Diritto alla salute
Medici e infermieri assaliti, il caso di Foggia. E una domanda per tutti
Il pronto soccorso del Policlinico Riuniti del capoluogo pugliese è stato il teatro dell’ennesima aggressione verso operatori sanitari. A scatenarla, il decesso di una giovane di 23 anni durante un intervento d’urgenza. Si indaga sugli aggressori e sulle eventuali responsabilità dei dottori. Ma il susseguirsi delle violenze verso chi cura è un segnale d’allarme che travalica il singolo caso
A Foggia si è verificato l’ennesimo caso di violenza ai danni del personale sanitario. A seguito del decesso in ospedale di una ragazza di 23 anni, Natasha Pugliese, un gruppo di familiari ha invaso l’ospedale e si è scagliato contro medici e infermieri, constringendone un gruppo a barricarsi in una stanza. La drammatica notizia è riuscita a farsi largo tra il gossip che ha infestato le cronache nazionali di questi giorni, mettendo in rilievo un allarme sociale da comprendere e su cui occorre intervenire. Merito anche di medici “mediaticamente” esposti come l’infettivologo Matteo Bassetti che ha postato sul suo canale il video degli operatori sanitari in trappola. Ma anche delle istituzioni di rappresentanza dei medici: «Chiediamo che il Parlamento valuti di estendere l’arresto differito in flagranza anche per le situazioni di aggressione nei confronti dei sanitari. Chiediamo che le strutture ospedaliere, le strutture sanitarie siano video-vigilate in modo tale da applicare agli aggressori le pene previste dalla legge», ha dichiarato a caldo Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi.
La fiducia che non c’è
La questione merita dunque di essere affrontata a più livelli. A cominciare, naturalmente, dalla gestione di questa emergenza: «Questo nuovo grave episodio di violenza come i tanti altri riportati in tutta Italia, richiama l’attenzione sul tema del rapporto di fiducia fra sanitari e pazienti o familiari e della umanizzazione delle cure: sono necessarie misure specifiche per tutelare il personale che opera negli ospedali, nelle Aziende sanitarie locali, e in tutti i luoghi in cui si erogano servizi socio-sanitari, per permettere loro di lavorare in condizioni di sicurezza e serenità e per garantire ai cittadini tutti i servizi di cui hanno bisogno. Sulla vicenda specifica di Foggia, aspettiamo gli esiti della doppia indagine, quella sui fatti di violenza subiti dai professionisti sanitari, e quella interna per valutare il percorso di assistenza alla giovane ragazza deceduta a seguito dell’intervento chirurgico. Un intreccio di situazioni pesanti che ci lasciano veramente sconvolti e sui quali speriamo si faccia presto chiarezza», ha commentato Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
Emergenza locale e nazionale
La notizia di questo episodio sta scuotendo molto la comunità pugliese, perché porta alla ribalta nazionale la difficoltà di una realtà sanitaria locale (cosa che evidentemente non riguarda solo la Puglia) in crisi: «Quotidianamente il super lavoro degli operatori sanitari che fronteggiano carenze e difficoltà varie, si confronta – e somma i suoi effetti – con l’esasperazione dei cittadini alle prese con liste d’attesa infinite, servizi mancanti o ridotti e i costi per curarsi. Vogliamo lanciare un appello, perché c’è anche un effetto collaterale che genera ulteriore difficoltà nell’erogazione dei servizi: i medici che, giustamente, non si sentono sicuri nel loro ambiente di lavoro, appena possono, si trasferiscono da altre parti. Bisogna subito intervenire insieme prima che gli ospedali locali si svuotino: il mondo del volontariato e delle istituzioni devono lavorare insieme per mettere in atto iniziative per garantire un servizio pubblico di qualità», ha aggiunto Matteo Valentino, segretario di Cittadinanzattiva per la Puglia.
Un tabù che soffoca
Ma il ripetersi di situazioni come questa porta con sé degli interrogativi ulteriori. Che riguardano la tenuta del nostro tessuto sociale. È un livello della riflessione che – lo ribadiamo con forza – esula dal caso specifico, sul quale le indagini dovranno doverosamente fare chiarezza. Anzi proprio la tempestività nelle risposte sul singolo caso sarà d’aiuto. Occorre però il coraggio di guardare a questi episodi nel loro insieme per chiedersi se non ci lancino un messaggio. Questi fatti sempre più frequenti che toccano il mistero del dolore e dell’esistenza – in particolare della sua fine – non ci dicono forse che abbiamo eliminato dal nostro orizzonte la possibilità (qualcuno direbbe pensabilità) della morte? Perché se il tema della morte viene storpriato o censurato fino a diventare un tabù non ci si può più stupire ogni volta se al suo verificarsi in modo dirompente tutto diventa totalmente ingestibile. Chi oggi può affermare che si può anche morire senza passare per un “menagramo” (nello stile della gag di Troisi in Non ci resta che piangere) o senza essere medicalizzato? L’ira incontrollata rivolta sempre più spesso contro chi, ad esempio medici e operatori sanitari, ha a che fare tutti i giorni con la vita vera, e dunque anche con la morte, è una spia accesa sul nostro presente.
Foto di apertura: tre frame dal video girato da uno degli operatori sanitari oggetto dell’aggressione a Foggia
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