Sostenibilità

Ai Comuni mano libera

Dal 1° maggio, gli enti locali possono intervenire sui piani delle aree protette. Con gravi conseguenze sulle scelte.

di Redazione

Entrato in vigore il 1° maggio, il nuovo Codice dei beni culturali, attacca i parchi. Estende infatti l?obbligo di conformare e adeguare gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica a quanto previsto dal piano paesaggistico agli “enti gestori delle aree naturali protette”. Questa disposizione modifica un fondamentale articolo delle legge quadro sulle aree protette (l?art. 12, comma 7, della legge 394/91) secondo cui il piano del parco “sostituisce a ogni livello i piani paesaggistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione”. Non si tratta di stabilire se i piani dei parchi siano più o meno importanti di quelli paesaggistici. Non si tratta di stabilire se la conservazione della natura, dei processi biologici e degli habitat risponda a un interesse pubblico maggiore o minore rispetto alla conservazione dei valori paesaggistici. Si tratta di affrontare un problema di competenze. Paesaggio batte parco Pensiamo, per esempio, al caso dei parchi nazionali. Modificare il piano di un parco nazionale sulla base di un piano paesaggistico significa dare alla Regione e agli enti locali la pianificazione diretta di un territorio i cui valori ambientali sono di un livello tale da essere stati riconosciuti d?interesse nazionale. Speriamo che il problema venga risolto nell?ambito delle modifiche che il governo potrà apportare al testo del Codice entro due anni dalla sua entrata il vigore. Codice che, attualmente, neppure dispone (come sarebbe stato logico fare) che si debbano ritenere prevalenti le disposizioni che offrono maggiori garanzie di tutela. In questo senso, se anche all?interno dei parchi si fosse voluto mantenere distinto il piano del parco da quello paesaggistico, sarebbe stato auspicabile che questi si modificassero reciprocamente, applicando per i vari ambiti territoriali le norme di maggiore salvaguardia. Proprio per affermare il principio costituzionale dell?integrità ambientale che va salvaguardata nella sua interezza (Corte Costituzionale, sentenza n. 67/192), questo sarebbe stato facilmente sostenibile se si pensa che le competenze che portano alla redazione dei due diversi piani possono essere anche sensibilmente diverse e, quindi, integrare la tutela degli aspetti paesaggistici con fondamentali aspetti relativi alla tutela degli aspetti naturalistici. La rottura di un argine Alla luce della situazione alla quale sino ad oggi abbiamo assistito, si rompe quell?argine che comunque i parchi avevano rappresentato rispetto alle iniziative degli enti locali: oggi questi ultimi, potendo direttamente influenzare i piani paesaggistici, possono seppur indirettamente intervenire nei piani del parco. è pur vero che, all?interno del comma 4 dell?art. 145 del nuovo Codice, si dice che gli enti parco adeguano la propria pianificazione a quella paesaggistica “introducendo, ove necessario, le ulteriori previsioni conformative che, alla luce delle caratteristiche specifiche del territorio, risultino utili ad assicurare l?ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani”, ma è altrettanto vero che questa disposizione si presta a interpretazioni controverse. Innanzitutto, va chiarito cosa si intenda con l?espressione “ove necessario” ed è chiaro che questo significa da un lato “ove i piani sono difformi”, da un altro potrebbe voler dire che prevalgono le disposizioni dei piani “ove queste sono maggiormente adeguate alla tutela dei valori paesaggistici”. L?impatto sulle aree protette Nel caso delle aree protette, la questione è di assoluto rilievo poiché si potrebbe in teoria avere uno stesso territorio protetto con due disposizioni aventi livelli di tutela differenti. Vista con gli occhi di un privato che deve chiedere un?autorizzazione la questione appare ancor più grave e complessa. Il Codice infatti, prevedendo una supremazia dei piani paesaggistici rispetto a quelli del parco, crea poi una preoccupante anomalia nel processo autorizzativo. I territori del parco sarebbero normati da due piani diversi, il piano paesaggistico e il piano del parco a questo conforme. Largo alle Regioni Di fatto, quindi, per gli aspetti paesaggistici, le disposizioni di riferimento dovrebbero essere le stesse. Ebbene, mentre oggi gli enti parco hanno pieno titolo per esprimersi in modo obbligatorio e vincolante rispetto alle richieste di autorizzazione avanzate dai privati, con il nuovo Codice sono le Regioni (e quindi i Comuni) che si esprimeranno rispetto a queste e sono sempre le Regioni (cioè i Comuni delegati) a trasmettere agli enti parco le autorizzazioni paesaggistiche, che possono essere rilasciate senza che queste sentano l?ente parco il quale viene così sostanzialmente svuotato di una sua fondamentale funzione di governo del territorio. A nostro parere, comunque, non si può sostenere che gli enti parco vengano in toto esautorati di una competenza diretta rispetto ai propri piani che, pur adeguati ai piani paesaggistici, rimangono piani del parco. Pertanto i cittadini residenti nei parchi di una Regione, a fronte dello stesso piano paesaggistico regionale (che è di riferimento anche per i cittadini residenti al di fuori dei parchi), si troverebbero penalizzati poiché dovranno chiedere l?autorizzazione oltre che agli enti a questo preposti, anche all?ente parco che, peraltro, non è responsabile della redazione del piano paesaggistico. E figuriamoci se l?ente parco dovesse esprime parere difforme da quello degli enti locali. Se questa disposizione non dovesse venire corretta, è facile prevedere notevoli problemi sia in fase applicativa che in quella interpretativa. Va poi rilevato che nel rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche mai gli enti parco vengono coinvolti, neppure per un parere consultivo; a questi dev?essere solo trasmessa per informativa l?autorizzazione paesaggistica dopo che è stata rilasciata. Infine, bisogna dire che, essendo il nuovo Codice per i beni culturali emanato sulla base di una legge delega (la legge n. 137 del 6 luglio 2002, e pertanto il nuovo codice è emanato come decreto legislativo, n. 42 del 22 gennaio 2004), in nessuna parte di questo era stato dato mandato al governo di modificare la legge 341/91 sulle aree protette. Siamodi fronte a un palese eccesso di delega che verrà rilevato anche in sede giudiziaria. Ritornare alla legge quadro Alla luce delle considerazioni chiaramente espresse dalla Corte Costituzionale, noi auspichiamo che questa norma ritorni all?interno delle disposizioni della legge quadro sulle aree protette poiché si era voluto esplicitamente attribuire agli enti parco un potere di programmazione del territorio che, per le aree di loro competenza, fosse sovraordinato. La procedura di approvazione dei piani dei parchi, inoltre, è complessa e prevede sia forme di concertazione che di osservazione, a favore delle Regioni, degli enti locali, dei cittadini e di tutti i portatori di interessi legittimi. Il piano del parco rappresentava uno strumento che, nella redazione e nel processo applicativo, correttamente esprimeva sia il livello di interessi sia il necessario obbligo di concertazione senza arrivare a una cessione delle responsabilità di tutela.


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