Il caso
Danni alla cooperativa sociale Ciarapanì. Don Giacomo Panizza: «I mandanti? Non sono certo i rom»
Ancora un attacco alle rete di Comunità Progetto Sud. Questa volta a essere presa di mira è stata la cooperativa sociale Ciarapanì, della quale fanno parte anche cittadini rom del campo limitrofo all’ospedale di Lamezia Terme. Un danno complessivo di 45mila euro, secondo il pregiudizio comune attribuibile a chi abita il campo. Per don Giacomo Panizza, fondatore della Comunità “Progetto Sud”: «Perché mai avrebbero dovuto danneggiare gli altri rom lavoranti? Forse bisogna guardare altrove»
Un furto di 300 euro, ma un danno complessivo di 45mila euro per le costose apparecchiature distrutte e sparse per terra che segnano il percorso che dal parcheggio, gestito nell’Ospedale di Lamezia Terme, va verso il limitrofo campo rom di Scordovillo. È la brutta sorpresa che ha accolto questa mattina gli operatori della cooperativa sociale “Ciarapanì”, ente della rete di Comunità Progetto Sud, della quale fanno parte anche cittadini rom.
Forse anche per questo, nonostante sia difficile da credere che tutto venga dall’interno della comunità, si è subito puntato il dito contro di loro.
«Come i sassolini di Pollicino», commenta Antonio Rocca, presidente della cooperativa sociale Ciarapanì, «le tracce lasciate sono evidenti, spudorate, insinuano istintivamente il pregiudizio che qualcuno del campo rom, da sé o insieme ad altri, possa aver procurato questi ingenti danni come avviene da tempo a Lamezia Terme e Catanzaro, a Gioia Tauro e Reggio Calabria e anche altrove».
Dire che i rom avrebbero recato danno ad altri rom della cooperativa è come dire che analoga cosa viene fatta da alcuni lametini o calabresi o italiani ai loro stessi concittadini da altri lametini, calabresi e italiani
Don Giacomo Panizza, fondatore della Comunità Progetto Sud
Quanto di più semplice e scontato si possa pensare e dire, accusando chi, vivendo in condizioni di precarietà, è considerato proteso, perchè presumibilmente nel suo Dna, verso attività criminose. Eppure questa realtà, negli anni ,si è attestata nel territorio come realta che ha portato benefici alla comunità.
Cooperativa sociale di tipo B, infatti, Ciarapanì è impegnata dal 1997 a migliorare la società attraverso la crescita culturale e l’inclusione lavorativa di persone svantaggiate. Fin dalla nascita, ha puntato a creare occupazione in Calabria per restituire dignità lavorativa ai cittadini. A farne parte cittadini italiani e appartenenti alla comunità rom.
“La tenda che protegge dalla bufera” la traduzione italiana di Ciarapanì
«Fu nel 1981 che una bufera portò via le tende sotto le quali vivevano i rom», racconta don Giacomo Panizza. «Parliamo di una comunità della quale facevano parte coloro che erano arrivati dopo il crollo del muro di Berlino. Si decise di costruire un recinto attorno a loro, diciamo per proteggerli, ma qualche anno dopo sorse l’ospedale e, da allora, la convivenza divenne difficile. Noi li abbiamo seguiti, aiutati a studiare a crearsi un lavoro. La cooperativa ha voluto essere questa occasione».
Perchè, quindi, affermare che quanto accaduto sia opera loro?
Ovviamente le indagini sono ancora in corso ma, nelle prime battute, si è capito che il lavoro è stato fatto da persone con una certa esperienza. Hanno, per esempio, tolto la corrente e rubato i fili che collegavano il parcheggio dell’ospedale che la cooperativa gestisce, spegnendo anche i fari. Che ci possano essere stati anche dei rom è possibile, ma i mandandi sono sicuramente altri.
Don Giacomo Panizza, si parla di sfregio, di un avvertimento?
Come quando ci hanno bruciato i campi o colpiti in altra maniera. Accade un paio di voilta all’anno, ma noi andiamo avanti. Quello che, però, mi chiedo è, se il pregiudizio risultasse giudizio veritiero, perché alcuni rom avrebbero recato così tanto danno ad altri rom lavoranti della cooperativa sociale? Potrebbe magari trattarsi di una banda criminale mista, di vari gruppi e provenienze, per come avviene nello smaltimento abusivo di pneumatici e di rifiuti inquinanti. Aldilà di chi è responsabile, però, quello che forse non si comprende sino in fondo è che tali crimini indeboliscono le economie delle nostre associazioni e cooperative sociali, ma non ancora l’intenzione di vivere il presente e il futuro del nostro Sud.
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