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L’oratorio? Una cosa in carne ed ossa

Nella diocesi di Milano sono quasi 240mila i ragazzi che varcano i cancelli regolarmente.Quasi il triplo lo fa saltuariamente. Segno di un fenomeno tutt’altro che in declino.

di Stefano Biraghi

La mia parrocchia sta sulla strada. Non una via nascosta, laterale che per raggiungerla devi infilarti tra vicoli, marciapiedi, cacche di cane e auto in sosta. La mia parrocchia si affaccia su un corso pieno di negozi, una delle principali arterie del traffico cittadino, nel cuore borghese e, al tempo stesso, popolare, di una metropoli soffocata dalle macchine e dallo stress com?è oggi Milano. Se butti un occhio accanto alla chiesa riesci a intravederlo: quello è il mio oratorio. Per la verità, a guardarlo non è un granché; gli spazi esterni sono quelli che sono: un misero campetto di calcetto e due canestri per il basket. Per gli interni siamo messi un po? meglio: abbiamo un cine-teatro, una palestra, un bar, una piccola biblioteca molto frequentata dagli studenti universitari della zona e tanti altri spazi ricavati nei sotterranei della chiesa e nel complesso architettonico parrocchiale che abbraccia quasi interamente il perimetro dell?oratorio. In fondo, però, tutto questo è poca cosa per una città come Milano che, almeno in apparenza, offre tutto. Un po? di numeri Qualche anno fa, per rendere l?ambiente dell?oratorio più accogliente, abbiamo dipinto le pareti che lo circondano con grandi murales: anche la gente che passava distrattamente sui marciapiedi del corso non poteva non accorgersi di tutti quei colori! Da allora lo abbiamo chiamato il ?cortile dei sogni? e, sebbene chi, entrandoci per la prima volta, non può far altro che pensare che, tra quelle povere mura, i nostri sogni sono veramente piccole cose, noi sappiamo, invece, che questo spazio e i sogni delle persone che lo vivono e lo fanno vivere ogni giorno sono una cosa importante per la nostra vita. E, proprio attraverso le nostre vite, questi sogni possono uscire dalle quattro mura di cortile e incontrare, nel quotidiano, persone e ambienti che con il mondo dell?oratorio hanno poco a che fare. Una recente ricerca presentata in diocesi a Milano ha evidenziato, a proposito delle dimensioni del ?fenomeno oratori?, alcuni numeri che non possono essere sottovalutati. Su una popolazione giovanile di 1.376.000 ragazzi (da 6 a 30 anni), 238mila partecipano regolarmente alla vita degli oratori ambrosiani e quasi il triplo li frequenta sporadicamente. Che quella degli oratori, soprattutto nel Nord Italia, non sia soltanto un?antica e benemerita tradizione, sembrano essersene accorti anche i media. Sempre più spesso l?oratorio fa notizia; non è raro imbattersi in articoli e trasmissioni che, direttamente o indirettamente, parlano dei ragazzi e dei sacerdoti impegnati nella vita oratoriale. In una società che fatica a mettersi in gioco, ad accettare un cambiamento che vada oltre la forma, l?oratorio è uno dei pochi ?cantiere educativi aperti?; ha un volto missionario quotidiano e urbano, in cerca di idee e nuovi modi per coinvolgere, parlare ai giovani e aiutarli a crescere. Non è di cemento D?altronde nelle moderne città a misura di consumo sono rari e preziosi gli spazi gratuiti per l?amicizia e l?aggregazione e, con un po? di ritardo, anche le istituzioni pubbliche stanno aprendo gli occhi sul ruolo fondamentale di queste vere e proprie ?oasi urbane? di educazione civile. In ogni caso, i numeri, l?attenzione istituzionale e la ritrovata visibilità degli oratori non ci dicono ancora abbastanza della loro identità e poco ci rivelano anche del progetto educativo che li sostiene. Per parlare di questo senza cadere nella retorica delle definizioni che si danno nei documenti ecclesiali, devo tornare alle quattro mura del mio oratorio. L?oratorio non è fatto di strutture e cemento, l?oratorio è fatto di persone e incontri. Come quello che io ho fatto tanti anni fa con un ragazzo che mi ha chiesto: “Perché non vieni – qualche volta, se ti va – a fare due chiacchiere e due tiri a calcio in oratorio?”. Quel ragazzo oggi è diventato sacerdote e io, alla soglia dei trent?anni, nonostante sia quotidianamente diviso tra gli impegni di lavoro e la fatica di costruirmi una vita indipendente, di scendere in oratorio non ho più smesso. Per quanto riguarda i due tiri a calcio, in verità, ho quasi del tutto appeso le scarpette al chiodo, ma il piacere di parlare, incontrare persone, fare progetti, condividere esperienze e valori, crescere come uomo – nella responsabilità e nell?educazione dei ragazzi più giovani – all?interno dell?oratorio, tutto questo non l?ho mai perso. Una regola alla libertà Si fa presto a passare dai quindici ai trent?anni, si fa presto a perdere i capelli, com?è successo a me, a cambiare di aspetto e anche l?oratorio oggi ha un volto nuovo. L?oratorio è profondamente legato al tessuto urbano in cui si inserisce e, soprattutto dal punto di vista sociale, le città sono radicalmente cambiate negli ultimi decenni; oggi, i ragazzi dell?oratorio, specialmente quelli più giovani, sono specchio di una società multietnica e prodotto confuso di una quotidianità che cambia troppo rapidamente. Non è una questione che si può liquidare semplicemente osservando che gli oratori sono, insieme alla scuola, i luoghi della faticosa integrazione delle giovani generazioni di immigrati – spesso anche di fede non cristiana – con i loro coetanei italiani. è il contesto in cui crescono tutti i ragazzi, senza distinzione di pelle o credo, a essere cambiato. Sono mutati gli equilibri familiari; le famiglie di questi ragazzi sono assai diverse dalle quelle che hanno cresciuto la mia generazione. C?è più libertà nella vita degli adolescenti, molti più soldi nei loro portafogli. Ci sono, però, anche meno riferimenti di valore e minore è la presenza di adulti che possano farsi esempio; per molti ragazzi la libertà è priva di ?regole d?uso? e, pertanto, è libertà solo sulla carta, perché non è consapevole. è cresciuta l?informazione nei confronti delle cose della vita – a volte m?imbarazzo a pensare a quanto fossi più ingenuo io alla loro età – ma non il senso di responsabilità rispetto alle proprie azioni. Insomma, il mondo giovanile presenta oggi numerose problematiche complesse ma, nel tentativo di gestire in sé questa complessità, elabora un sorprendente patrimonio di energie positive nei confronti del futuro. Come disse don Milani è un oratorio in cammino quello di oggi; sempre più destinato a fare da ponte tra la strada e la Chiesa, per cercare di rispondere con le parole del Vangelo alle domande di senso che tanti giovani si fanno sulla loro vita e, tanto spesso, rimangono senza risposta. Non è un?isola incantata e felice, staccata dalla complessità della vita sociale e familiare di oggi; l?oratorio ogni giorno si scontra con i problemi delle nuove generazioni ma, incontrandole e sognando insieme a loro, attinge a quell?immenso potenziale di bene di cui parla il Papa riferendosi alle sfide rivoluzionarie, culturali e spirituali, che hanno in mano le nuove generazioni. Parlando ai ragazzi del mio oratorio, uno degli slogan che utilizziamo più spesso è “l?oratorio siamo noi”. In questa frase, forse banale nella sua semplicità, si nasconde però tutto quello che ci sta a cuore: l?oratorio come luogo, ambito, strumento, comunità ma anche lab-oratorio dove è possibile fare, inventare, proporre, aprirsi agli altri, accogliere, condividere. Accettare di essere parte di un oratorio significa accettare che tutto e tutti ti stiano a cuore: “I care”, come scriveva ai suoi ragazzi don Milani sulla lavagna di Barbiana. Questo è lo stile dell?oratorio e, ve lo posso testimoniare, negli anni non è mai cambiato. È lo stile di chi accetta di stare sulla strada con gli occhi e il cuore aperto agli altri, disposto a camminare in qualsiasi direzione ma senza mai lasciarsi trasportare dalla folla.


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