Mondo

Stati Uniti, diminuisce il sostegno alla pena di morte

La metà degli americani ritiene che l'ergastolo sia una pena più giusta

di Gabriella Meroni

L’enorme sostegno popolare all’esecuzione di Timothy McVeigh – che verra’ messo a morte il 16 maggio prossimo per l’attentato di Oklahoma City che ha provocato 168 vittime – maschera un’importante cambiamento in atto nella societa’ americana, dove sta diminuendo nettamente il sostegno alla pena di morte. Quasi la meta’ degli americani, registra un sondaggio del Washington Post/Abc, crede che l’ergastolo duro sia una punizione piu’ giusta della pena capitale. E la vera, importante, novita’ e’ che il 51 per cento degli intervistati si e’ detto favorevole – contro un 46 per cento di contrari – ad una moratoria di tutte le esecuzioni per permettere una completa revisione del sistema giudiziario in modo da scongiurare fatali errori. Qualcosa sta cambiando quindi in quello che, fino a pochi anni fa, appariva come un granitico sostegno dell’opinione pubblica americana alla pena capitale, nonostante le proteste della comunita’ internazionale e degli attivisti interni. Ora e’ il 63 per cento in favore della pena di morte, vale a dire sei americani su dieci: una percentuale sempre alta, ma in netto declino rispetto a quella di appena cinque anni fa, del 77 per cento. E la percentuale cala ulteriormente quando agli intervistati si pone l’alternativa precisa fra la pena di morte e l’ergastolo senza possibilita’ di liberta’ vigilata: diventa di appena un punto lo scarto fra quelli che si continuano a dire sostenitori della pena di morte (il 46 per cento) e quelli che invece si professano in favore del carcere a vita, il 45 per cento. Alla radice di questo fenomeno, sottolineano gli analisti, due fattori: la generale diminuzione del tasso di criminalita’ e la recente campagna di stampa sui casi di detenuti del braccio della morte rilasciati perche’ scoperti – in extremis – innocenti. In questo scenario spicca pero’ in controtendenza il massiccio sostegno all’esecuzione di McVeigh, approvata anche da persone che si dichiarano in generale contrari alla pena di morte. Secondo il Pew research center il 75 per cento degli americani e’ favorevole, mentre un altro sondaggio di Gallup arriva all’81 per cento, compreso un 22 per cento di contrari alla pena di morte. Questo sta creando piu’ di un problema agli attivisti anti-pena di morte americani, che dopo anni di lotte sembrano raccogliere qualche risultato. In diverse occasioni si trovano a dover difendere la loro opposizione all’esecuzione dell’uomo che ha ucciso il maggior numero di persone della storia americana. ”La mia risposta e’ sempre molto semplice: perche’ non abbiamo il diritto di prendere una vita umana” ha detto al Washington Post Patricia Clark, dell’ American Friends Service Committee. ”E’ come una prova di fede – continua – e’ facile opporsi alla pena di morte per un ritardato mentale o per qualcuno la cui colpevolezza e’ in dubbio, o che potrebbe essere rimasto vittima di una discriminazione razzista. McVeigh non rientra in nessuna di queste categorie”. ”Non c’e’ la questione dell’innocenza o del giusto processo – rincara Barry Scheck, giurista della Cardozo School of law di New York – milioni di dollari sono stati spesi per la sua difesa”. Ora il timore e’ che, sulla scia dell’esecuzione di McVeigh, il movimento abolizionista americano possa veder interrotto quel momento positivo – iniziato con la decisione un anno fa del governatore dell’Illinois di varare una moratoria delle esecuzioni- che sta vivendo. Ora in 16 parlamenti dei 38 stati che hanno reintrodotto la pena di morte sono state discusse leggi in favore della moratoria e, per la prima volta, la pena di morte e’ stata uno degli argomenti della campagna elettorale che si e’, pero’, conclusa con l’arrivo alla Casa Bianca di George Bush che, da governatore del Texas, ha battuto tutti i record precedenti con 152 esecuzioni.


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