Scuole di cittadinanza

Milano, quelle ore di italiano «via maestra» per diventare cittadini

Lingua, intercultura, coinvolgimento delle famiglie e delle comunità di origine, tanto volontariato di quartiere. Sono queste le parole chiave nella scuola di via Giacosa a Milano, guidata da Francesco Muraro, dove il 66% degli alunni non è italiano

di Alessio Nisi

Milano

I numeri, per iniziare: 1.250 alunni, di cui il 66% non italiano, 61 classi e 120 studenti con disabilità, «molti dei quali non hanno cittadinanza italiana. In Lombardia siamo una delle scuole più complesse», esordisce Francesco Muraro, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale Francesco Cappelli di via Giacosa a Milano.

«Complesse? Prima di tutto dal punto di vista organizzativo. La scuola deve orientarsi tenendo conto di questa caratteristica in relazione ai bisogni educativi», coniugando «l’apprendimento della lingua italiana per fare in modo che gli alunni con disabilità che non hanno la cittadinanza italiana possano accedere ai servizi socio-sanitari e che le famiglie possano entrare in relazione con la scuola, sapendosi muovere anche sotto il profilo amministrativo». Un esempio? «Il nostro diario scolastico è scritto in otto lingue».

Oltre alla lingua e all’intercultura lavoriamo affinché che ci sia rispetto tra comunità diverse: una sintonia che si costruisce sulla condivisione di temi convergenti

Francesco Muraro, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale Francesco Cappelli

La lingua italiana, per cominciare

Ecco, oltre l’organizzazione, oltre i numeri, l’istituto Cappelli ha messo in campo dei percorsi di cittadinanza, prima dello ius scholae (inteso come effetto giuridico legato ad un provvedimento legislativo, che è ancora un’ipotesi), ma nel pieno rispetto della Costituzione. «Concretamente», spiega Muraro, «ogni anno lavoriamo per mettere a disposizione dei nostri studenti qualche migliaio di ore di insegnamento della lingua italiana come seconda lingua». Un lavoro che la scuola fa «con le associazioni del territorio» per attivare «doposcuola e corsi mirati per i bambini e genitori». Un impegno che Muraro considera un po’ «la via maestra perché inizi il percorso». 

Milano
Francesco Muraro , dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale Francesco Cappelli


Docenti formati alla interculturalità

E gli insegnanti? In un quadro di questo tipo «abbiamo più docenti formati per un approccio aperto e interculturale, facciamo formazione e abbiamo rapporti con cooperative specializzate in transculturalità, consulenti sulla tema della marginalità», perché migrazione, sottolinea il dirigente scolastico, «vuol dire anche problemi lavorativi, abitativi, anche degrado nelle relazioni, famiglie monoparentali, difficili, dove c’è violenza e alcolismo, famiglie sfrattate». Muraro ha chiaro il ruolo della scuola, un soggetto che «deve attivare i servizi e non supplire».

L’associazionismo aiuta tanto

Determinante, in chiave di supporto all’integrazione sociale, il ruolo del Terzo settore. «L’associazionismo aiuta tanto». Lo fa attraverso il volontariato. «Chi tiene il doposcuola», sottolinea, «non è pagato. Chi fa i corsi di italiano come seconda lingua non è pagato». Ad occuparsene sono «associazioni cui noi uno offriamo uno spazio fisico all’interno della scuola».

Milano
Un’immagine dell’Istituto comprensivo statale Francesco Cappelli

Tra queste ricorda, «l’associazione Amici del parco Trotter» composta da ex genitori della scuola, insegnanti e volontari del quartiere, che gestisce una serie di progetti. «Amo molto “libro Trotter”», una biblioteca «che conta migliaia di volumi in tutte le lingue del mondo». Nella chiesetta dello stesso parco Trotter, racconta sempre Muraro, può capitare che si riunisca l’associazione dei ragazzi di seconda generazione. «Gestiamo questo “spazio in più” come una sorta di centro culturale per la promozione di tutte le culture».

Lo Ius Scholae? Facciamo tutto il percorso per formare cittadini del mondo, ma soprattutto cittadini italiani, ed è strano che questa missione non abbia un esito formale

Francesco Muraro

Il progetto “Polo start”

Con questo portato, il Cappelli si è ritagliato anche uno spazio istituzionale, come «una delle quattro scuole milanesi capofila di “Polo start”, un progetto promosso e finanziato dal comune di Milano e dall’ufficio scolastico territoriale». Obiettivo dell’iniziativa è promuovere l’accoglienza delle famiglie straniere, definire pratiche condivise in tema di inserimento scolastico di minori Nai (che sta per neoarrivati in Italia), sostenere gli alunni neo arrivati nella fase di inserimento nel nuovo contesto, contrastare il ritardo scolastico e le ripetenze, collaborare insieme alle famiglie e alle risorse presenti sul territorio per rimuovere eventuali ostacoli alla piena integrazione.

«Il nostro ruolo», spiega, «è quello di coordinare e distribuire le risorse per la facilitazione linguistica e la mediazione linguistico culturale». Un compito che «ha anche una funzione di motore formativo e culturale all’interno della scuola stessa».

Intercultura

Oltre la lingua, c’è un altro termine chiave che Muraro utilizza per definire i contorni dei percorsi di cittadinanza del Francesco Cappelli: è “intercultura”. «È un termine apparentemente un po’ freddo, ma indica proprio l’incontrarsi su alcuni temi specifici. Quando si fa educazione civica, educazione alla cittadinanza», spiega, «devi trovare dei nuclei tematici di interesse sovranazionale e che non sono legati ad una cultura specifica: penso all’ambiente o alle scienze».

Quando si fa educazione civica o educazione alla cittadinanza devi trovare dei nuclei tematici di interesse sovranazionale e che non siano legati ad una cultura specifica: penso all’ambiente o alle scienze

Francesco Muraro

Le relazioni tra i ragazzi

«Non sempre funziona», precisa Muraro a proposito di progetto di integrazione in un contesto complesso. Ma le relazioni che si creano tra i ragazzi sono uno degli indicatori «che ci dicono che il percorso avviato ha avuto successo». Non sempre funziona perché le criticità ci sono e spesso sono legate agli adulti. «Da una nostra analisi emerge che per poter sviluppare i percorsi di inclusione o di integrazione è importante che le famiglie siano orientate a questo obiettivo». Ecco, spiega Muraro, «a volte la resistenza è più dell’adulto che dei ragazzino» e ricorda a proposito che del 66% di alunni con cittadinanza non italiana della sua scuola, «almeno due terzi sono nati in Italia».

All’interno di questo insieme «si sviluppano vari percorsi individuali» con esiti divisi «tra chi vive in un contesto di conservazione della cultura d’origine e chi vuole occidentalizzarsi e italianizzarsi». Una scelta di attrazione o meno che «dipende spesso dalle comunità di provenienza». In questo contesto, a muoversi in un’ottica di avvicinamento è spesso il «comitato genitori che dà sviluppo alla relazione».

Questo articolo fa parte della serie “Scuole di cittadinanza”, che vuole raccontare come le scuole italiane già educhino quotidianamente tutti i ragazzi e le ragazze ad essere cittadini: un percorso già reale, che merita di essere formalmente riconosciuto dallo Ius Scholae. Leggi anche:
Cinque ragioni per approvare subito lo Ius Scholae;
Scuole di cittadinanza: dove lo Ius Scholae esiste già;
Piacenza, un’orchestra per diventare cittadini.

In apertura e nel testo foto dell’Istituto comprensivo statale Francesco Cappelli

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