Sostenibilità

Nei liberi territori della natura

Le oasi in italia.Oggi occupano oltre 39mila ettari.Si iniziò comprando i diritti di caccia della laguna di Burano, per permettere ad anatre e folaghe di vivere tranquillamente.

di Redazione

Le oasi del WWF Italia costituiscono non soltanto una rete di aree naturali strappate alla distruzione, al degrado, all?oblio, ma rappresentano un capitolo importante nella storia della conservazione del nostro Paese. Nascono per un atto di sfida e coraggio del primo Consiglio nazionale, appena pochi mesi dopo la fondazione della sede italiana del WWF. La decisione di acquisire i diritti di caccia del Lago di Burano, storica oasi, e quindi dare pace e rispetto alle migliaia di anatre e folaghe che lo frequentavano (e che lo frequentano, sempre di più), era figlia di un approccio alla conservazione della natura allora dominante e necessario: mettere nel cassiere più spazi possibili di territori, senza selezionarne importanza o funzione.
Una scelta, quella di allora, anche sofferta per le casse semivuote del WWF dei primi passi, ma che alla lunga si è dimostrata vincente perché agli occhi dei sostenitori e della gente in genere dava un senso di concretezza che nessun appello, nessuna campagna, nessuna petizione poteva ambire a ottenere altrettanto.

All?inizio fu Burano
Era un?Italia povera di parchi naturali e non c?era quel sostegno diffuso che una trentina d?anni dopo avrebbe portato alla nascita di un sistema di aree protette ai primi posti in Europa, almeno in termini quantitativi. Le oasi del WWF hanno contribuito a creare i presupposti culturali, tecnici, strategici affinché questo processo avvenisse, traducendo in azioni dirette quelli che erano gli obiettivi e le scadenze delle politiche a livello globale sulla tutela della natura.
Burano è stato l?inizio di un percorso. Che non si è esaurito con l?istituzione di nuove oasi, ma con l?affermarsi di una metodologia di gestione che ha promosso e consolidato la tutela attenta e la fruizione di queste aree, la ricerca scientifica, l?azione dimostrativa di attività produttive compatibili, il restauro ambientale dei luoghi più degradati. Si è costruito un sistema, articolato sul territorio e complesso nella sua diversità tipologica, che oggi è parte integrante della rete ufficiale nazionale, ma che allo stesso tempo vuole mantenere quel ruolo autonomo, di innovazione, di modello e laboratorio sulle moderne tecniche e strategie di gestione. Oggi, nel mondo, nonostante sia protetto quasi il 12% della superficie terrestre, è ancora il tempo della corsa contro il tempo per salvare gli ultimi spazi naturali sopravvissuti. Ma è una corsa che deve seguire alcune corsie, intanto quella di selezionare gli ecosistemi più a rischio o ancora poco rappresentati o comunque ancora lontani dalla percentuale minima di tutela ipotizzabile. Qualche esempio: gli ambienti marini, quelli costieri, quelli forestali.
E’ invece tempo di fare un altro passo in avanti. Cioè, verificare l?efficacia e l?efficienza di gestione delle singole aree e il loro ruolo nella rete. Non è soltanto un esercizio amministrativo, comunque importantissimo e necessario – visto che molte aree non funzionano per mancanza di risorse, scarse capacità organizzative, difficoltà operative – ma riguarda l?intero programma di gestione: dobbiamo conoscere quanto e come un?area sta effettivamente contribuendo alla conservazione della biodiversità.
Dal 2003 si sta lavorando alla riclassificazione funzionale del sistema delle oasi del WWF: un processo di verifica che parte da un presupposto fondamentale, cioè la funzione che ogni area deve avere, secondo caratteristiche, struttura, opportunità.

Efficacia ed efficienza
Ci sono le oasi di programma, cioè quelle che rispondono a tutti i requisiti di un?area protetta, ma ci sono anche oasi votate all?educazione o al presidio sul territorio o anche ad essere polo d?aggregazione per altre attività. L?obiettivo è molto chiaro: ogni area deve avere una sua missione funzionale, ma non fine a se stessa. Le aree protette, qualunque esse siano, non devono isolarsi dal contesto territoriale in cui si trovano, ma esserne parte. Se così non fosse, ci sarebbero tante isole di natura in un mare di degrado e squallore e tante oasi in un deserto artificiale e senza vita. Le fondamenta teoriche della biologia della conservazione c?insegnano che utte le specie animali e vegetali hanno una distribuzione disomogenea sul territorio per fattori naturali propri sui quali si inseriscono e interferiscono fattori storici e antropici. Per raggiungere quindi gli obiettivi di conservazione si devono creare reti di contatto, connessione, continuità, tra gli ambienti, in due parole costruire la rete ecologica. In teoria, questa dovrebbe risultare dalla sovrapposizione di tutti gli areali di distribuzione delle specie: il che è impossibile. Occorre quindi declinare la rete sul territorio e fare alcune scelte per aggregazione di ambienti simili, per specie, per elementi del paesaggio. Il compromesso più praticabile è quello di creare una rete ecologica che tenga conto delle esigenze delle specie e quelle della gestione territoriale. Le aree protette sono parte delle reti ecologiche, ne rappresentano spesso l?area critica per una o più specie, sono gli snodi per corridoi e altre forme di connessione.
Dal punto vista gestionale, le reti dovrebbero raccogliere tutti gli spazi che hanno un valore naturalistico per presenza di specie e habitat, oltre ad avere un interesse ambientale, paesaggistico, storico, culturale, in generale. La prima parte dell?obiettivo è in parte compito della cosiddetta Rete Natura 2000 lanciata dalla Comunità europea, cioè l?individuazione di siti d?importanza comunitaria per presenza di specie habitat prioritari e le zone di protezione speciale secondo la direttiva comunitaria sugli uccelli.
Non è con un semplice decreto che si creano reti o connessioni, ma occorrono studi, verifiche, pianificazioni attente del territorio. Intorno a qualsiasi area ci sono centri urbani, industrie, vie di comunicazione che sono ostacoli spesso invalicabili al processo di rete: ma sono sul territorio e dobbiamo tenerne conto, o meglio, saperne gestire la presenza.
Nelle nostre oasi sperimenteremo alcune azioni riconducibili alla funzione di rete: intanto cercando alleanze con i conduttori dei territori circostanti l?area gestita: in particolare con soggetti privati che condividono e applicano alcuni principi chiavi della conservazione, a partire dalle aziende agricole che producono in modo compatibile con la tutela e la dispersione della biodiversità. Poi cercando di creare corridoi o sistemi di contatto non solo lineari con altre aree protette o ambiti comunque tutelati. E’evidente che qualsiasi rete dovrà svolgersi su spazi vasti, che superano i confini amministrativi o politici, che tengano conto della distribuzione della versità. Il WWF ha scelto l?approccio ecoregionale ed è su questo scenario che anche le oasi svolgeranno una funzione da traino per le aree protette, affinché diventino parte del processo e non un mondo isolato dal contesto e quindi destinato a fallire. Intanto, alla vigilia della Giornata delle Oasi 2004, il Sistema è ormai una realtà consolidata.

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