Mondo

Le ong a mani nude, allerta massima

Anche l’umanitario misura il livello di pericolo. Ora sull’Iraq è scattato codice rosso. Così tutti hanno lasciato il territorio.

di Carlotta Jesi

George W. Bush non è l?unico a misurare il livello di allarme terrorismo con un semaforo della sicurezza che sfuma dal verde, allerta normale, al rosso, allerta massima. Si regolano così anche le organizzazioni non governative di stanza in Iraq. Da settimane, ormai, per loro è scattato il codice rosso: evacuazione. “Anche se l?esistenza di un piano non garantisce la fuga, come è successo in Iraq: il ministero voleva essere informato sull?evacuazione ma non aveva aerei a disposizione”, racconta Davide Martina, del Coopi, che per i suoi cooperanti ha attivato procedure aggiuntive di sicurezza. “Dalle attrezzature satellitari con cui comunicare sempre la propria posizione alle scorte di generi alimentari in caso di una permanenza forzata in casa”.
Dettagli, viene da dire scorrendo l?elenco degli operatori umanitari che sono finiti ostaggio dei guerriglieri: in una sola settimana, dal 10 al 16 aprile, è toccato a due giapponesi, a un canadese e a un volontario iracheno della Mezzaluna Rossa. Dettagli, sembrano, rispetto al grande tema emerso in questi giorni: farsi proteggere da una scorta armata oppure no?
Da Amman, dove hanno trasferito il personale espatriato gran parte delle ong impegnate in Iraq, dal Cesvi a Oxfam passando per Terre des hommes e Care, la risposta è una sola: no. La sicurezza dei cooperanti dipende da molti fattori, e comincia ben prima di partire in missione. “Sui formulari inviati all?Unione europea per farci finanziare i progetti dobbiamo indicare le misure di sicurezza adottate e i corsi che facciamo al personale prima della stesura del contratto”, spiega Donatella Vergari, segretario generale di Terre des hommes.

L?Afghanistan insegna
Informazioni di base alle quali, a Medici senza frontiere, aggiungono un protocollo di sicurezza per ogni Paese. “Rivelare quello iracheno sarebbe troppo pericoloso per il nostro personale locale ed espatriato”, confida Sergio Cecchini. Ma le cinque regole che la sua associazione impone ai cooperanti di stanza in un Paese africano appena uscito dalla guerra civile aiutano a capire come ci si protegge in missione: non guidare e avere sempre un autista o un interprete locale; non trasportare o accogliere persone armate; rispettare il coprifuoco; comunicare sempre la propria posizione via radio; non accettare mai la protezione dei militari.
“Più stiamo lontani dagli eserciti, più sicuri siamo”, confermano a Intersos, dove la protezione si costruisce acquistando credito con la popolazione locale. E mantenendo un basso profilo, altra regola fondamentale delle ong di stanza nel Golfo: pochi soldi, evitare gilet multitasche, divise mimetiche e auto vistose. Registrarsi come residenti nel Paese presso l?ambasciata italiana o la rappresentanza dell?Unione europea .
A livello internazionale, dovrebbero pensarci le leggi a proteggerli. Dalla risoluzione dell?Onu che considera i crimini contro il personale umanitario alla stregua di crimini contro l?umanità fino alla legge sulla punibilità delle violenze contro i militari all?estero che si sta ridiscutendo in Parlamento e che finora ha snobbato i 3mila cooperanti del nostro Paese in missione nel mondo. Dovrebbero, dicevamo, ma l?Iraq ha mostrato che non ce la fanno. Come già successo in Afghanistan: Paese nel quale, secondo l?Onu, oggi operano con cooperanti espatriati meno di cinque organizzazioni non governative. Delle oltre 50 sigle che volevano rimettere in piedi il Paese dei talebani, rimangono solo le rotte di evacuazione.

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