Scuole di cittadinanza
Piacenza, un’orchestra per diventare cittadini
Piacenza è la seconda città d'Italia per numero di studenti con cittadinanza non italiana. Nella formazione delle classi, è un dato di cui non tengono più conto. Orchestra, classi aperte, responsabilizzazione dei ragazzi come rappresentanti di classe e nei progetti con il Comune: dalla primaria al liceo passando per i professionali, ecco la ricetta di Simona Favari
di Alessio Nisi
Lo Ius Scholae? «Basta osservare la realtà. È veramente molto sconfortante vedere come in alcuni aspetti il nostro Paese sia rimasto tanto indietro. L’aspetto giuridico dovrebbe accompagnare il progresso della società e non ostacolarlo». A Piacenza la dirigente scolastica Simona Favari è impegnata (e non da oggi) in percorsi di cittadinanza e di inclusione per gli studenti non italiani. Un duplice campo di azione, frutto di un doppio osservatorio. Favari è dirigente scolastica del Quarto circolo didattico e del Polo scolastico Volta: i piccoli e i grandi.
I numeri sono questi. «Il Quarto circolo didattico (57 classi tra sezione dell’infanzia e primaria, 1.350 bambini)», spiega, «è un circolo che si trova nei quartieri della periferia di Piacenza, città che dopo Prato è al secondo posto in Italia per numero di studenti con cittadinanza non italiana. Nel mio circolo didattico superiamo il 60% e in tutte le scuole della città siamo oltre il 20%». Il Volta è un universo dove abitano «i licei, tutti gli indirizzi, i tecnici e i professionali. Qui», precisa, «la presenza di alunni non italiani è polarizzata. I primi sono a prevalente presenza di studenti italiani, negli altri accade il contrario».
Cittadinanza e consapevolezza
Se da una parte, come sottolinea Favari, «la scuola è di per sé un laboratorio di integrazione», dall’altra sono tante le differenze tra grandi e piccoli, soprattutto in termini di consapevolezza sul tema. La cittadinanza, chiarisce, è un elemento che i più piccoli non percepiscono. «Nel momento della crescita invece è un qualcosa che scava dentro alle persone».
Noi chiediamo ai più grandi «di impegnarsi e di partecipare» e li «coinvolgiamo in progetti, insistendo molto sull’idea del contribuire al miglioramento della società». Gli chiediamo di «dare prova di cittadinanza (molti fanno parte del gruppo comunale per lo sviluppo il nuovo piano regolatore, altri stanno nel gruppo che lavora per favorire la partecipazione degli anziani allo sportello della Casa della Salute). Ecco, «tutto questo stride con il fatto che arrivati a 18 anni non possono votare alle elezioni amministrative comunali e va in contrapposizione con quello che noi raccontiamo, vanificando il lavoro fatto a scuola».
Cittadini nel Quarto circolo didattico
Nel Quarto circolo didattico il percorsi di integrazione comincia per i bambini ancora prima che questi siedano sui banchi. «Da anni, per garantire equità e pari opportunità di apprendimento a tutti all’interno delle scuole, soprattutto delle scuole dell’obbligo, la formazione delle classi avviene secondo un criterio di equieterogeneità», spiega Favari. Un approccio che ad esempio tiene in considerazione un equo numero dei maschi e femmine, di alunni con bisogni educativi speciali, di situazioni di disagio, di bambini con difficoltà linguistiche. «Ecco», precisa, a proposito della formazione delle classi, «noi da molti anni non utilizziamo più il dato della cittadinanza, perché ormai non corrisponde alla realtà».
Aggiunge la dirigente scolastica: «Da una decina di anni nel mio circolo didattico formiamo le classi dopo le prime due settimane di scuola, un periodo che è per noi di osservazione dei bambini». Questo approccio, chiamato “viaggio in prima classe”, consente di «osservare davvero la realtà». Una realtà composta da bimbi con nomi stranieri che arrivano spesso «già alfabetizzati».
Come funziona “Viaggio in prima classe”
Il modello prevede un periodo di due settimane di accoglienza in cui i bambini ruotano in piccoli gruppi all’interno di laboratori gestiti in compresenza da due insegnanti (uno gestisce l’attività e uno osserva i bambini). Durante le due settimane di accoglienza i gruppi vengono via via modificati dai docenti sulla scorta delle osservazioni raccolte, finché si arriva alla costituzione definitiva dei gruppi classe il più possibile equieterogenei, a cui vengono poi abbinati per sorteggio i team docenti.
«In questo modo osserviamo davvero sul campo le dinamiche relazionali e le condizioni che consentono poi di formare dei gruppi che siano davvero appunto ben formati, per poi consentire nel migliore dei modi lo sviluppo nei cinque anni successivi».
Classi aperte anche durante l’anno. Il gruppo classe, entra nel dettaglio sempre Favari, «è una vera comunità e un gruppo classe ben formato è fondamentale per garantire poi il benessere di tutti. Ci prendiamo queste settimane di tempo e le condividiamo con le famiglie. Manteniamo poi questa modalità di lavorare per classi aperte e per gruppi durante l’anno. Non solo. Durante la settimana, abbiamo momenti in cui le classi si aprono e vengono formati gruppetti a seconda dei bisogni», perché magari arrivano altri bambini nel corso dell’anno scolastico.
Questo approccio aperto e soprattutto il lavoro con piccoli gruppi da una parte permette di facilitare il lavoro dei mediatori culturali e delle insegnanti che svolgono progetti di alfabetizzazione, dall’altro favorisce la la socializzazione l’inclusione. «Senza dimenticare», rimarca, «il bisogno del singolo di avere delle attività di alfabetizzazione mirata».
Mancano le risorse. In un contesto di questo tipo, una delle criticità è costituita dalla mancanza di risorse. «Avremmo bisogno di personale aggiuntivo in grado di sostenere questo modello». Un organico speciale, spiega Favari, che «al momento però nel nostro ordinamento non esiste», un tema che meriterebbe una riflessione, dato un «un così alto numero di bambini che provengono dall’estero».
La musica, strumento di inclusione
Dal Venezuela e dall’esperienza del maestro José Antonio Abreu, la musica come strumento di inclusione e integrazione è al centro poi di “Dalla classe all’orchestra”, progetto nato nel 2013 alla scuola caduti sul lavoro del Quarto circolo didattico, grazie anche al sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano. «Siamo partiti con tre classi e 60 bambini, inserendo lo studio del violino del violoncello in orario scolastico per 3 ore settimanali: abbiamo notato la forza incredibile della musica come strumento per ascoltare l’altro».
L’iniziativa è talmente cresciuta «che è diventata da 2 anni un progetto di rete che coinvolge otto istituzioni scolastiche della città e della provincia e 400 bambini. Il cuore del progetto», spiega, «è diventata l’orchestra Cinquequarti, anzi le due orchestre, una si chiama Cinquequarti Abreu e l’altra Cinquequarti Abbado e sono composte da più di 100 bambini, provenienti da 20 nazionalità».
Non solo inclusione nella scuola, ma anche fuori. «Il sabato mattina apriamo la scuola ai bambini e ai ragazzi che arrivano anche dalla provincia», per i laboratori. «Notiamo nei partecipanti che hanno delle difficoltà, anche di tipo linguistico, un miglioramento straordinario». L’approccio, è chiaro, non è quello di un conservatorio, né puramente ludico. «Diamo subito uno strumento musicale in mano ai bambini. Si parte quindi da un percorso esperienziale e si arriva alla padronanza tecnica solo in un secondo momento. Questo consente di sostenere la motivazione e l’interesse, perché la musica tocca la persona dal punto di vista emotivo».
Armonizzarsi con l’altro. E l’inclusione? Il lavoro di orchestra «è straordinario perché comporta collaborazione e un adattamento reciproco», perché il prodotto finale deve essere comune e armonico. «L’orchestra è un grandissimo laboratorio di cittadinanza perché io devo ascoltare l’altro, devo armonizzarmi con l’altro e nell’ascolto reciproco costruisco la musica». Tutto questo, in un quadro di ruoli e di responsabilità diverse «in cui i singoli sono protagonisti» e in cui hanno un ruolo anche le famiglie. «Per supportare l’orchestra scorso anno è nata anche un’associazione dei genitori, Cinquequarti appunto».
Un contesto portatore di inclusione
Al di là delle singole e pur importanti iniziative, quello che emerge è un contesto di lavoro che negli anni si è sviluppato come portatore di inclusione, frutto dell’impegno profuso in questa direzione. «Il manifesto educativo del Quarto circolo si fonda su questi principi: equità, ecologia, benessere e cura. Il benessere dei bambini è uno degli indici a riprova del funzionamento dei processi di inclusione. «Facciamo molta attenzione allo sviluppo socio emotivo. La dimensione delle emozioni è fondamentale, come lo è insegnare ai bambini a costruire dei momenti e degli spazi in cui i possono manifestarle». Un lavoro che ha portato la scuola «ad essere capofila di una rete di innovazione didattica che si chiama “scuole che costruiscono” e in cui è massima l’attenzione «alla socializzazione degli stati emotivi» e alla loro armonizzazione.
Le famiglie e i pericoli delle tecnologie. È chiaro, non è un percorso lineare e in cui sono assenti le criticità. «Notiamo sempre la difficoltà delle famiglie a sostenere il processo educativo dei bambini. I problemi più grandi che noi riscontriamo», spiega Favari, «sono problemi che si generano al di fuori della scuola», ma che poi nella scuola finisco per esplodere. Favari nel dettaglio parla della «difficoltà di avere corrette relazioni con l’altro e di riconoscere nell’altro qualcuno uguale a me». Per la dirigente scolastica poi «c’è il grande problema dei pericoli legati alle tecnologie, di cui spesso i genitori non sono consapevoli».
I ragazzi del Volta
Dai bambini della Quarto circolo didattico ai grandi del Polo Volta cambia l’orizzonte, cambiano gli strumenti di inclusione, ma l’obiettivo resta lo stesso: formare cittadini italiani consapevoli. Con un elemento in più però l’avvicinarsi della maggiore età e con il percorso di cittadinanza che raggiunge la maturità, ma che non viene però certificato, «un passaggio», spiega Favari, «che spiazza, genera sentimenti di frustrazione e risentimento».
La polarizzazione si diceva, da una parte i ragazzi dei licei, dall’altra i tecnici e i professionali con un’alta presenza di studenti non italiani. «Per evitare che la polarizzazione si trasformi in “segregazione sociale” tendiamo a mescolare nei corridoi, anche grazie alla struttura del Polo, classi dell’istituto professionale con classe del liceo». Questo, precisa Favari, «è un modo per costruire percorsi di cittadinanza. Certo, non è sufficiente». Dobbiamo rendere «protagonisti e responsabili i ragazzi, dando loro spazi di autonomia. Per questo prestiamo molta attenzione alle elezioni dei rappresentanti degli studenti e al ruolo del ragazzi nel governo della scuola».
I progetti trasversali. Un’altro capitolo dei percorsi di cittadinanza messi in campo al Polo Volta riguarda i progetti trasversali, quelli che la scuola mette in piedi con soggetti esterni (enti locali e Terzo settore) e che vanno dall’allestimento di un giardino alla realizzazione di un cortometraggio. «La linea che abbiamo adottato è di non far partecipare al progetto la classe del liceo o la classe del professionale, ma di offrirlo a gruppi eterogenei di studenti che provengono da classi diverse».
In apertura e nel testo le foto dell’Orchestra Cinquequarti sono di Armando e Genesis Gomez. Nel testo la foto di Simona Favari è di Simona Favari
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