Lavoro sociale

Educatori e psicologi, benvenuti nel welfare

Una notizia passata sotto silenzio, una comunicazione tecnica che ha raggiunto in agosto tutti gli ambiti territoriali sociali d'Italia. Per la prima volta il pubblico avrà un'équipe multimensionale anche nel sociale e sta programmando l'assunzione di educatori e psicologi. Quanti? Un educatore ogni 15mila abitanti e uno psicologo ogni 20mila. La professoressa Paola Milani spiega la novità, come ci si è arrivati e i suoi impatti

di Sara De Carli

Ad agosto tutti gli Ambiti territoriali sociali (Ats) d’Italia hanno ricevuto l’invito a quantificare il fabbisogno delle figure professionali da impegnare nel prossimo triennio per le attività connesse a una «corretta implementazione e attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali». Tra le righe di questa comunicazione tecnica si cela una grande rivoluzione, tanto che Paola Milani – ordinario di Pedagogia Generale all’Università di Padova e responsabile del programma nazionale Pippi (Programma di intervento per prevenire l’istituzionalizzazione) – ha definito «una notizia epocale, costruita in silenzio».

Perché professoressa si tratta di una notizia e di una notizia così importante?

Questo messaggio agli ambiti territoriali sociali nasce da due presupposti. Il primo è la legge 328 che già nel 2000 aveva definito la formazione degli ambiti territoriali sociali. Poi però con il fatto che nel 2001 è stata approvata la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha regionalizzato il sistema del sociale, è rimasto tutto tutto fermo. Con il Piano nazionale sociale redatto dalla Rete della protezione sociale per il 2021/23 si è ricominciato a parlare degli ambiti territoriali sociali, tanto che i finanziamenti del Pnrr sono andati direttamente a loro. L’esigenza è quella di creare delle organizzazioni che permettano ai Comuni di agire in forma associata per gestire al meglio la spesa sociale. Questo si fa già per le Asl – le Aziende sanitarie locali – mentre mancava un’organizzazione, un ente che avesse la la capacità di gestire i servizi sociali, anche in funzione di quella che era un po’ la questione grande posta dalla legge 328 che è l’integrazione sociosanitaria: infatti si può parlare di integrazione se ci sono due soggetti che si integrano, se ce n’è uno solo come finora sono state le ASL questa integrazione diventa difficile. 

Quindi in sostanza parliamo di dare attuazione a qualcosa che abbiamo immaginato, nella lettera della legge, nel lontanissimo 2000. 

Negli anni ci sono stati tanti tentativi di creare questa organizzazione e questa integrazione. Per esempio le Ulss con due s in Veneto (Unità locali socio sanitarie), ma siamo lontani dall’omogeneità a livello a livello nazionale. Ovviamente gli ambiti territoriali sociali devono avere degli organici. Il primo passo è stato fatto con la legge istitutiva del reddito di cittadinanza nel 2017 che ha incominciato a parlare di un livello essenziale per gli assistenti sociali: un assistente sociale ogni 5mila abitanti. In questi anni si è fatto moltissimo, questo Leps è stato un po’ alla volta recepito e ci siamo quasi in Italia con un assistente sociale ogni 5mila abitanti, con molta difficoltà in alcuni ambiti territoriali sociali ma ci siamo.

Una volta individuato il meccanismo, adesso che cosa è stato fatto?

È stato utilizzato lo stesso meccanismo dell’assunzione degli assistenti sociali per garantire che negli ambiti territoriali sociali siano presenti non solo gli assistenti sociali ma anche gli educatori e gli psicologi. Quindi per avere una vera équipe multidimensionale anche nel sociale.

Fino ad oggi non era stato previsto un organico di équipe multidimensionali strutturate stabilmente negli Ambiti territoriali sociali. La grande novità è questa: avremo educatori e psicologi nel sistema di welfare sociale pubblico

Paola Milani

Non era così? Educatori, pedagogisti e psicologi fino ad oggi negli organici del sistema pubblico del welfare non c’erano? 

No, non c’erano. Gli ambiti territoriali sono stati definiti da poco, ci sono diverse forme sparse per l’Italia di gestione consorziata del sociale ma non erano stati delineati degli organici in forma chiara. Fino ad oggi non era stato previsto un organico di équipe multidimensionali strutturate stabilmente negli ambiti territoriali sociali. Quindi sono due novità: l’ambito territoriale sociale che è un po’ il presupposto e l’équipe multidimensionale, con il fatto che l’équipe multidimensionale viene reperita con lo stesso meccanismo usato per gli assistenti sociali: questo avviso prevede di avere un assistente sociale ogni 5mila abitanti (livello già quasi raggiunto), un educatore ogni tre assistenti sociali (quindi ogni 15mila abitanti) e uno psicologo ogni quattro assistenti sociali (quindi ogni 20mila abitanti). Perciò, per rispondere meglio alla sua domanda, nel sistema pubblico gli assistenti sociali c’erano già, mentre gli educatori e gli psicologi non c’erano. A onor del vero ci sono un paio di Asl in Veneto che hanno questa esperienza dell’assunzione degli educatori nel sistema pubblico e anche qualcosa in altre regioni italiane, ma si tratta veramente di un numero residuale. Gli psicologi invece hanno un contratto nel sanitario, sono assunti sostanzialmente nelle Asl: servizi come il consultorio familiare o la neuropsichiatria infantile che sono incardinati nelle Asl hanno lo psicologo, mentre era difficilissimo riuscire ad avere gli psicologi per esempio nel servizio tutela minori che sono molto più sociali che sanitari e soprattutto nei servizi che si occupano di minori, famiglia e povertà che sono servizi prettamente sociali. Quindi la grande novità è questa: avremo educatori e psicologi nel sistema di welfare pubblico. Perché dico educatori nel sistema pubblico, perché gli educatori finora erano assunti essenzialmente nel privato sociale, non  nel pubblico e spesso – diciamolo – malcontrattualizzati. Questa è una delle grandi cause di questa emergenza educatori nel sociale degli ultimi anni. 

Da questo punto di vista, da dopo il Covid il Terzo settore soffre ininterrottamente di un drenaggio di operatori verso il pubblico…

Se il pubblico riesce a garantire dei contratti migliori, questo potrà nel tempo andare a rafforzare anche il sistema del Terzo settore perché porterà a contratti migliori anche nel Terzo settore. Non è di certo una misura contro il Terzo settore, è una misura a favore del sistema dei servizi, dell’integrazione tra pubblico e privato sociale e soprattutto dell’integrazione tra sociale e sanitario. E ancora di più è una prospettiva vera di inter e multidisciplinarità, che è quello che è assolutamente necessario per far fronte ai problemi dei minori, delle famiglie, della povertà… Siamo molto felici. 

Le risorse con cui viene gestito questo avviso sono quelle del PN Inclusione e lotta alla povertà 2021-2027, con un limite massimo di 300 milioni di euro per un triennio. E poi, finiti i soldi del PN, che succederà?

I soldi sono quelli del PN, che era il vecchio Pon-Piano operativo nazionale. Sono 300 milioni di fondi europei, che sono veramente molti. Quale potrebbe essere il vulnus? Che non essendo fondi della finanza pubblica italiana, potrebbe essere poi difficile dare continuità alla scadenza del terzo anno. Però anche il primo avviso per l’assunzione degli assistenti sociali era stato impostato così ed è stata la leva che ha permesso un po’ alla volta di portare ad assunzioni stabili del personale. Certamente si dovranno creare dei capitoli di spesa nella finanza pubblica italiana, anche perché l’équipe multiprofessionale – nel prossimo Piano nazionale sociale che la Rete della protezione sociale deve approvare entro il 2024 – dovrebbe diventare un Leps. 

L’équipe multiprofessionale dovrebbe diventare un Leps nel prossimo Piano nazionale sociale, che la Rete della protezione sociale deve approvare entro il 2024

Perché questo è un passo fondamentale per la reale esigibilità del Leps “Pippi” e quindi del diritto all’accompagnamento per le famiglie? Ma in generale, perché va a rafforzare il welfare pubblico rivolto a bambini, alle famiglie, agli anziani, agli adulti in situazione di esclusione sociale, ai poveri, in breve, agli ultimi?

Il Leps Pippi attualmente è finanziato sul Fondo nazionale politiche sociali e sul Pnrr e in prospettiva appunto su questi fondi dell’ex Pon inclusione. Ma se noi arriviamo ad avere degli ambiti territoriali sociali in cui l’équipe multiprofessionale c’è già ed è strutturalmente finanziata, noi abbiamo in gran parte risolto la spesa relativa al Leps e possiamo mettere i finanziamenti aggiuntivi su specifiche azioni da fare. Il grosso della spesa del Leps Pippi infatti è sul personale. Quindi queste équipe negli Ats sono veramente ciò che rende esigibile i Leps: per questo si tratta di una notizia straordinariamente importante. Ripeto, Pippi è già stato individuato come Leps, se adesso anche le EM – le équipe multiprofessionali – vengono individuate come Leps… ecco che abbiamo due fondamenta che permettono al sistema di funzionare e quindi rendono effettivamente esigibile il diritto all’accompagnamento alle famiglie. 

Da quando Pippi è stato indicato come Leps, che percorso è stato fatto e cosa è cambiato per le famiglie?

È cambiato appunto che il diritto all’accompagnamento alle famiglie è divenuto esigibile per tutti gli ambiti territoriali sociali, mentre prima era per 60-70 ambiti territoriali all’anno sui 600 esistenti. Adesso è implementato in più di 500 ambiti territoriali sociali sui 600 e il finanziamento garantisce un minimo di dieci famiglie all’anno, anche se poi appunto mettendo insieme diverse linee di finanziamento gli ambiti possono fare molto molto di più con il personale che già hanno. Ora, garantendo il personale, in prospettiva Pippi dovrebbe diventare davvero esigibile per tutte le famiglie che hanno bisogno di un accompagnamento, quindi andare veramente a svolgere una funzione preventiva. Oggi noi intercettiamo le famiglie che hanno più bisogno, ma la natura del Leps Pippi sarebbe di intercettare le famiglie quando i bisogni sono ridottissimi, quando i bambini sono piccolissimi, in una fase preventiva in modo da aiutare i genitori e rafforzare le loro capacità genitoriali al più presto, senza aspettare che i bambini manifestino problemi evidenti a scuola, senza bisogno di arrivare alla primaria o alla secondaria per accorgersi che c’è una situazione di trascuratezza dei bisogni dei bambini che crea a catena una serie di problemi sullo sviluppo, il rendimento scolastico eccetera.

Forse qui c’è una domanda aggiuntiva da fare: che cosa c’entra Pippi con tutto questo?

Pippi è partito nel 2011 e da subito ha detto una delle condizioni base del programma – all’epoca era un programma di ricerca – è che ci sia l’équipe multidimensionale. Il fatto che nella stragrande maggioranza degli ambiti territoriali sociali non ci fosse ha creato una carenza evidente e con i dati che negli anni abbiamo potuto mettere a disposizione abbiamo reso evidente questa carenza. Così nel tempo si è riusciti a trovare una soluzione per farvi fronte. Quindi non è un merito di Pippi il fatto che si sia arrivati a questo avviso e che speriamo si arrivi presto ad avere in tutti gli ambiti una équipe di tipo multidisciplinare e multiprofessionale… è un mosaico che si è composto grazie a tanti tasselli e un tassello è stata l’esperienza di Pippi in Italia che ha dimostrato che le famiglie che hanno questo tipo di bisogni, se non ci sono degli operatori nei servizi e quindi se non c’è questa infrastruttura solida di welfare pubblico, non trovano le risorse necessarie per far fronte ai propri bisogni. Le famiglie più povere – perché la povertà educativa e la povertà economica sono due caratteristiche chiave delle famiglie delle famiglie Pippi – se non sono intercettate dal sistema pubblico poi veramente non hanno altre possibilità di rivolgersi altrove.

L’esperienza dei Leps insegna che se non sono individuati chiarezza i Leps, le fonti di finanziamento, un sistema di monitoraggio e di raccolta dati si può parlare di autonomia differenziata ma non di equità. L’esperienza del sociale ha molto da insegnare ai Lep, se qualcuno volesse apprendere la lezione

Oggi con l’autonomia si parla tanto di Lep, che verranno definiti nel giro di due anni e non prima di partire con l’autonomia. Per i Leps invece?

I Leps stanno seguendo un percorso a parte che è partito con la legge 328/2000 e che doveva essere avviato già nel 2001. Si è fermato per decenni. Poi finalmente – come dicevo – la legge di bilancio del 2021 ha individuato i primi sei Leps italiani, tra cui Pippi, e questo percorso sta continuando. Diciamo che questa esperienza dei Leps insegna che se non sono individuati chiarezza i Leps e quindi le fonti di finanziamento, un sistema di monitoraggio e di raccolta dati si può parlare di autonomia differenziata ma non di equità. L’esperienza del sociale ha molto da insegnare ai Lep, se qualcuno volesse prendere la lezione. Nel prossimo Piano nazionale sociale che è appunto in approvazione ci sarà un capitolo dedicato allo studio della spesa sociale in Italia dove si vede come la spesa sociale è assolutamente differenziata, quello che spendono le regioni per il sociale è veramente straordinariamente diversificato: certe regioni spendono molto, certe spendono quasi quasi nulla. Quindi la necessità di un sistema che renda equo il sistema è evidente, perché i cittadini non hanno gli stessi servizi in Calabria, in Campania, in Piemonte, in Lombardia, in Veneto. Questa differenza nel sociale è evidentissima: allora in questo momento nel sociale, con i primi Leps si sta andando in questa direzione. C’è tantissimo lavoro ancora da fare, ma il fatto di avere il personale è veramente un tassello chiave perché va a toccare l’infrastruttura. 

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