere l’insegnante di sostegno, altrimenti devi arrangiarti con quello che hai, ma non riesci a personalizzare tanto la lezione. Chi ne fa più le spese non sono solo gli alunni certificati per il sostegno, ma anche tutti gli altri, quelli con Dsa e Bes (Disturbi specifici dell’apprendimento e Bisogni educativi speciali, ndr).
Un altro dibattito molto attuale è quello legato allo Ius scholae.
Come per tante altre cose, anche in questo la scuola è molto più avanti della società. Per noi questi ragionamenti sono il passato, non il presente. Noi diamo per scontato che non ci sia chi ha più diritti e chi ne ha di meno perché è nato in Tunisia o a Milano Lambrate. Siamo tutti pari, tutti sulla stessa barca. Anzi, a scuola siamo talmente avanti che da anni abbiamo capito che avere ragazzi che conoscono una lingua o una cultura in più è una risorsa; invece, nella società fuori – nella politica in particolare – si sta ancora ragionando su quanto possa essere un problema. Tutte queste difficoltà da parte del Governo a riconoscere la cittadinanza ai ragazzi nati in Italia e che hanno fatto la scuola in Italia potrebbe essere dovuta al fatto che si tratterebbe di un bacino di voti che va alla parte avversa.
I cittadini si formano attraverso lo studio della Costituzione, dei principi dell’Europa, dell’educazione civica che da tre anni si fa in maniera sistematica
La diversità è sicuramente una ricchezza per la scuola. Ma la scuola può essere anche uno strumento di inclusione e un mezzo per insegnare cosa significhi essere cittadini italiani?
Attualmente la politica vuole tornare indietro, parla di “patria”, mentre noi a scuola parliamo di Europa, di internazionalismi. Portiamo all’attenzione ciò che davvero è un problema – il primo in agenda dovrebbe essere il clima, una minaccia sotto gli occhi i tutti. I cittadini si formano attraverso lo studio della Costituzione, dei principi dell’Europa, dell’educazione civica che da tre anni si fa in maniera sistematica. Il problema più che altro è all’esterno: noi insegniamo l’empatia e il rispetto per se stessi e per gli altri, poi esci da scuola e trovi un ministro dell’Interno che dice che è giusto investire una persona che ti ha rubato una borsetta.
Che consiglio ha per un giovane che vorrebbe affacciarsi alla carriera di insegnante?
Scherzosamente gli direi di cambiare idea prima che sia troppo tardi. In realtà è il lavoro più bello del mondo ma non gode di grande prestigio sociale o economico, a fronte di uno sforzo immane. Chi parla male degli insegnanti non ha mai provato a fare una singola ora di lezione in una seconda media, che equivale a cinque ore fuori, non solo per la fatica che richiede, ma anche per la ricaduta che ha. Tu puoi letteralmente salvare la vita di tanti ragazzi che potrebbero perdere se stessi, la loro autostima, la loro fiducia in sé, la capacità di avere una prospettiva sul futuro. Quindi gli direi: «È un lavoro bellissimo, ma sappi che dirlo non è come dire che fai il magistrato o il primario di medicina». Anche se credo che una singola maestra della scuola dell’infanzia sia importante tanto quanto un primario o un magistrato, perché quello che lei fa con un bambino di cinque anni ha ricadute gigantesche su quello che quel bambino farà nella vita e quindi sul futuro di tutti quanti.
La presenza dei genitori nella scuola non è deleteria in sé, è deleteria quando diventa iperprotettività
A proposito di visione degli insegnanti da parte di chi insegnante non è, i genitori dovrebbero uscire dalla scuola? O dovrebbero essere coinvolti in modo diverso rispetto a come sono coinvolti ora?
Ci sono tanti autorevoli colleghi che dicono «Via i genitori dalla scuola», ma io mi rifaccio sempre al vecchio adagio per cui per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Occorre la collaborazione di tutti – collaborazione, non guerra, non invasione di campo. Se un genitore mi offre il suo aiuto per me è preziosissimo, prima di tutto perché devo conoscere più cose possibili sul mio studente. Come diceva Rousseau, per insegnare il latino a Giovannino, bisogna prima conoscere Giovannino, poi il latino. Tutti gli elementi che ho sono fondamentali per me così potrò – come dicevo prima – personalizzare di più la lezione ed essere più efficace. Poi i genitori servono anche per il supporto logistico; una scuola che funziona ha anche attività extrascolastiche, per cui le famiglie sono una grande riserva di energia, trovano materiali, contatti. Banalmente, se devi fare uno spettacolo teatrale, ti aiutano con tutto quello che serve per la messa in scena. La loro presenza, quindi, non è deleteria in sé, è deleteria quando diventa iper protettività, quando da genitori diventano avvocati: a quel punto possono fare danni tremendi. La mia filosofia è trovarsi a metà strada. Lo scopo – nostro e loro – è il bene dei loro figli, che non si ottiene difendendoli in tutto e per tutto.
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